Lo smantellamento del mito europeista

guerra in kosovoQuesti sono tempi duri per l’Unione Europea. Dopo dieci anni di recessione, iniziata con la crisi dei mutui subprime in America, solamente la Germania ed il nucleo duro dei paesi del Nord che le gravitano attorno sembrano aver superato la crisi. L’America invece è ritornata a correre, al netto dell’allargamento sempre più drammatico della forbice tra ricchi e poveri, mentre la Cina probabilmente è già diventata il paese più ricco del mondo. In un Continente sempre più vecchio alla lotta al ribasso dei salari tra nativi ed immigrati ha fatto seguito una crescita di movimenti definiti dai media liberi come populisti e razzisti. La Francia si è salvata per un soffio anche se Capitan Macron è in seria difficoltà, gli inglesi se ne torneranno al loro Commonwealth, la Mitteleuropa è andata persa dopo che la sorella austriaca di Berlino si è di fatto unita al Club di Visegrad, mentre negli ultimi giorni a leggere i giornali si sarebbe riaperto il fronte meridionale. Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, abbiamo assistito a dibattiti infuocati, trasmissioni televisive, conferenze ed altro ancora nei quali teatri spesso si è evidenziato il ruolo dell’Euro nell’aver contribuito ad aver fatto perdere competitività al nostro paese. L’odio è stato deviato e rivolto alla burocrazia di Bruxelles e alla perdita di poteri del nostro Parlamento di fronte a decisioni prese nella Commissione Europea, ricordiamolo organo politico non eletto da nessuno. Sarebbe troppo facile citare personaggi pubblici, giornalisti ed economisti che, senza mai negare l’endemica mancanza di legalità nel nostro paese, hanno fatto notare come l’Euro altro non sia stato che un nuovo Marco tedesco camuffato che ha fatto impennare le esportazioni tedesche a nostro danno. Negli ultimi anni la produzione industriale italiana è crollata del 25%, simbolo plastico per molti tecnici del neo saccheggio avvenuto a nostro danno e a vantaggio degli stati del Nord.

Tuttavia questo articolo non vuole entrare a gamba tesa nel dibattito economico tra i fautori dell’Unione Europea e chi invece ne vorrebbe volentieri la liquidazione, ma avrebbe il modesto obiettivo di sfatare miti che continuano ad echeggiare, soprattutto tra le giovani generazioni, e che sembrerebbero voler dipingere la UE come un ente di beneficienza che, oltre ad averci salvato dai mutui massacri che duravano da secoli, ha garantito libertà che i nostri padri o nonni non si sarebbero mai sognati di ottenere. Una delle grandi conquiste delle tante istituzioni che compongono l’Unione Europea, che ricordo aver vinto il Nobel per la Pace qualche anno fa, è che avrebbe appunto fatto cessare i numerosi conflitti che dalla notte dei tempi avevano insanguinato il Vecchio Continente. I giovani europeisti e i furbi politici che ne sfruttano l’ingenuità  e ignoranza storica ci hanno riempito la testa, in special modo all’indomani del referendum britannico che aveva visto la vittoria della Brexit, su come l’Unione Europea ci stia tenendo uniti ed abbia salvaguardato la pace tra le nazioni. Questa è stata una delle motivazioni che hanno giustificato l’assegnazione del Nobel, peccato però che sia falsa per un semplice motivo. L’Unione Europea si è infatti costituita nel 1992 con il trattato di Maastricht, il quale oltre ad aver auspicato un’unione politica tra gli stati europei era stato anche quella prima fonte normativa che aveva gettato le basi per l’istituzione dell’Euro, ossia la tanto discussa moneta unica. Prima del Trattato di Maastricht esisteva la Comunità Europea e prima ancora la Comunità Economica Europea e ancora prima di essa la CECA, ossia la Comunità  Economica del Carbone e dell’Acciaio. Insomma non è logicamente nè storicamente possibile che l’Unione Europea dopo la seconda guerra mondiale ci abbia salvato da ulteriori macelli per il semplice fatto che…non esisteva ancora! Sembra una semplice differenza di denominazioni ma non è affatto così dal momento che l’intricato intreccio di fonti normative del 1992 era completamente diverso da quello vigente prima, senza contare che i poteri affidati alla Commissione Europea e Parlamento Europeo sarebbero stati modificati più volte fino ai giorni nostri con altri Trattati, tra cui l’ultimo quello di Lisbona nel 2008.

Inoltre facciamo notare ai lettori giovani come nel 1992, gli stessi giorni in cui i capi di governo celebravano la nascita di un’Europa  finalmente unita nella piccola città olandese, era in corso da almeno un anno la prima guerra jugoslava nella quale croati, serbi e musulmani si sarebbero massacrati a vicenda senza soluzione di continuità fino al 1995. L’Unione Europea, come sarebbe spesso capitato negli anni seguenti, si dimostrò del tutto impotente ed insignificante nel fermare la guerra, anzi le maggiori potenze europee appoggiarono le diverse fazioni in lotta. Per esempio una Germania appena riunificata ed inorgoglita, con il Cancelliere Kohl che si vantò pubblicamente che la sua era “la prima generazione a non aver vissuto Auschwitz”, aveva riconosciuto l’illegale, secondo il diritto interno di uno stato sovrano e riconosciuto internazionalmente come la Jugoslavia, secessione della Slovenia e della Croazia. Anche il Vaticano per inciso riconobbe le due repubbliche, in ricordo del ruolo prezioso che i fascisti croati ustascia ebbero nel sterminare le scomode minoranze serbe ortodosse. Per ragioni storiche e per calcoli geopolitici la Francia e la Gran Bretagna simpatizzarono per tutta la durata del conflitto con i serbi di Milosevic, salvo poi cambiare rotta all’ultimo ed appoggiare i raid NATO nel 1994. A mettere una pietra definitiva sul ruolo insignificante, forse addirittura dannoso della UE, è stata la guerra del Kosovo nel 1999, che con la scusa della pulizia etnica dell’Hitler di turno (ci fu perfino una copertina dello Spiegel in merito) contribuì alla creazione di un narco – stato di trafficanti e mafiosi. Se non mi sbaglio, il Kosovo indipendente ha inoltre l’onore di detenere sul suo territorio la più grande paese NATO in Europa. La UE non impedì, anzi le grandi potenze europee erano favorevoli ai bombardamenti umanitari su Belgrado, che causarono vittime civili, distrussero ponti ed infrastrutture e lasciarono sul terreno depositi di uranio impoverito che uccisero anche nostri soldati nell’indifferenza (quasi) generale della politica italiana.

Mi ricordo inoltre che andando con amici nella città bosniaca di Travnik nel 2009 fui letteralmente sorpreso nel notare come in una località  così piccola e con ancora i segni dei proiettili sui muri ci fossero così tante filiali della banca Unicredit. L’Unione Europea fu ed è ancora oggi questo: un organo formidabile per smembrare stati, con le buone (Grecia) e con le cattive (Balcani ed Ucraina) per poi colonizzarli con le banche ed investimenti stranieri. I greci che stanno vedendo i loro maggiori porti ed aeroporti acquistati con prezzi risibili dai tedeschi, avrebbero forse qualcosa da dire a proposito. Senza dimenticare ovviamente le avventure occidentali in Afghanistan, Iraq e Libia, dove i diversi paesi europei si spaccarono sulla liceità o meno degli interventi “umanitari“, in verità le solite nostre guerre di conquista. Anche in questo caso la UE fu ininfluente nell’evitare la distruzione di quei paesi e fu altrettanto incompetente nel gestire la crisi dei profughi e delle morti in mare, con le conseguenze che tutti noi conosciamo. Sul tira e molla tra UE e Russia per convincere l’Ucraina ad entrare o meno nelle rispettive e contrapposte aree di libero scambio, con l’effetto di aver portato di nuovo la guerra e la destabilizzazione sul territorio europeo, non mi dilungo per mancanza di spazio.

Tuttavia se vogliamo analizzare nello specifico la tesi secondo la quale le istituzioni europee avrebbero salvaguardato la pace in Europa durante gli anni della guerra fredda, ebbene possiamo vedere con chiarezza come la tesi non stia in piedi dal momento che ad avere salvato l’umanità  europea e non solo dalla distruzione nucleare è stato solo ed esclusivamente il pericolo di mutua distruzione reciproca. Detto in maniera cruda: I missili nucleari a media gittata posizionati al di là  e al di qua della cortina di ferro ci hanno salvato dalla guerra. Entrambe le superpotenze, USA e URSS, sapevano bene che un eventuale attacco da una parte o dall’altra avrebbe comportato l’immediata rappresaglia del nemico, con distruzione delle città e nuclearizzazione eterna che avrebbe impedito qualsiasi forma di vita. Questa è la nuda verità, mi dispiace. I missili di Comiso, le basi nucleari nascoste nei boschi della DDR, se vogliamo anche la strategia della tensione in Italia e i colpi di stato da entrambe le parti, assieme al dispiegamento di milioni di soldati russi ed americani pronti ad intervenire in qualsiasi momento, hanno evitato la guerra. Inoltre i governanti tedeschi e francesi all’indomani dell’8 maggio 1945 avevano capito che avrebbero potuto dominare con maggiore facilità il Continente, collaborando tra di loro e smettendola una volta per tutte di sacrificare le loro giovani generazioni senza riuscire ad ottenere una vittoria netta e definitiva sull’avversario storico. In secondo luogo si era fatta strada l’idea che un ulteriore conflitto in Europa sarebbe stato l’ultimo per loro a causa della presenza delle armi nucleari, senza contare che le vecchie potenze europee erano distrutte ed economicamente dipendenti dagli USA ad ovest e dall’URSS ad est. Non è stato un mero spirito di amicizia od un senso di amore universale ad aver sancito la pace dopo secoli di massacri, bensì la mesta presa d’atto di essere sotto occupazione militare straniera e che negli anni a venire si sarebbe rischiato per la prima volta nella storia di porre fine al genere umano. Tutto Il resto è propaganda. E noia.

Il secondo mito da sfatare una volta per tutte è quello della mobilità senza precedenti che per la prima volta nella storia d’Europa avrebbe abbattuto le barriere alla libera circolazione di persone e merci. Gli europeisti dicono a noi provincialotti della marca italica che il progetto Erasmus, ovvero lo spostamento di migliaia di studenti e l’apprendimento di lingue straniere hanno rivoluzionato le nostre vite. Ebbene a parte il fatto che vi sono paesi come l’Irlanda e la Gran Bretagna che hanno aderito alla UE ma mai al Trattato di Schengen sulla mobilità degli individui e a prescindere che la Francia governata dai socialisti prima ed ora dal progressista Macron abbia sospeso unilateralmente Schengen con la motivazione della minaccia terroristica, creandoci file non da poco negli aeroporti e respingendo i migranti provenienti dall’Italia, vediamo di dare la parola ad un intellettuale che tutti i giovani colti di sicuro conosceranno. Lui è Stefan Zweig, nacque a Vienna a fine Ottocento e nel secolo scorso venne per decenni considerato uno dei maggiori scrittori austriaci viventi, tanto che si ritiene che i suoi libri furono quelli in lingua tedesca ad essere stati venduti di più nel mondo a cavallo degli anni ’20 e ’30. Poichè era ebreo, l’intellettuale nonchè democratico convinto Zweig abbandonò l’Austria ben prima che essa venisse annessa nel 1938 con lAnschluss alla Germania nazista. Essendo appunto ebreo e vivendo dopo la Prima Guerra Mondiale in una villa a Salisburgo ad un tiro di schioppo dal confine austro – tedesco e dal nido delle aquile di Hitler, dalla quale poteva osservare il quotidiano e notturno via vai di provocatori nazisti e picchiatori da una parte e l’altra del confine, avvertì anni prima dei politici conniventi e superficiali il rischio di una Germania sempre più potente e sicura di sè (deja vu?). Dopo la fuga da Salisburgo visse molti anni a Londra dove cercò di convincere invano gli intellettuali e politici inglesi del rischio di una nuova guerra mondiale, che infatti scoppiò nel 1939. A quel punto fuggì in Brasile, dove morì suicida assieme alla sua seconda moglie, secondo la mia umile opinione anche avendo saputo del tragico destino dei suoi fratelli ebrei che non erano riusciti a fuggire dal ciclico scoppio del furor germanico. Ebbene nella sua autobiografia, ultima opera prima che si sparasse, Zweig racconta gli anni antecedenti allo scoppio della prima guerra mondiale tramite queste chiare frasi:

 

Nulla forse riesce a ritrarre con maggior vividezza lo spaventoso degrado in cui è precipitato il mondo dopo la prima guerra mondiale quanto la limitazione della libertà di movimento e del diritto alla libertà dell’individuo. Prima del 1914 la terra apparteneva a tutti. Ognuno andava dove voleva e vi rimaneva finchè lo desiderava. Non c’erano visti nè lasciapassare, e provo sempre un gran divertimento di fronte allo stupore dei giovani, quando racconto loro che prima del 1914 ero partito in India e in America senza avere un passaporto nè averne mai veduto uno. Si saliva e si scendeva da un treno e da una nave senza interrogare o essere interrogati, senza dover compilare neppure uno dei cento moduli richiesti oggi. Non c’erano permessi nè visti nè seccature; le stesse frontiere che oggi, grazie alla patologica diffidenza di tutti verso tutti, sono state trasformate in reticolati dalla presenza di doganieri, poliziotti, gendarmi allora non erano altro che linee simboliche, valicate con la stessa naturalezza con cui si oltrepassa il meridiano di Greenwich.”

 

Insomma in Europa e perfino nel mondo intero fino al 1914 si poteva viaggiare tranquillamente senza controlli, passaporti e guardie che chiedessero lumi all’ingenuo viaggiatore. Certo era un diritto accordato ad una minoranza benestante di cittadini che se lo potevano permettere, mentre i contadini per esempio o comunque i ceti meno abbienti spesso passavano l’intera loro esistenza nel paese di nascita o allontanandosi al massimo di qualche chilometro e solo per stretta necessità. Tuttavia dal punto di vista meramente teorico non v’erano confini nè controlli nè passaporti nella vecchia Europa, come si deduce dalle righe di Zweig che visse di persona quell’epoca viaggiando tra l’altro moltissimo. Insomma un altro mito europeista verrebbe così a cadere, visto che l’eccezionalità  della libertà  di movimento non sarebbe un’esclusiva dei nostri tempi moderni. Se consideriamo che le persone potevano spostarsi liberamente nell’Europa ante 1914, la quale era dominata da autocrazie spesso centenarie e da imperi cosiddetti autocratici, allora l’imbarazzo dovrebbe crescere. Come accennato sopra, questa nostra libertà di circolazione concessa dall’Unione Europea può comunque sia venire sospesa od interrotta in qualsiasi momento o addirittura non venire mai applicata, come nel caso della Francia e della Gran Bretagna. Mi piacerebbe poi citare un mio connazionale, il celebre scrittore triestino Paolo Rumiz (71 primavere) che in un’intervista di diversi anni fa ammise che “sua nonna un secolo fa poteva prendere il treno e andare senza problemi fino all’attuale Romania Ciscaucasica, quindi poteva arrivare a Arad, a Timisoara nel giro di una notte, poteva arrivare a Praga, raggiungere Berlino, arrivare a Belgrado o a Budapest con una velocità e una familiarità incredibili, avendo in comune il grande punto di contatto che era la lingua tedesca.” Se pensiamo che nella mia città  ancora oggi non ci sono collegamenti ferroviari diretti tra essa e Vienna, Budapest, Lubiana e Zagabria forse riusciamo a comprendere i termini del dibattito.

Come terzo punto c’è appunto il mito linguistico, citato dal medesimo Rumiz a proposito del privilegio avuto da sua nonna vissuta nell’Ottocento di poter parlare e comprendere il tedesco, che a quanto pare sua madre non aveva. A questo punto mi prendo la libertà di citare lo storico Alessandro Barbero, di cui consiglio la visione dei suoi numerosi video e conferenze presenti su Youtube, che descrive spesso il fatto storicamente accertato per il quale i soldati italiani che caddero prigionieri degli austriaci durante Caporetto comunicarono seduta stante con i loro, fino a quel momento, nemici da uccidere in tedesco. Com’era possibile questo? Come fu infatti possibile che dei contadini spesso analfabeti costretti a servire l’Italia nell’esercito potessero parlare il tedesco, quando nei giorni odierni quest’ultima lingua viene parlata perfino da pochi studenti universitari, che ne preferiscono altre più popolari come l’inglese e lo spagnolo? Si dà il caso che ancora tra Ottocento e Novecento molti italiani si fossero trasferiti in Germania per lavoro, il che tra le varie cose dovrebbe far comprendere che non molto in verità è cambiato da allora. Come raccontato da Zweig, non c’erano controlli nè passaporti, che sarebbero apparsi durante e dopo la Prima Guerra, e quindi non era in fondo così difficile recarsi in quel paese industriale in tumultuosa crescita. Gli italiani emigrati erano per lo più di bassa condizione sociale, ma ciò nonostante lavorarono e vissero in Germania imparandone la lingua. Questo accadeva ben prima del programma Erasmus (qualche maligno lo ha definito Orgasmus) e degli ossessivi livelli linguistici fissati dalla Commissione Europea. Ora, mentre stiamo ancora vivendo il sogno europeo ad occhi aperti, sembra che senza un C1 in inglese od almeno un B2 in tedesco nessuna azienda seria ci assumerà. Invece un secolo e passa fa contadini ed operai italiani, spesso analfabeti, potevano andare a lavorare nei paesi del Nord come la Germania senza passaporto e con la possibilità di imparare la lingua del posto senza l’ausilio di costosi corsi privati.

Altra chicca: il programma Erasmus, che ha lo scopo di formare il nuovo homo europaeus del futuro, comprende al suo interno anche paesi che non fanno parte dell’Unione Europea. Per esempio la Svizzera, la Norvegia ed alcuni paesi balcanici occidentali come la Serbia non hanno mai fatto, almeno finora, parte di questo grande piano di rinnovamento umano ma possono comunque partecipare allo scambio di studenti e professori. Nessuno se lo aspetterebbe, viste le eterne tensioni mediorientali, ma addirittura un paese sinceramente democratico e rispettoso delle minoranze come la Turchia di Erdogan da anni aderisce al progetto. Detto altrimenti: Erasmus e mobilità studentesca non fanno sempre rima con Unione Europea. Mi sembra uno schiaffo non indifferente a chi elogia di continuo l’Unione Europea per averci concesso lo spostamento di giovani idealisti, senza dimenticare che comunque sia nel mondo vi sono centinaia di progetti di scambio culturale e scolastico al di fuori dell’Europa. Il più conosciuto è il cosiddetto Overseas che permette a studenti liceali ed universitari europei e non di passare un anno scolastico in paesi di lingua e cultura inglese come gli USA, il Canada e l’Australia. Tuttavia esso non è l’unico ma ci basti per ora sapere che lErasmus non è affatto una nostra eccezione, di cui vantarsi di fronte al resto del mondo.

Concludo citando un episodio che mia nonna istriana mi raccontava spesso: suo papà contadino, cioè il mio bisnonno, oltre al dialetto parlava correttamente sloveno, croato e tedesco. Mia nonna non mancava mai di ricordarmi che sulla sua tavola, oltre al Piccolo, non mancavano mai giornali austriaci e in altre lingue. Inoltre aveva spesso a che fare per lavoro e necessità con la burocrazia austriaca e pareva che non se la cavasse affatto male. L’Istria all’epoca dell’Impero Asburgico era un laboratorio di etnie diverse, che in seguito sarebbe stato spazzato via dalla politica di italianizzazione forzata del fascismo e conseguente reazione violenta del nazionalismo slavo camuffato da comunismo, che comunicavano tra di loro con una ricchezza di lingue e dialetti ormai scomparsa. Si trattava di un multi kulti” ante litteram, ben prima che dalle macerie della seconda guerra esso venisse imposto dai neo governi atlantisti nell’Europa occidentale solo per mera mancanza di forza lavoro maschile e per la volontà di mettere in minoranza gli storici nativi nei decenni a venire. Ricordo che suo papà  era nato a fine dell’Ottocento, non aveva mai frequentato le scuole elementari, forse al massimo i primi due anni dove gli hanno insegnato a leggere e a fare di conti, non ha mai viaggiato oltre Trieste e l’Istria e di sicuro considerava i professori universitari e gli economisti come entità divine, un po’ come fecero gli Incas quando videro le prime armature metalliche degli invasori spagnoli. Durante la seconda guerra mondiale – questa è sempre mia nonna che ha preso possesso delle mie mani che stanno battendo sulla tastiera – i soldati tedeschi occuparono l’Istria e vi fu nel ’43 una delle tante imboscate dei partigiani jugoslavi. Il comandante tedesco nel piccolo paese di Strugnano in Istria, penso fosse un tenente, esigeva una rappresaglia a causa della perdita di qualche suo soldato morto durante tale imboscata. Mio bisnonno contadino, come detto, capiva il tedesco, invitò il giovane e nervoso Fritz a tavola, fece versare quel poco vino rimasto a lui e ai suoi sottoposti, si parlarono, si chiarirono e la rappresaglia venne evitata. Mia nonna non venne messa al muro ed il paese venne risparmiato dai soliti incendi di rito. Se il papà contadino di mia nonna non avesse saputo il tedesco, mi sa che a quest’ora non avreste potuto leggere queste mie considerazioni. Concludo con una certezza: se i tedeschi invadessero domani l’Italia, nessuno dei millennials europeisti ed amanti della libertà di viaggiare potrebbe evitare le stragi poichè essi, a parte l’inglese americanizzato di Netflix e l’italiano romanesco della tv generalista, non sanno niente.

3 Risposte a “Lo smantellamento del mito europeista”

  1. Siamo in questa situazione perche’ coloro che sono nati negli anni trenta del secolo scorso,
    vogliono a tutti i costi realizzare il loro sogno ” la sovietizzazione della societa’ umana”, costi
    quel costi si deve fare. Non vede che tutti coloro che rappresentano il potere sono vecchi e
    laidi? sono divorati dalla sete di potere, non danno spazio ai giovani? basti che guardi la
    UK dove la veccia non molla lo scettro al figlio. Oppure soros incartapecorito che ancora
    sogna di invadere il mondo. La saggezza che venga dalla vecchiaia e’ uno slogan inventato
    da coloro che vogliono mascherare la pazzia da normalita’, la verita’ e’ che gia’ sono nati
    senza cervello e figurarsi se alla giovane eta’ di 70 anni sono come dei ventenni.
    Il marcio del vecchiume ci sta uccidendo.
    Grüß Gott.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *