The Brexit must go on

Per quanto riguarda la Brexit tutto sta procedendo come da copione, almeno finora. Tuttavia, a seguire i media occidentali, sembra che il governo conservatore del breexiter, nonché russofobico, Boris Johnson stia prendendo scoppole a non finire dal Parlamento britannico. Prima è stata approvata la legge che vieta al governo di uscire dall’Unione Europea senza accordo il 31 ottobre, poi sempre la Camera dei Comuni ha respinto per 2 volte la mozione di Johnson che chiedeva delle nuove elezioni lampo il 15 ottobre, infine ieri quello che viene considerato il Parlamento più antico del mondo ha obbligato il governo a “desecretare”, diciamo così, i documenti segreti in cui sono contenuti i piani governativi per una hard Brexit without a deal. Senza contare che Boris Johnson non ha più una maggioranza in Parlamento, dopo che lui in persona ha decretato l’espulsione di 21 suoi parlamentari conservatori, rei di aver votato assieme all’opposizione la legge contro l’uscita del Regno Unito dalla UE senza accordo.

Eppure la strategia di Boris Johnson, da me descritta in 3 importanti articoli nelle ultime settimane, sta finora funzionando. Infatti da oggi i lavori del Parlamento britannico sono sospesi su richiesta del governo, la quale è stata considerata legittima tanto che l’Alta Corte ha respinto 2 ricorsi a favore della sua riapertura. Come già da me spiegato in precedenza, esso rimarrà chiuso fino al 14 ottobre, giorno in cui la Regina terrà un fondamentale discorso davanti alla Camera dei Comuni. Ricordo ancora una volta che il discorso letto da Elisabetta II, come da tradizione, viene scritto dal governo e non da Sua Maestà. Pertanto dalla lettura di questo discorso tutti noi capiremo quale saranno gli obiettivi del governo conservatore all’indomani della Brexit. Per gli europeisti continentali, in special modo quelli di sinistra, sarà sicuramente un trauma sentire che il governo conservatore di destra vorrà spingere il pedale su uno storico piano di spesa pubblica, finanziamenti a deficit ed investimenti senza precedenti in scuole, istruzione tecnologica, asili, polizia, forze armate, infrastrutture, che metterà in discussione 40 anni di neoliberismo targato Thatcher.

Un’altra vittoria tattica per Johnson sono state le dimissioni date dallo speaker conservatore della Camera dei Comuni, quel John Bercow che con i suoi continui e simpatici “Order, please order!” è entrato nell’immaginario collettivo di chi da mesi sta seguendo la vicenda della Brexit. Le sue dimissioni scatteranno, guarda caso, il 31 ottobre, giorno stesso dell’uscita “caotica” del Regno Unito dall’Unione Europea. E’ una vittoria, dicevamo, poiché Bercow ha finora rappresentato quell’ala del partito conservatore più filoeuropeista e a favore del Remain. Se ha deciso di andarsene dal prossimo 31 ottobre, anche lui ha capito che la Brexit è ormai inevitabile.

Aspettate un attimo, diranno subito i più scettici! Com’è possibile che la Brexit venga dal sottoscritto considerata inevitabile, se appena la settimana scorsa è stata approvata dal Parlamento britannico una legge che vieta proprio l’uscita senza che prima il governo abbia trovato un nuovo accordo con la UE? Ebbene sta tutta qua l’indubbia genialità strategica dell’ex collegiale di Eton, Boris Johnson: infatti lui farà sia uscire il suo Paese senza accordo sia al tempo stesso eviterà di violare la Legge con la L maiuscola, col rischio magari di finire in carcere. E come, mi si chiederà? Semplicemente non chiedendo al Consiglio Europeo, ossia a quell’organo dell’Unione Europea che racchiude i 27 capi di governo dei rispettivi Paesi membri, una proroga dell’articolo 50 di qualche mese. La motivazione è semplice quanto disarmante: solamente il governo rappresentante il Paese che intende recedere dall’Unione Europea ex art. 50 Trattato di Lisbona è titolato a chiedere un rinvio del recesso, e non invece il Consiglio Europeo. Basta non volere il rinvio ed il gioco è fatto. Infatti la legge britannica, approvata la scorsa settimana dalla Camera dei Comuni, non obbliga il governo nello specifico a proporre un rinvio. Dice solo in termini generali che non sarà possibile uscire senza un accordo con la UE il 31 ottobre, ma (volutamente) non spiega le specifiche modalità che il governo britannico dovrà seguire per scongiurare ciò! Insomma il governo dell’astuto Johnson non è affatto obbligato ad implorare una proroga di qualche mese all’Unione Europea, come invece fece la Signora May in marzo. Tuttavia in quel caso, come già da me esposto qualche settimana fa, la motivazione era stata data non affatto per evitare la Brexit, in realtà una mera questione di tempo, quanto per permettere al partito “estremista” di Farage di entrare nell’Europarlamento e di aumentare così il caos ed il disordine in Europa, come da antica tradizione inglese.

Ma mettiamo puto caso che Boris Johnson decida comunque di richiedere un rinvio all’Europa continentale. In tal caso il lettore deve sapere che, affinchè il rinvio abbia effetto legale, ci deve essere il consenso unanime di tutti i 27 Paesi membri dell’Unione Europea. Se per esempio anche solo il minuscolo arcipelago (eh sì) di Malta o il piccolo ma birichino Lussemburgo dovessero opporsi al rinvio, ciò significherebbe che il 1 novembre il Regno Unito sarebbe comunque fuori dal Club. Un organo progressista come il The Guardian ieri ha perfino addotto la possibilità che Johnson chieda lo stesso il rinvio, per evitare un clima da guerra civile interna, però con una piccola nota in fondo alla richiesta scritta, che implorerebbe i Paesi membri di ignorare questo medesimo rinvio. Sembra fantapolitica ma l’ha scritto il The Guardian, non io. Ad ogni modo Paesi importanti come la Francia e l’Olanda hanno lasciato trapelare dalle parole dei rispettivi Ministri degli Esteri l’esaurimento della loro pazienza, con perfino un europeista doc come Macron che si dichiara contrario a qualsiasi ipotesi di rinvio a favore dei britannici. In questo caso gli europei continentali stanno goffamente cadendo nella trappola tattica della Perfida Albione, il cui governo potrà accusare di fronte all’opinione pubblica interna questi ed altri Paesi europei contrari alla proroga di essere i maggiori responsabili di una hard Brexit.

Che altro dire? Di non fidarvi mai di cosa dicono e scrivono i media tradizionali. Usate sempre la vostra testa, anche col rischio di sbagliare. Questo pericolo, cioè di cadere nel ridicolo sbagliando tutte le previsioni, lo sto correndo anch’io da anni ogni volta che tratto di questo tema. Tuttavia a mio parere il gioco vale la candela. Fareste sicuramente meglio dei media tedeschi, che sulla Brexit e la strategia adottata dal “bugiardo”, come qui viene chiamato, Boris Johnson dimostrano ancora una volta di non avere differenza alcuna tra di loro. Non importa se stiamo parlando del progressista Spiegel o del conservatore Die Zeit, né tanto meno dell’organo di estrema sinistra Taz oppure del bavarese Süddeutsche Zeitung: di fronte a milioni di posti di lavoro a rischio, soprattutto nell’industria automobilistica, il modello Germania fa blocco unico, serra i ranghi ed attacca come una testuggine i nemici esterni (ed interni) che via via rischiano di comprometterne il presunto benessere, figlio in verità di un export da tempo insostenibile e di salari interni stagnanti. Ancora una volta la Germania dimostra di essere un Paese dove vige il pensiero unico e dove non sussistono nemmeno le basi minime per un’autocritica o per un dibattito sano. La medesima dinamica si verificò con la crisi dei migranti nell’estate del 2015, quando tutti i partiti presenti al Reichstag furono favorevoli all’accoglienza, compresi quelli allora all’opposizione che anzi avrebbero auspicato un maggior numero di arrivi stranieri. Sulla Brexit la vera spada di Damocle, oltre all’abbandono anche da parte della Francia dell’Unione Europea, è l’introduzione di dazi e tariffe doganali dal lato inglese, tale da far crollare l’export tedesco di beni verso il Regno Unito. Da lì inevitabili sarebbero i licenziamenti, i fallimenti di migliaia di aziende, così come l’aumento delle tensioni sociali e razziali tra nuovi e vecchi poveri, con sullo sfondo un’Afd che continuerebbe a salire nei sondaggi.

In ogni caso è significativo che debbano essere 2 conservatori anglosassoni come Trump e Johnson a mettere fine a questo progetto neomercantilistico chiamato Unione Germanica Europea. L’assedio, che vado raccontando da almeno 2 anni, da parte delle potenze marittime anglofone contro l’Europa Germanica sta attraversando la sua fase decisiva ed è veramente un peccato che in questa guerra per ora solo commerciale le presunte sinistre, radicali o progressiste che dir si voglia, si trovino dal lato sbagliato della barricata.

8 Risposte a “The Brexit must go on”

  1. Caro Deutsche, immagino che vedremo come va a finire tra qualche mese:
    sembra che siano presenti varie forze contrastanti in uk , almeno a giudicare dalla posizione dei membri del parlamento che suppongo rappresentare interessi più o meno importanti.
    Mi rimane , almeno a me, la delusione che a cento anni dalla prima guerra mondiale, l’europa ancora faccia fatica a sentirsi come un continuum convergente di culture e interessi: Si vede che era destino.
    Che poi non è esattamente così facile far convergere il processo di unificazione senza strappi e senza che una fazione voglia annichilire l’altra….vedremo

  2. Il 14 ootobre è un altro anniversario importante per l’Inghilterra: la battaglia di Hastings, ovvero l’ultima invasione dal continente.

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