Ci pisciano addosso e dicono che piove

Mentre i veri temi all’orizzonte, come per esempio l’inevitabile scoppio di una nuova bolla finanziaria o le condizioni miserrime in cui versano le maggiori banche tedesche in primis la Deutsche Bank, vengono appena appena sfiorati, il popolo che si gratta (citazione di Rino Gaetano) di italica stirpe continua a scannarsi al centro dell’arena virtuale su quel famoso cargo battente bandiera liberiana, pardon olandese. Nell’articolo sul tema in questione di qualche giorno fa avevamo appurato, con dati oggettivi alla mano, come la Germania, potenza morale che negli ultimi anni non ha mai perso tempo a rimproverare i maialini (PIIGS) d’Europa per non aver abbassato abbastanza i salari dei loro lavoratori precari, non sia proprio quell’esempio preclaro da seguire in campo migratorio. Questo perché dal 2015 ogni anno espelle almeno 20.000 clandestini, pardon richiedenti asilo, dal proprio territorio, i quali in diversi casi si sono anche suicidati per la disperazione di essere stati cacciati. In secondo luogo la Germania di “Mutter Angela”, per citare una famosa copertina appiccicaticcia da troppe leccate dello Spiegel di qualche anno fa, ci rimanda indietro via aereo i famosi migranti di Dublino, ossia quei richiedenti asilo i quali sono stati registrati al primo Paese di sbarco, spesso l’Italia. Tutto legale secondo le normative europee, che anche i nostri governi italiani hanno ratificato, per carità; il problema è che, secondo le testimonianze di diversi migranti riprese dal giornale sovranista per antonomasia come la Repubblica, essi sarebbero stati sedati e perfino drogati con degli psicofarmaci per renderli più docili all’espulsione. Poi che la polizia tedesca usi le maniere forti anche contro donne straniere incinte, non importa quasi a nessuno. In tal caso non sono previste delle marce di solidarietà da parte della meglio gioventù locale.

Prima di esaminare ulteriori aspetti della politica migratoria del Paese locomotiva d’Europa, vorremmo tuttavia riportare una notizia interessante che proviene questa volta dalla Spagna. Il giornale locale El Diario ha pubblicato un documento del governo socialista, secondo il quale la ONG spagnola Open Arms pro Activa, anch’essa da anni attiva nel far sbarcare migliaia di migranti sulle coste di diversi Paesi mediterranei, rischierebbe di dover pagare fino a 900mila Euro di multa. Il motivo? Elementare Watson, il governo spagnolo di Sànchez da tempo ha ordinato la chiusura dei propri porti alle attività di salvataggio delle ONG ed ha ora deciso di intimare possibili conseguenze penali di carattere economico, oppure in casi estremi il sequestro delle navi, qualora le organizzazioni umanitarie decidano di non rispettare il blocco deciso dall’esecutivo. La notizia è stata rilanciata qualche giorno fa anche dal Fatto Quotidiano. C’è tuttavia un ulteriore problema: il governo spagnolo, che ha decretato per legge la chiusura dei suoi porti pena gravi conseguenze legali, è socialista e convintamente europeista. Ops! D’altra parte le menti più acute si ricorderanno come nel 2005 un altro governo spagnolo progressista e pro Europa, capitanato da Zapatero, avesse ordinato di aprire il fuoco su centinaia di migranti africani, che dal Marocco avevano tentato (illegalmente, intendiamoci) di entrare nelle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla. Il bilancio fu di 6 morti e di qualche centinaio di feriti, ma quello era un governo de sinistra che aveva conquistato il cuore e le menti dei compagni nostrani per aver legalizzato i matrimoni gay. Una critica nei suoi confronti sarebbe stata perciò considerata alla stregua di fuoco amico contro un proprio idolo; sarebbe come se un tifoso napoletano ancora oggi provasse anche solo a mettere in dubbio la santità del suo Dio Maradona, nonostante da quasi 30 anni egli sia un evasore fiscale ed un cocainomane acclarato. Semplicemente non si fa, punto.

Ironia a parte, che in questi tempi di moralismo talebano è sempre più asfittica perlomeno in Occidente, si potrebbe anche ricordare come un altro governo fieramente europeista, quello olandese, abbia scritto qualche giorno fa, nel pieno delle polemiche mediatiche sull’opportunità o meno di far sbarcare la Sea Watch 3 a Lampedusa, direttamente al ministro degli Interni Salvini. Il riassunto della lettera diplomatica venne riportato anche dal Corriere della Sera. Oltre a lavarsi (sempre legalmente, intendiamoci ancora) le mani dal dovere di accogliere migranti nei propri porti sull’Atlantico, il ministro degli Esteri olandese aveva dichiarato nero su bianco che la capitana Rackete avesse sbagliato e (udite, udite!) avesse potuto ed anzi dovuto far sbarcare i migranti della nave nei porti tunisini o libici. Ma come? Il gotha degli intellettuali italiani come Saviano e la Murgia non ci ripete come un mantra che in Libia ci sono i lager, mentre i porti tunisini non sono sicuri? Evidentemente non la pensava, e con tutta probabilità non la pensa tuttora così, il governo di un Paese come l’Olanda, che da anni è stretto alleato della Germania nel costringere le nazioni del Sud Europa ad adottare sempre maggiori politiche di austerity al fine di salvare l’Euro ed il progetto europeo. Una critica nei confronti di questa dichiarazione olandese sull’opportunità, e perfino obbligo, di far sbarcare i migranti economici, pardon profughi che fuggono dalla guerra, in Libia e Tunisia sarebbe stato un altro grave affronto, come nel caso spagnolo visto sopra, nei confronti di un Paese da sempre leale all’Unione Europea e che non ha mai messo in discussione l’illegale surplus commerciale del proprio ingombrante vicino tedesco. Se invece ad esprimere la medesima critica fosse stato, poniamo, il populista xenofobo Orban, leader di un rogue state come l’Ungheria, allora sarebbe stato giusto e doveroso scandalizzarsi. Ma nel caso dell’Olanda e della Spagna, due Paesi europeisti che hanno adottato le “riforme” economiche liberistiche ed obbligano gli altri a farne, allora no.

Vale poi ben poco ricordare ai militonti (nessun errore di battitura) da tastiera, pronti a combattere il fascismo con quasi un secolo di ritardo (meglio tardi che mai, intendiamoci per la terza volta), come la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, organo europeista per eccellenza, avesse respinto il ricorso presentato da alcuni migranti presenti sulla nave oltre che dalla capitana sul dovere da parte dell’Italia di far sbarcare la nave. L’organo giudiziario europeo aveva appurato che non esistessero le condizioni eccezionali, come il rischio di danni irreparabili, tali da costringere il governo italiano ad emettere un provvedimento provvisorio di sbarco. Sappiamo poi com’è finita, tanto che l’eroina (no, non stiamo parlando dei ragazzi dello zoo di Berlino) tedesca, già prima che fosse conosciuta la decisione del tribunale di Strasburgo, aveva dichiarato pubblicamente che lei avrebbe comunque violato il blocco deciso dal governo italiano, a prescindere da eventuali leggi italiane od europee infrante. Cosa che poi puntualmente è avvenuta. Mannaggia, per una volta che non ce l’aveva chiesto l’Europa…e vabbè.

Nel frattempo che succede in Germania? Nel silenzio assordante dei media italiani qualche giorno fa il Parlamento tedesco ha approvato delle modifiche alla legge sull’asilo, in vigore dal 1993. A votare a favore sono stati anche i deputati del partito socialdemocratico (SPD), fedele alleato di sinistra dei vari governi Merkel. La legge prevede una facilitazione delle pratiche di espulsione dei potenziali profughi, cui non sia stata accettata la richiesta di protezione. Ora esse possono essere adottate direttamente dal carcere, dove per legge si possono trovare i richiedenti respinti, con meno perdite di tempo. Inoltre i richiedenti asilo possono rimanere fino a 18 mesi nei centri di identificazione, mentre chi arriva in Germania dopo aver ottenuto domanda d’asilo nei primo Paese d’arrivo, uno a caso l’Italia, non ha nessun diritto ad usufruire dei benefici sociali da parte dello Stato tedesco, come l’Hartz IV. Al tempo stesso il governo tedesco di grande coalizione intende facilitare l’arrivo di manodopera qualificata proveniente da Paesi extracomunitari; se fino ad ora era obbligatorio un contratto di lavoro come prerequisito legale per poter emigrare in Germania, ora qualsiasi lavoratore qualificato anche senza contratto può comunque rimanere qui per un breve periodo di tempo al fine di poter cercare un impiego. Infine anche se ad un richiedente asilo sia stata respinta la domanda, egli può rimanere lo stesso qui, senza quindi essere espulso, attraverso una specifica Duldung (traducibile in maniera imprecisa in italiano come permesso speciale) solo qualora abbia nel frattempo trovato un lavoro.

E’ chiara la volontà tedesca di distinguere all’interno degli stranieri, che qui emigrano, tra chi è molto qualificato ed è disposto ad imparare il tedesco, e chi invece si trova qui solo per trovare protezione umanitaria. Non sarà forse un caso che, come già visto nell’articolo precedente di qualche giorno fa, uno tra i maggiori gruppi etnici espulsi dalla Germania sia quello degli afghani, i quali vengono rimandati in Afghanistan sebbene esso non sia affatto un Paese sicuro, poiché dominato ancora da guerre tra bande e dall’occupazione militare occidentale. Va da sé che molti afghani, quasi 2 su tre, non siano in grado né di scrivere né di leggere una tra le tante lingue o dialetti che lì si parlano. Inoltre la legge tedesca sull’asilo dà la possibilità al governo di aggiornare una lista di nazioni considerate sicure, anche se al loro interno alcuni gruppi etnici ed altre minoranze sono da anni discriminati e oggetto anche di atti violenti. Pensiamo per esempio ai rom di alcune nazioni balcaniche o ai gay che vivono in alcune di quelle islamiche (eh già), dove formalmente non ci sono conflitti ergo nessuno ufficialmente scappa da guerre e violenza. In casi come questi è molto difficile, specie per i rom che emigrano dalla Serbia e dal Kosovo, ottenere domanda di protezione umanitaria in Germania.

Inoltre negli ultimi giorni il quotidiano die Welt ha riportato come il programma governativo, ideato nel 2016 dall’allora ministra socialdemocratica del Lavoro Andrea Nahles, secondo il quale ogni anno almeno 100mila rifugiati siriani avrebbero dovuto svolgere mansioni cosiddette umili, come tagliare le siepi e pulire le strade, non sia mai decollato. Anzi dei 100mila potenziali lavoratori, pagati la bellezza di 80 Cent l’ora, previsti per ogni anno, dal 2016 fino ad oggi solamente 32mila siriani per l’intero periodo di tempo di quasi 4 anni ormai si sono prestati a svolgere simili funzioni. Il prestigioso quotidiano tedesco si chiede dubbioso come mai i siriani, spesso laureati, si siano rifiutati sdegnosi di integrare ai benefici sociali statali per loro previsti, anche la bellezza di un salario da 80 Cent l’ora. Chissà, magari se avessero venduto limonate di fronte ai giardinetti d’estate, come abbiam fatto noi da piccini, avrebbero guadagnato qualcosa in più. O no?

Evidentemente un altro mito tedesco, ossia quello della svalutazione salariale deflattiva imposta dentro e fuori i propri confini nazionali con relativi prezzi congelati verso il basso e conseguente blocco delle importazioni dall’estero al fine di poter competere col resto del mondo, sta per forza di cose tramontando. E questo non per la doverosa protesta di milioni di lavoratori tedeschi impoveriti da 30 anni di neoliberismo post-riunificazione, finora non pervenuta, bensì a causa della silenziosa resistenza passiva delle nuove risorse siriane.

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