Tra Churchill e Badoglio

Mentre in quel che rimane della nota espressione geografica, detta volgarmente Italia, continuano imperterrite le manifestazioni filo-governative della peggio gioventù precarizzata e nullatenente, nel Regno Unito il governo conservatore di Boris Johnson, coerentemente al proprio programma elettorale, sta andando avanti col compimento della Brexit. Il primo ministro britannico, durante la prima seduta della nuova House of Commons dominata dai tories, ha detto 2 cose fondamentali: la prima, quella ovvia, è che entro venerdì farà votare al parlamento britannico la legge di ratifica sulla Brexit, nella quale verrà finalmente convalidato l’accordo da lui trovato in novembre con le istituzioni europee; la seconda è che, prima di fare ciò e per mettersi al sicuro da eventuali sorprese, ha preannunciato che in primo luogo farà votare un’altra mozione, consistente nel vietare per legge qualunque rinvio di ulteriori 3 mesi, od anche di più, della Brexit. Tradotto, significa che il 31 gennaio 2020 il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea, con o senza accordo.

Dopo l’uscita si aprirà la fase più interessante ed al tempo stesso più carica di rischi per la Germania. Perché? Per il semplice motivo che fino al 31 dicembre 2020, nonostante la Brexit a quel punto ormai operativa, vi sarà un obbligatorio periodo di transizione nel quale il Regno Unito dovrà osservare la maggior parte delle leggi europee. Durante quel periodo di tempo Boris Johnson dovrà rinegoziare con Bruxelles tutti i preesistenti trattati commerciali, oltre a dover decidere la politica doganale nei confronti del Mercato Unico Europeo. E’ molto probabile che, sull’onda delle pressioni provenienti dalle ali più estremiste del suo partito, propenderà per uno status commerciale UK – UE regolato dal WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ciò significa che, come varie volte previsto su queste pagine virtuali fin dalla fine del 2018, verranno introdotti dazi e tariffe protezionistiche nei confronti di tutti i Paesi europei che esportano verso la Gran Bretagna. Provi il lettore ad indovinare qual è la nazione europea maggiormente dipendente in termini di export verso Londra.

Visto che parliamo di Germania, è necessario poi riportare la fresca notizia delle sanzioni americane, votate dal Congresso ed in attesa di una scontata ratifica da parte del presidente Trump, contro il raddoppio del North Stream 2. Questo discusso progetto energetico russo – tedesco prevede il raddoppio del gasdotto sottomarino, il quale già ora passa sotto il Mar Baltico e che dovrebbe pompare nei prossimi anni miliardi di metri cubi di gas in più rispetto ai ritmi odierni dalla Russia alla Germania. Anche qua niente di nuovo: questo blog da anni avverte della politica congiunta angloamericana consistente nel sabotare qualsiasi tentativo tedesco di allearsi, anche solo energeticamente figuriamoci politicamente, con la Russia. Il secondo passo sarà di dichiarare una guerra commerciale a base di dazi contro le merci tedesche, guerra che con la Brexit britannica sarà spostata in maniera decisiva a favore dell’anglosfera. Qualora non dovesse bastare, il passo per un’escalation militare con la Russia, che nel frattempo grazie al riscaldamento globale rischia di mettere le proprie mani sugli immensi tesori artici, sarà una questione di pochi anni.

Che dire di più? In Francia continuano le proteste di milioni di cittadini contro il governo, al contrario dell’Italia dove i giovani drogati di Facebook si scagliano contro l’opposizione. Tra l’altro il “capo” di codesta opposizione “sovranista”, Matteo Salvini, negli ultimi giorni ha dichiarato di non essere contrario ad un governo di unità nazionale con a capo Mario Draghi, presidente della BCE ed ex (?) Goldman Sachs. Se in Regno Unito i leader tentano di seguire le orme di Churchill, in Italia si resta in scia di Badoglio.

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