Intervista sulla gentrification a Berlino

Comprendere dove sta andando Berlino è uno dei quesiti più ardui e, se vogliamo, anche più scomodi da porsi in questo momento. Ho pertanto deciso di conversare con Manuele, un ragazzo romano che dal 2014 gestisce a Neukölln il bar LaBettoLab, che è anche un laboratorio dove poter sperimentare arte degustando al tempo stesso dei vini italiani DOP. Tuttavia anche lui, come molti altri gestori di simili realtà, da diverso tempo si è imbattuto in proprietari, in verità inglesi con avvocati nel Granducato del Lussemburgo, che tra una scusa accampata all’altra vorrebbero cacciarlo per sostituirlo con un altro affittuario in grado di pagare un affitto ben più alto. Lui però non si è arreso, ha raccolto centinaia di firme di solidarietà tra il vicinato e quest’estate si appresta perfino a difendere le sue istanze presso un’aula giudiziaria, dopo essere stato citato in giudizio proprio dai proprietari. Partendo da questo classico caso di gentrification che vede un affittuario Davide contro un proprietario Golia, abbiamo chiesto al primo quali sono le sue riflessioni sulla “capitale più alternativa d’Europa”, oltre a raccontarci un po’ della sua esperienza qui.

Partiamo da alcune domande generale: come ti chiami? Da dove vieni? Da quanti anni vivi a Berlino?

Mi chiamo Manuele, vivo a Berlino ininterrottamente da fine 2010. La mia storia a Berlino inizia nel 2006. In quell’anno ero venuto qui a fare l’Erasmus e la città era molto interessante. Provenendo da Roma, la differenza era ben marcata tra le due città. Come detto, ero venuto la prima volta nel 2006 per l’Erasmus, ero rimasto qui un anno, avevo studiato Filmwissenschaft alla Humboldt Universität, poi ero tornato a Roma ma venivo spesso a Berlino per piccoli periodi di due mesi, poiché la città mi piaceva molto. Nel frattempo mi ero laureato al Dams di Roma e nella capitale avevo collaborato con un centro sociale per 4 anni. Presso quello spazio collettivo, denominato Acrobax Expo e politicamente schierato a sinistra, avevo organizzato eventi di carattere artistico e sociale come mostre.

Come mai da una realtà frizzante come Roma avevi deciso di venire proprio a Berlino?

Bè innanzitutto diciamo che Roma mi aveva messo in difficoltà per quanto riguardava le prospettive lavorative. In secondo luogo la mia esperienza Erasmus nel 2006 mi aveva incuriosito e pensavo che all’epoca a Berlino vi fossero delle possibilità, cosa effettivamente vera. Ero venuto qui anche perchè incuriosito ed attratto dall’arte sperimentale della Street Art.

Com’era Berlino nel 2006?

Era completamente diversa da oggi. Dal punto di vista architettonico c’era molto più spazio, molti più “buchi”, molta più aria, molto più relax. Tuttavia al tempo stesso mi ricordo che c’era molta più tensione per quanto riguardava la differenza architettonica tra Est ed Ovest, anche a causa della presenza di immensi spazi vuoti, molto più numerosi che adesso. Il turismo era appena iniziato qualche anno prima. All’epoca, appena arrivato a Berlino, avevo fatto anch’io delle interviste a personaggi gravitanti intorno al mondo artistico e tutti mi avevano confermato che agli inizi degli anni 2000, diciamo verso il 2004, si era assistito alla prima ondata importante di persone che non parlassero tedesco.

Quali erano gli aspetti positivi della “Berlino che fu”?

Il lavoro c’era, le case costavano la metà rispetto alle maggiori capitali europee, senza contare il paragone con le grandi città italiane come Milano o Torino. Ci si poteva divertire con poco ed inoltre si poteva lavorare solo qualche giorno alla settimana senza difficoltà; per esempio era ancora possibile lavorare 2-3 giorni alla settimana nel campo della gastronomia e con quei soldi vivere senza grossi problemi. Con 600-700 Euro si poteva arrivare a fine mese. Inoltre i parchi erano sempre pieni di gente quando c’era il sole e soprattutto non si correva come matti da una parte e dall’altra, senza il traffico intenso di adesso. Insomma c’era molta più rilassatezza nel vivere la vita.

C’era la selezione ai club?

Sì ma era molto più tranquilla. Per esempio al Berghain (noto club berlinese nda) l’ingresso costava 8 Euro, qualche volta era perfino vuoto al suo interno e si poteva tranquillamente parlare la propria lingua durante le rare file, senza il “terrore” di venire scoperti dal buttafuori e di non entrare.

Chi erano gli stranieri della prima ondata? Erano artisti? Lavoratori?

Ritengo che dalla caduta del Muro fino alla fine degli anni 2000 c’era tutto un pezzo di mondo attratto da questa città: erano sicuramente artisti ma anche punk, anarchici, autonomi di sinistra, hippy, musicisti ed artisti di ogni genere, insomma tutta quella fetta di persone che aveva bisogno di uno spazio economico, libero ed al tempo stesso liberato, e dove, a mio avviso, c’erano ancora grandi possibilità di sperimentare e di muoversi in modo libero. Dal 2006 è iniziata un’immigrazione da parte dei sudeuropei prima, ma anche di tipo anglosassone subito dopo. Dalle testimonianze dirette di molti genitori ed amici, che sono andati a trovare i 50mila italiani arrivati in questa città negli ultimi anni, si è creato un passaparola sulla necessità di visitare Berlino, che fino a quel momento non era affatto una meta turistica “trendy”. Invece i tedeschi non la guardavano positivamente perché veniva considerata sporca, molto povera e troppo anarchica.

Dove vivevano gli alternativi?

Io non li definirei comunque alternativi, poiché all’epoca ritenevo Berlino una città senza stile ma non perché non ne avesse alcuno di per sé, ma per il fatto che non si potesse classificare sotto nessuno stile.  Paradossalmente l’unico stile di Berlino era che non aveva stile, ovvero che non poteva venire categorizzata. All’epoca Berlino ti dava ancora la possibilità di venire e di scoprire te stesso, nel senso di comprendere qual era la tua vera natura. L’assenza totale di giudizio e la presenza di molti spazi di libertà dava la possibilità ad ognuno di esprimere la propria essenza. Per questo motivo, secondo me, è riduttivo definire quelle persone come “alternative”. Ad ogni modo la maggior parte degli “alternativi”, se vogliamo chiamarli così, vivevano genericamente ad est, ossia a Prenzlauer Berg, Kreuzberg e Friedrichshain.

Quand’è che ha iniziato a cambiare Berlino?

Nel 2010, quando mi trasferii definitivamente, già notai delle differenze, anche visive, rispetto alla mia prima esperienza dell’Erasmus nel 2006. Per esempio il lungofiume ad Ostbahnof (non molto lontano dalla turistica East Side Gallery nda) era tutto un susseguirsi di locali che ora non esistono più, ma che già nel 2010 erano molto di meno rispetto a 4 anni prima. L’unica cosa che è rimasta è il cancello del Bar25, anche se loro si sono evoluti in maniera non del tutto negativa. Sempre vicino ad Ostbahnof dovrebbe sorgere uno dei grandi maxi progetti del Comune di Berlino – il discusso Mediaspree – che prevede la costruzione di centri commerciali e case di lusso lungo tutta l’area che passa a fianco del fiume Spree. Già nel 2006 si poteva ancora notare cosa volesse dire vivere a fianco del Muro; infatti, a parte i resti del Muro dove c’erano i vecchi murales degli anni ’90, non c’era assolutamente niente. Era molto romantico ed affascinante, anche se si percepiva la sensazione di vuoto. Secondo me comunque, il vero periodo di cambiamento era iniziato con i mondiali di calcio nel 2006 (vinti dall’Italia proprio nell’Olympiastadion di Berlino nda). Si potrebbe dire che i milioni di tifosi giunti qui in quella lontana estate non se ne siano mai andati fino ai giorni nostri.

Quali sono stati gli altri cambiamenti?

Un altro luogo che è cambiato moltissimo negli ultimi anni è stato il quartiere di Prenzlauer Berg. Quando arrivai per la prima volta, era proprio come se ne racconta: c’erano tantissimi localini, anche nascosti, frequentati da giovani. Gli affitti erano bassi e pertanto non c’era nemmeno la necessità da parte dei gestori di adottare politiche commerciali aggressive per poter sopravvivere. Se ti iscrivevi alle varie mailing list, ti capitava di ricevere inviti per feste segrete, organizzate nelle numerose cantine sotto i bar. Ora tutto questo non c’è più: ci sono solo ristoranti, dopo le 21:00 è raro vedere gruppi di persone in giro per strada ed ho quasi la sensazione che a Prenzlauer Berg siano rimasti solo locali turistici e bar per mamme incinte.

Torniamo a te: quando hai venuto l’idea di fondare questo spazio?

Il progetto LaBettoLab nasce da uno precedente. Nel 2010 ero arrivato a Berlino, nel 2011 mi connettevo con una serie di persone, cui sono ancora molto legato, ed assieme a loro avevamo pensato di aprire uno spazio sociale a Kreuzberg, non molto lontano dalla fermata della metro di Schlesisches Tor. Il progetto era incentrato sul libero scambio delle idee e delle conoscenze: l’incontro era basato non sullo scambio di beni per soldi, secondo le classiche logiche consumistiche, bensì su quello del tempo. Ogni persona metteva a disposizione il proprio tempo per gli altri: se per esempio qualcuno sapeva il tedesco, offriva 2-3 ore alla settimana di ripetizioni per stranieri in cambio di, mettiamo, lezioni di yoga. Si potevano lasciare delle donazioni ma questa piccola realtà doveva in ogni caso tirarsi fuori dalle logiche dell’economia classica.

Quanto era durato questo tuo primo progetto sociale?

Purtroppo solo 6 mesi, che sono stati comunque molto intensi. Infatti, nonostante fossimo ben voluti da un vicinato stanco delle solite operazioni speculative, alla scadenza del contratto l’Hausverwaltung (traducibile come amministratore condominiale nda), nonostante le sue rassicurazioni precedenti, ci aveva dato un ultimatum: o pagate 1.5000 Euro di affitto al mese, il doppio di prima, ed al tempo stesso non potete fare determinate cose, oppure vi cacciamo. Abbiamo preferito fare le valigie. Ora dopo 8 anni dalla nostra uscita, a parte qualche piccolo bar che è durato ben poco, il locale commerciale è ancora vuoto.

Ti senti deluso da Berlino?

Io fondamentalmente non sono mai stato deluso da Berlino e non lo sono tuttora. Ho maturato l’idea che questo sia il corso delle cose: quando qualsiasi cosa acquista un valore economico, viene sottratta da chi l’abita e ne usufruisce. Quando uno spazio non ti appartiene dal punto di vista economico, insomma non è tuo, ti può venire sottratto in qualsiasi momento, specialmente quando ha acquistato un valore economico alto, come lo ha acquistato tutta questa città. Non mi sento deluso, proprio perché ritengo che questa tendenza globale verso il profitto, legata alle logiche capitalistiche, sia presente anche qui a Berlino.

C’è ancora libertà di espressione artistica a Berlino?

Sì, ma sempre di meno e sempre in spazi più ristretti. La pressione si sente.

Quale pressione? Da dove proviene?

E’ una pressione economica. In realtà il concetto è molto semplice: se uno spazio ti costa poco, tu avrai la possibilità di donare quello spazio ad altre persone senza dover chiedere loro un grande contributo economico. Questo ha permesso a Berlino di dare la possibilità a tante persone di utilizzare e condividere gli spazi. E gli spazi, all’epoca numerosi, sono importanti per far circolare idee nuove. Magari in questo marasma di creatività c’erano anche cose che valevano poco, ma era presente anche tanta autenticità. Venendo negli ultimi anni a mancare appunto gli spazi, sono venute a mancare anche le possibilità. E’ semplice: se io devo pagare 2mila Euro di affitto al mese e se poi devo resistere a tutta una serie di pressioni, che provengono dai vicini che si lamentano per il rumore e che perciò chiamano subito la Polizei, o dal proprietario del locale che vuole cacciarmi per poter aumentare l’affitto a chi verrà dopo di me, è chiaro che prima o poi perderò la motivazione. Te la fanno passare, è solo una questione di tempo.

Grazie Manuele per la piacevole intervista che hai voluto rilasciare con me ed in bocca al lupo per il processo.

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