Perchè la guerra contro la Russia è inevitabile

Putin piovraDetto fatto. Mentre sto iniziando a scrivere l’ennesimo (ed inutile) articolo di avvertimento sull’inarrestabile escalation tra la Russia e l’Occidente, sono caduti i missili su Damasco. Al cinguettio del Comandante in Capo Trump sono seguiti i fatti. Secondo le cronache mediatiche, ad essere stati colpiti sarebbero stati depositi chimici. Io però ero rimasto al 2013, quando Assad decise di consegnare sotto ordine di Putin tutte le armi chimiche in suo possesso alle istituzioni internazionali. In questo modo si riuscì ad evitare l’intervento militare tanto paventato a vuoto da Obama ed ora portato a termine da Trump. Evidentemente dovrei aggiornarmi. Tuttavia, a prescindere dalle vicende siriane e dai diversi scenari che si prospettano, a mio parere bisogna alzare lo sguardo e tentare di capire a chi veramente erano indirizzati i missili “intelligenti” – testuali parole di Trump – occidentali. Il vero bersaglio, che dura come vedremo da vent’anni, è la Russia del demone di turno Putin. Lo stesso tweet di Trump era rivolto ai russi ma non era necessaria la sua esternazione per capire come la vera minaccia per l’Occidente liberissimo e democratico senza se e senza me sia la presenza sul terreno della Russia nello scacchiere mediorientale. Le due basi russe nel Mediterraneo sono due gocce nel mare, una volta nostrum, il quale è saldamente in mano angloamericana. Per chi ama la storia moderna, si ricorderà come gli inglesi riuscirono a mantenere il loro predominio geopolitico mondiale controllando il Mediterraneo attraverso 4 semplici e piccoli avamposti: Gibilterra, Malta, Suez e Cipro. Guarda caso quest’ultima isola situata ad un tiro di schioppo dalla Turchia, Siria ed Israele dispone ancora oggi di vasti territori occupati militarmente da basi inglesi. Cosa vogliamo dire con tutto ciò? Vogliamo in primo luogo affermare come l’Occidente stia tentando di sabotare gli accordi tra russi, iraniani e turchi di spartirsi la Siria sotto le rispettive zone di influenza, dopo che gli stessi occidentali sono stati cacciati da quello che sarebbe stato un ennesimo failed state (stile Kosovo, Libia ed Iraq) controllato a loro piacimento. Ho usato il condizionale dal momento che i bombardamenti russi e l’intervento sul campo di piccoli reparti di forze speciali ed addestratori inviati da Putin hanno ribaltato le sorti del conflitto, che parevano volgere inesorabili contro il Presidente (per molti dittatore) legittimo Assad. Siamo nel 2016 e fu la battaglia di Aleppo, ora dimenticata da tutti ma all’epoca ci si scandalizzò parecchio per i bombardamenti russi, a segnare le sorti del conflitto. Gli americani e i loro subordinati non l’hanno dimenticato e la faranno pagare cara.

Torniamo però indietro nel tempo per capire di cosa stiamo veramente parlando. Siamo nel 1990, il muro è caduto da un anno e la riunificazione della Germania è ormai cosa fatta. Il presidente americano George Bush, papà  dell’ex alcoolizzato che qualche anno dopo avrebbe fatto distruggere Iraq ed Afghanistan, decise di offrire un gentlemen agreement“ alla controparte sovietica, capeggiata da Gorbacev. L’accordo prevedeva una riunificazione delle due Germanie sotto l’ombrello militare della NATO in cambio tuttavia della rassicurazione da parte dell’Occidente di non espandere la propria presenza militare ad est del fiume Oder. Ora facciamo un veloce salto in avanti per arrivare al 2004: Slovenia, Croazia, Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Lituania, Lettonia, Estonia. Ho dimenticato qualcuno? Questi sono tutti i paesi, una volta socialisti oppure parti dell’Unione Sovietica, che hanno aderito all’Alleanza Atlantica. Nonostante le promesse di Bush padre di non espandersi ad est, tale patto è stato disatteso e tradito. Ricorda un po’ la vicenda dei coloni americani che facevano firmare trattati agli indiani, per poi stracciarli e sterminare quest’ultimi. Nel frattempo la Russia va in pezzi: Gorby viene spettacolarmente defenestrato da Eltsin, altro ubriacone messo al potere dalle èlite illuminate come Bush Junior, ed inizia un processo di privatizzazione gangsteristico che porta al furto di ingenti risorse energetiche da parte di pochi oligarchi. La mafia cresce e comanda nelle stanze dei bottoni, mentre gran parte della popolazione non riceve le paghe da mesi e non ha di che da mangiare. Pertanto una Russia indebolita non è in grado di battere i pugni o le scarpe, come fece Krutscev negli anni ’60, sul tavolo e non può far altro che prendere atto dell’espansione occidentale a ridosso dei suoi confini. Abbiamo però citato il 2004. Da cinque anni Eltsin si è dimesso e al suo posto ha nominato un oscuro ex funzionario del KGB, laureato in Legge con una tesi di Diritto Internazionale Comparato e per qualche mese perfino vice sindaco di San Pietroburgo, che voi tutti ovviamente conoscete. Il vento inizia a cambiare dal momento che, complice anche un favorevole rialzo dei prezzi del petrolio e del gas, lo stato russo è in grado di aumentare i propri introiti e pagare salari e pensioni a milioni di persone. Le condizioni di vita interne migliorano, mentre in politica estera Putin dichiara di voler far tornare la Russia sullo scacchiere internazionale. Viene più volte condannata l’espansione ad est della Nato ed il tradimento della promessa (orale) di Bush ricevendo in cambio al massimo un’alzata di spalle da parte dei colleghi occidentali.

Secondo me è a partire da questo punto che deve iniziare la nostra storia, che sta dipanando le estremità dei suoi tentacoli in Siria. Una Russia che dopo la traumatica esperienza neoliberista di Eltsin vuole tornare a farsi rispettare, non può essere accettata dall’Occidente che, dopo il crollo del comunismo, si crede il mandatario di una missione civilizzatrice nel resto del mondo. Tanto per cambiare, e noi italiani dovremmo conoscerlo bene, iniziano a scoppiare le bombe e a sgorgare dagli argini i rivoli del terrorismo ingrossatisi all’improvviso. Sanguinosi attentati ad un famoso teatro moscovita e ad una scuola elementare nell’Ossezia del Nord causano centinaia di morti innocenti, tra cui bambini, ma in entrambi i casi la risposta di Putin è draconiana: con i terroristi non si tratta. Vengono perciò dispiegati le forze speciali che fanno irruzione, ammazzano i terroristi (nella maggior parte dei casi ceceni o comunque caucasici) portando con sè appunto centinaia di poveri ostaggi innocenti. Ovviamente non tutti in Russia sono d’accordo con questa linea senza compromessi seguita da Putin, anche se la sua immagine pubblica si rafforza. Già  qualche anno prima, nel 2000, avevano fatto comparsa in Russia per la prima volta, ben prima cioè dell’11 settembre e delle crisi odierne, dei gruppi fondamentalisti islamici il cui scopo era quello di staccare le regioni caucasiche della Russia, popolate a maggioranza da musulmani, e fondare un loro Califfato. Dove abbiamo già  sentito questo termine? Ma certo, non è forse una delle parole più in voga e temute in Occidente da quando l’Isis è entrato nelle nostre vite? Ebbene questi primi tentativi di destabilizzazione della Russia dall’interno a colpi di bombe e stragi falliscono per la volontà del governo russo di “cacciare i terroristi e di andare ad ucciderli anche nei loro cessi” – sono testuali parole di Putin che chiunque può ancora trovare sulla Rete. I terroristi ceceni e caucasici, un po’ come succede ora con i fondamentalisti in Iraq e Siria, vennero all’epoca foraggiati dalle potenze emire del Golfo Persico. Arabia Saudita, Qatar, Bahrein e via dicendo sono sempre state un fattore di stabilizzazione politica per gli USA da una parte, mentre per gli stati a loro ostili si sono dimostrati un pozzo nero di caos e guerre civili.

La Russia, popolata al suo interno da rilevanti minoranze musulmane, non fa eccezione ma riesce a resistere alla strategia della tensione uccidendo i terroristi e permettendo a Putin di far dimenticare i propri problemi interni e a riacquistare popolarità. A questo punto scatta la fase due da parte dell’Occidente, anch’esso in crisi e alla costante ricerca di nemici malvagi su cui scaricare le tensioni interne. Da questo momento Putin diviene il simbolo di una Russia intollerante ed omofoba, che permette che gli omosessuali vengano picchiati sulla pubblica piazza senza che nessuno alzi il dito. Poco importa che uno dei maggiori alleati degli USA in Medioriente, l’Arabia Saudita citata qualche riga sopra, sia un coacervo di orrori medioevali nel quale le donne (nel silenzio totale delle femministe occidentali) sono trattate come delle spugne da riempire e gettare via quando non servono più. E’ quindi la Russia il nuovo nemico dell’Occidente, ossia quello stesso paese erede dell’Urss che non ha mai rinunciato alle proprie mire imperialistiche. I media occidentali all’unisono eseguono gli ordini come un’orchestra ben collaudata e ci sono periodi in cui non passa giorno senza che venga riportato un episodio interno alla Russia capace di far inorridire le delicate opinioni pubbliche occidentali. Inizia insomma in maniera lenta ma costante, per poi accelerare dal 2014, un processo di demonizzazione di Putin, colpevole in verità solo di non voler inchinarsi di fronte alla presunta, e ancora oggi non ancora dimostrata, superiorità morale e politica dell’Occidente. E’ lo stesso processo di demonizzazione mediatica, o se vogliamo di reductio ad Hitlerum“, che ha già coinvolto Saddam, Gheddafi, Milosevic e che ha visto in tutti questi casi nell’ordine la loro defenestrazione politica, la loro morte od uccisione pubblica a mò di esempio per tutti e soprattutto il crollo di tutte le strutture pubbliche dei paesi da loro governati. Dal 2011 lo stesso giochino viene fatto con Assad, a cui è stato intimato dalle nostre democrazie di andarsene via per il bene dell’umanità. A mio parere si tratta comunque di messaggi intimidatori di stampo mafioso. I missili che sono stati lanciati in queste ore ma anche lo scorso anno, se qualcuno si ricorda, non sono altro che messaggi inviati a chi proteggerebbe quei regimi considerati da noi unilateralmente come dittatoriali. E’ la stessa logica che portò Truman a sganciare nel ’45 le due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki; la guerra anche contro il Giappone era già in pratica vinta ma si volle lanciare il messaggio all’Unione Sovietica, anch’essa nel frattempo entrata in guerra contro l’Impero del Sol Levante, che si disponeva di un’arma nuova, distruttiva e che quindi dovesse indurre la potenza nemica a più miti consigli.

Il tema dei messaggi impliciti ed indiretti ritornerà spesso in questo articolo. Essi sono segnali minimi che non sempre vengono riportati dai media, anzi vengono per lo più trattati in poche righe. Eppure sono un sintomo della grande guerra che ci si appresta a combattere vicino casa nostra, sul nostro suolo. Essi sono come il mare che si ritira dalle spiagge prima che arrivi un grande tsunami; quando nel 2004 ci fu lo spettacolare e distruttivo tsunami che sconvolse l’Asia molti bagnanti morirono perchè non furono in grado di interpretare quel segnale sinistro. Rimasero in spiaggia come se niente fosse per poi essere travolti dalle onde. Ora i segnali si moltiplicano e dovrebbero essere evidenti anche a chi di politica internazionale non è appassionato. Uno è sicuramente rappresentato dalle sanzioni internazionali, o per meglio dire occidentali, comminate contro i paesi che si ribellano all’Impero. La storia è ricca di episodi di sanzioni tramutatisi in guerra aperta e distruzioni di paesi. Un caso recente è rappresentato dall’Iraq di Saddam Hussein, oggetto dopo la prima guerra del Golfo di un decennio ininterrotto di sanzioni economiche che hanno causato la morte di almeno mezzo milione di bambini. Le sanzioni furono un preludio alla distruzione del paese, portata a termine con successo nel 2003 dall’invasione angloamericana. Le sanzioni, oltre a causare la morte e la denutrizione di innocenti, indebolirono l’economia irachena costretta a vendere petrolio a prezzi bassissimi per tentare di sopravvivere. Su Youtube è possibile trovare ancora oggi un’intervista all’allora Segretario di Stato americano, la donna Madeleine Albright, che di fronte ad una domanda in merito affermò che valeva la pena mettere sul conto la morte di centinaia di migliaia di bambini a causa delle sanzioni. Anche la Serbia di Milosevic subì lo stesso trattamento a base di sanzioni, prima di essere bombardata dalla Nato e smembrata della sua regione storica del Kosovo. In quel caso tuttavia gli intellettuali di regime, come ora il nostro Saviano, aderirono ad una campagna stampa di sensibilizzazione dei crimini di Milosevic contro la popolazione civile, mentre non mi risulta che vi sia stata una protesta di massa di fronte alle aberranti dichiarazioni di un esponente di punta dell’allora amministrazione Clinton.

Fatto sta che le sanzioni economiche furono un preludio ad una serie di interventi militari che portarono alla privatizzazione o allo smembramento di stati una volta potenti o ricchi di risorse energetiche, che ora sono invece alla mercè degli investitori internazionali. La stessa Jugoslavia nel 1991 era il paese con il quarto esercito più potente d’Europa, mentre nell’oscurantista Iraq del sanguinario Saddam si recavano a studiare universitari e dottorandi provenienti da tutto il mondo arabo. La strategia delle sanzioni economiche contro minacce all’ordine occidentale, se vogliano tornare indietro nel tempo, furono una strategia efficace anche contro di noi. Infatti nel 1936 dopo l’invasione dell’Etiopia, l’Italia mussoliniana venne sanzionata dalla Società  delle Nazioni, un antenato delle Nazioni Unite altrettanto inutile come quest’ultimo organo, per l’aggressione in questione quando in verità la Francia e l’Inghilterra disponevano da secoli di colonie che governavano col pugno di ferro. Fatto sta che dopo qualche anno di sanzioni, vi fu la dichiarazione di guerra e l’Italia divenne una colonia fino ai giorni nostri. Stesso discorso era valso per il Giappone imperiale, il quale fu costretto ad attaccare la flotta americana di stanza a Pearl Harbour a causa dell’embargo contro l’import del petrolio necessario allo sforzo bellico.

Pertanto non dovrebbe sorprendere come nel 2014 l’Occidente abbia adottato le sanzioni economiche contro il nuovo nemico, la Russia di Putin. Il casus belli fu l’annessione della Crimea e l’abbattimento di un aereo di linea malesiano, avvenuto nei cieli del Donbass e per il quale non è ancora stata trovata la pistola fumante, ossia la prova definitiva che ad averlo causato siano stati i ribelli filo russi. Dopo il terrorismo interno ceceno foraggiato dalle monarchie del petroldollaro, sconfitto con la politica del muso duro, e un’ondata di terrorismo mediatico che ha avuto come corollario la vittoria di Putin ad ogni tornata elettorale, si era perciò passati all’emanazione di sanzioni economiche che durano tuttora e che tra le varie cose hanno danneggiato alcune economie europee più sensibili all’export di propri prodotti verso il mercato russo. Questo è un primo segnale di cui si dovrebbe tenere conto poichè, come la storia ci ha appunto dimostrato, alle sanzioni da parte dell’Occidente è seguita sempre (altro grassetto necessario) la guerra militare sul campo. Sarebbe successa la stessa cosa a Cuba e difatti Kennedy (osannato ancora oggi dai tedeschi per il suo discorso a Berlino Ovest) organizzò la fallimentare spedizione nella Baia dei Porci (nomen omen), ma ci pensarono i missili intercontinentali sovietici ad evitare il conflitto. Se non vi fosse stata l’eventualità che una guerra nucleare innescata dalla crisi dei missili avrebbe portato alla fine della civiltà umana, riteniamo che anche Cuba avrebbe seguito gli esempi di altri paesi. In compenso ricevette una buona dose di terrorismo e di tentativi di uccisione di Castro ma vediamo di non divagare. Quello che conta al lettore sapere è che la miccia delle sanzioni contro la Russia è stata accesa e l’esplosione avverrà  prima o poi. Dopo quello delle sanzioni occidentali che hanno sempre portato alla guerra e a distruzioni di paesi una volta ricchi, vi sarebbero altri segnali forse più sotterranei e difficili da cogliere. Uno è quello della visita del Ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, il quale si reca a Mosca ed incurante di essere un ospite accusa il paese ospitante di smetterla con le intromissioni degli hacker nelle elezioni politiche occidentali. L’intelligenza dell’individuo, in verità anch’egli membro delle èlite tanto che ha studiato nelle migliori università inglesi, si evince anche dal fatto di aver accusato la Russia di aver manipolato il referendum sulla Brexit, di cui lo stesso Johnson era ed è un fervente sostenitore. Secondo segnale da parte di Boris, altra ironia della sorte, è l’equiparazione tra l’annessione della Crimea e quella dei Sudeti di Hitler oppure la convinzione che i mondiali di calcio che, guerra permettendo, dovrebbero svolgersi quest’estate in Russia, non sono in verità molto diversi dalle olimpiadi tenutesi nella Berlino nazista nel 1936.

Se a qualcuno può interessare, l’equiparazione tra l’annessione russa della Crimea del 2014 e quella dei Sudeti da parte della Germania nazista del 1938 venne abbozzata anche da Zbigniew Brzezinski, noto neocon già consigliere politico dell’ex Presidente americano Carter e fautore della sconfitta sovietica in Afghanistan anche grazie al sostegno militare offerto ai fondamentalisti islamici presenti sul posto. Il sasso è stato comunque lanciato ma fa impressione che alcune di queste dichiarazioni, per esempio quella sull’intromissione russa nelle elezioni politiche britanniche, siano state pronunciate a casa del nemico. Se non è un segnale mafioso questo, non saprei come meglio definirlo. Il caso ha voluto che qualche mese dopo quella visita a Mosca avvenuta in ottobre, nella quale venne appunto inviato un ultimatum a non intromettersi nella vicende politiche inglesi, si sia verificato il caso Skrypal. Quest’ultima escalation tra l’Occidente e la Russia ha visto l’Unione Europea, con distinguo importanti come l’Austria e l’Ungheria, accettare in toto la versione ufficiale britannica che accusava Putin stesso di aver dato l’ordine di avvelenare la spia doppiogiochista e sua figlia. Va da sè che la May non ha ancora fornito le tanto proclamate prove delle responsabilità russe, un po’ come fece (anzi non fece) Colin Powell con il caso dell’Iraq. Dalla nostra UE sempre più in salute e lontana dalla crisi economica proviene un ulteriore indizio che porta direttamente alla guerra. L’anno scorso il Parlamento Europeo, forse l’unico caso al mondo di organo senza completo potere legislativo, approvò una risoluzione che affermava che la Russia forniva sostegno finanziario ai partiti politici d’opposizione dei paesi membri della UE ed utilizzava le relazioni bilaterali coi singoli paesi come fattore di divisione tra i membri dell’Unione.” Non male per un’istituzione come l’Unione Europea insignita del Nobel per la Pace per aver assicurato la pace in Europa e che ora censura i media alternativi che hanno la colpa imperdonabile di proporre ai cittadini una narrazione diversa dalla propria, paragonandoli nel documento in questione perfino alla propaganda dell’Isis e a quella di altri gruppi islamisti.

Si sa: in guerra la prima a morire è la verità ed è quindi giusto per un’Europa sempre più ostaggio dell’impero americano in declino portarsi avanti con il lavoro. Ci sarebbe da aprire un libro a parte sulla demonizzazione delle notizie alternative alle continue menzogne del sistema, definite con la lingua dei colonizzatori come fake news ma il tempo scarseggia. Si potrebbe ricordare la continua campagna sugli hacker russi, citata sopra nel caso Johnson, secondo la quale la Brexit e Trump non sarebbero state causate da un disagio sempre pù crescente di vasti settori di popolazioni bianche impoverite e deluse bensì da una centrale della Spectre internazionale con sede a Mosca. Ci basti sapere che le sanzioni e contro sanzioni, la cacciata di diplomatici da entrambe le parti, l’uccisione di un diplomatico russo avvenuto in Turchia lo stesso giorno in cui ad Astana (Kazakhistan) si discuteva del futuro della Siria, la censura e la propaganda mediatica, la corsa al riarmo, i missili lanciati come avvertimento e, se vogliamo, il dispiegamento di nostri militari in Lettonia previsto per il prossimo anno, non sono in verità nulla di fronte alla mancanza di pietà per le vittime del paese nemico. Quest’ultime hanno la colpa di essere cittadini di un paese considerato come il Male Assoluto dall’Occidente e pertanto non meritano carità nel caso in cui finiscano vittime di un attentato. Mi riferisco ovviamente al rifiuto da parte della capitale Berlino di illuminare in maniera altamente simbolica la Porta di Brandeburgo all’indomani di un attentato terroristico avvenuto l’anno scorso in una stazione della metro di San Pietroburgo.

Il lettore considererà  l’episodio insignificante ma dovrebbe perlomeno sapere che in altri casi di stragi la Porta si era illuminata dei colori delle bandiere francese, inglese, americana e perfino di quella arcobaleno dei gay. Guarda caso la Francia, la Gran Bretagna e USA sono gli stessi attori ad aver bombardato la Siria questa notte. Tornando all’episodio, nel caso della Russia si era deciso di non illuminare il monumento con i suoi colori. La scusa ufficiale proposta dal sindaco (SPD) Müller era che si sarebbe dovuto illuminare la Porta solo nel caso in cui la città  colpita fosse gemellata con Berlino. A parte che non mi risulta che i gay abbiano una loro città  ma il vero motivo era che non bisognava provare pietà  per il nemico; sarebbe come se nel 1944 ci fosse stata a Berlino una cerimonia di commemorazione dei prigionieri russi morti nei campi di concentramento o di marinai inglesi annegati nell’Atlantico. Ad aggiungere un tocco di menzogna è tuttavia il particolare che vede il quartiere di Tiergarten, zona di Berlino dove si situa la Porta di Brandeburgo, gemellato proprio con San Pietroburgo. Inoltre a fianco del monumento è situata l’ingombrante ambasciata americana; non sia mai che a qualche funzionario si verifichi un arresto cardiaco nel vedere all’improvviso il tricolore russo. Dopo le sanzioni che minano le economie dei paesi nemici e le censura dei media che distruggono la verità, rimane come logica conseguenza quella di estirpare la pietà per i cittadini facenti parte della nazione nemica e di questo i tedeschi hanno una solida base storica e culturale.

In queste ore l’establishment politico tedesco si sta dimostrando in ogni caso volenteroso esecutore della linea atlantista: della Merkel che nel 2004 firmò un documento di fedeltà americana all’indomani dell’invasione irachena e poco prima della sua prima vittoria elettorale non si dovrebbe nemmeno parlare, ma dovrebbe suscitare perlomeno una certa impressione ai militanti di sinistra come l’odierno Ministero degli Esteri capitanato dal socialdemocratico Maas abbia auspicato una linea più dura – härter – contro la Russia oltre ad aver definito il recente bombardamento su Damasco come una risposta militare necessaria ed appropriata. Non sarà forse nemmeno qui un caso come il Ministro degli Esteri socialdemocratico nella precedente esperienza governativa con la Merkel fosse stato al capo del dicastero della Giustizia e fautore della legge che autorizza l’autorità preposta a multare Facebook ed altri social per la mancata rimozione entro 48 ore di materiale considerato, non si sa bene da chi, offensivo e istigante all’odio. In un paese sempre più irrilevante dal punto di vista geopolitico, invecchiato e con livelli generali di cultura sempre più bassi (si sto parlando proprio della Germania, cari italiani!) risulta insomma necessario serrare le fila della cittadella assediata dai nuovi barbari. La militarizzazione della società tedesca ci sta regalando curiosi corollari come quello che vede il numero delle reclute minorenni aumentare negli ultimi anni oppure quello dell’esercito che tiene corsi nelle scuole elementari, senza contare la sua presenza costante nelle fiere presentandosi come rispettabile datore di lavoro. Già l’anno scorso avevo riportato un piano d’emergenza per la popolazione civile messo nero su bianco e presentato alla stampa. Tra le varie raccomandazioni si faceva riferimento all’obbligo per i civili di tenere riserve d’acqua e generi alimentari bastanti per almeno due settimane ma siamo sicuri che il governo facesse riferimento a catastrofi naturali e non a quelle di tipo nucleare. Per non farci mancare nulla, in casa nostra Giggino di Maio ha recentemente dichiarato la sua fedeltà  all’Alleanza Atlantica, anche lui folgorato sulla via di Washington, ma cerchiamo di tenere alto il livello del discorso.

E’ proprio per rimanere fedeli a questo obiettivo che nel prossimo numero ci occuperemo delle vere cause della guerra prossima ventura, meno scontate di quanto ci si potrebbe attendere.

PS A i tanti che come il sottoscritto soffrono di complottismo, forse potrà interessare che il presunto attacco chimico di Assad e logica escalation occidentale sia avvenuto domenica 8 aprile. Il particolare interessante è che proprio quella domenica si festeggiava la Pasqua Ortodossa. Ulteriore messaggio a Mosca?

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