L’altra potenza marittima di stampo anglosassone aveva deciso tramite un referendum di due estati fa di scommettere su un’eventuale crollo dell’Unione Europea, uscendo da essa. Il panico nei media tedeschi, e non solo, fu inarrestabile, e non mancarono nemmeno intellettuali nostrani che addirittura si arrischiarono a paragonare gli elettori fautori della Brexit con le folle oceaniche che osannarono Hitler e Mussolini. In verità sarebbe bastato anche alle persone più inesperte di politica internazionale farsi nei mesi precedenti un giretto su Youtube ed osservare le immagini dei campi profughi dati alle fiamme dagli stessi migranti economici a Calais in Francia, mentre attendevano di entrare in Inghilterra, oppure di guardare i numerosi interventi di Farage al Parlamento Europeo contro le scelte adottate dal governo Merkel per avere un’idea più precisa e meno ideologizzata della Brexit. In ogni caso, tornando al tema originale, la Germania per propria miopia politica ed ideologia economica si ritrova ancora una volta sotto assedio. Nello specifico ad ovest deve subire le ritorsioni di un mondo anglosassone che si sta coagulando intorno alla storica special relationship tra i governi di Londra e Washington e che sempre di più desidera picconare alla Cossiga il sistema commerciale che finora sta vedendo due soli vincitori, ossia la Cina e la Germania. Per comprendere il disagio sempre più impellente dei governanti e governati tedeschi, ci si può inoltre affidare non a qualche blog complottistico bensì ad un articolo dello Spiegel[1] che recita testualmente quanto segue:
“Non solo la stessa Gran Bretagna, ma anche l’economia tedesca pagherà conseguenze costose per la Brexit. Secondo uno studio attuale i costi saranno superiori ai 9 miliardi di Euro all’anno nel caso in cui il commercio con l’UK dopo l’uscita di quest’ultima dalla UE tornerà ad essere regolato secondo le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Ciò significa dazi, barriere commerciali e tempi d’attesa al confine, che comporteranno appunto dei costi per le imprese. Questi costi sono stati calcolati dal consigliere per le aziende Oliver Wyaman e dalla società legale Clifford Chance.”
L’articolo del settimanale tedesco, da sempre europeista, procede con la scontata conclusione che ad essere più colpiti economicamente da un’eventuale “hard Brexit“ sarebbero quei paesi dell’Unione Europea con una spiccata tendenza ad esportare beni nei confronti del Regno Unito. Di questi 9 miliardi di Euro di costi preventivati per la regina mondiale dell’export, oltre che economia trainante della UE, ben un terzo è riconducibile al settore automobilistico tedesco che subirebbe perdite considerate catastrofiche qualche anno fa. L’altro fronte caldo contro il mondo anglosassone è, come già citato all’inizio, quello causato dalla volontà da parte di Trump di istituire dei dazi commerciali per incentivare in primo luogo la produzione interna d’acciaio e alluminio, che da quando la Cina è entrata nel WTO negli anni ’90 sotto il beneplacito dell’allora presidente Clinton, è in crisi profonda e ha visto la perdita di milioni di posti di lavoro. La seconda misura, non ancora presa ma in programma, avrà lo scopo di frenare l’import di auto tedesche delle varie case automobilistiche famose in tutto il mondo come la Porsche, la BMW e la Volkswagen. Ancora una volta ci si strappa le vesti d’indignazione e sorpresa ma sarebbe bastato seguire certi dibattiti avvenuti negli ultimi anni sul ruolo della Germania nel manipolare un Euro debole e nel far indebitare gli altri paesi per capire le scelte intraprese da Trump.
Una delle conseguenze politiche di questo dogma economico portato avanti senza discussioni, nonostante anni di critiche sempre più pressanti, è stata la Brexit e la vittoria dei partiti euroscettici sia in Europa che in America con Trump. Nonostante ciò, il popolo tedesco a sua maggioranza ha evidentemente deciso ancora una volta di combattere contro il mondo intero e di accettare per la terza volta la sindrome d’accerchiamento. Forse questo sentirsi isolati ed al tempo stesso convinti di non essere nel torto potrebbe spiegare la riproposizione dell’ennesima grande coalizione, illudendosi di spacciare i mali come rimedi. Un noto economista nostrano di nome Sapelli, che spero nessuno abbia l’ardore di definire complottista o in mala fede, già tre anni fa durante una trasmissione televisiva ebbe ad affermare cose non da poco come il fatto che “80 milioni di tedeschi sono incompatibili con uno sviluppo democratico dell’Europa” e che “la Germania scatenerà la terza guerra mondiale e la quarta economica”[2]. Sul primo punto ne possiamo parlare ma per il secondo, al netto dell’autorevolezza del Professore d’Economia, possiamo essere certi che la guerra economica è stata dichiarata dalle potenze marittime anglosassoni dopo anni di lenta ma inesorabile ascesa tedesca a colpi di export. Per quanto riguarda invece la previsione del Professor Sapelli sul terzo conflitto mondiale non siamo ancora in grado, per fortuna, di esprimere un giudizio definitivo.
[1] http://www.spiegel.de/wirtschaft/unternehmen/brexit-wuerde-deutschen-unternehmen-neun-milliarden-euro-kosten-a-1197592.html
[2] https://www.youtube.com/watch?v=0LqEezG2sgE