Trieste über alles

triesteSignore e signori, scapoli e ammogliati, guelfi e ghibellini,

ancora fresco ed inorgoglito degli ultimi sondaggi dell’Agenzia Bubez che dà il mio indice di gradimento a livello Sandokan dopo che i miei primi quattro libelli infuocati sono stati letti da altrettante persone, le quali secondo la solita stampa di regime faziosa e plutocratica sarebbero stati deviati lungo una linea cerebrale morta dalle mie estremamente vaghe ma tuttavia sempre affascinanti promesse di giri alcoolici gratuiti, voglio provare ora a cimentarmi in un avticolo di cavatteve stovico pev la pleve sottosviluppava e visognosa di covoscenza. A quell’unica persona nell’emisfero occidentale che ha riconosciuto e (forse) apprezzato il mio umorismo di stampo agnelliano, vorrei dire: ma che ci stai facendo qua?

Questo piccolo articoletto vuole essere un rilassante aperitivo da degustare per riprendersi dal turbinio di emozioni provocate dalle mie allucinanti interviste nel ventre molle della Germania merkeliana. Per fare un breve ma per molti già estenuante riassunto delle precedenti avventure, vorrei ricordare ai miei lettori che finora mi sono imbattuto in una coppia di ultra comunisti provenienti dal passato i quali mi hanno fatto assaporare una torta con ciliegina rossa in cima che gli opinion makers e gli urlatori di regime hanno sempre giurato fosse avvelenata, ho camminato poi lungo selciati di una Marzahn contadina che fu, riflettendo sul valore di quello spicchio di tradizione conservata a fatica e sull’arroganza occidentale che invece quel mondo contadino lo ha distrutto nella maniera più atroce, ossia deridendolo. Ho tentato di intervistare russi incazzati e mi sono quasi ritrovato dentro una bara ancora vivo, senza contare i chili persi (vabbè diciamo qualche grammo) inseguendo lungo viali ciclopici vecchietti insolenti da intervistare, che spesso sono riusciti a svignarsela come vere e proprie schegge impazzite di comunismo infantile. Insomma posso ben dire di essermi gettato a capofitto in una vasca vuota e, nonostante l’iniziale e fisiologico shock da craniata, ho tuttavia provato piacere a immaginare di nuotare con la mia mente nelle torbide ma anche misteriose, e proprio per questo affascinanti, acque socialiste.

Durante la mia intervista nella biblioteca di Marzahn con Christoph (ve lo ricordate spero!) è emerso in maniera del tutto inaspettata un iceberg alla cui cima è rimasta incastonata un’arma bianca ormai non più utilizzata se non nelle sfiziosi manifestazioni di leggiadra forza spirituale delle guardie svizzere: la mitica alabarda! Quest’arma ormai del tutto inutile e spuntata è il simbolo della mia città natale, ossia la bella addormentata Trieste, porto di mare dal passato glorioso e immersa da diverso tempo in un sonno profondo sebbene si trovi adagiata su uno scomodo letto carsico composto da pietre e pini pungenti, con l’ulteriore fastidio provocato dagli spifferi della bora e dagli schiamazzi del mare.

Durante le mie incalzanti domande da Bruno Vespa in calore ho scoperto una cosa inquietante: a Marzahn è tuttora presente una fabbrica la cui fondazione porta dritta dritta ad un mio corregionale. Tale triestino il cui nome non dirà niente a nessuno, compreso al sottoscritto fino a qualche settimana fa, si chiamava Camillo Castiglioni e, pensate un po’, fino agli anni ’20 era l’uomo più ricco dell’Europa Centrale senza considerare inoltre che il suo sterminato patrimonio finanziario aveva contribuito a salvare dal fallimento nientepopodimeno che…la Bmw. Quei miei pochi seguaci che hanno sempre risposto con un sorriso bonario alle mie stravaganze finora tutto sommato innocue, saranno oramai giunti alla conclusione che ho perso decisamente il lume della ragione. Mi dispiace deluderli ma ciò che ho appena accennato sul conto di Castiglioni è del tutto vero.

Il paradosso di questa storia è che sono giunto fino all’estrema periferia della capitale millenaria per gettare una luce obiettiva sulle tenebre socialiste e invece mi sono trovato tra le mani la storia incredibile di un triestino ricchissimo e rinomato negli ambienti finanziari che contavano ma il cui nome oggi dirà qualcosa solo ad alcuni storici di nicchia; sarebbe come dire che nessuno oggigiorno sappia chi fosse Giovanni Agnelli o Enzo Ferrari. Investigando qua e là ho tentato di saperne qualcosa di più sul suo conto ed è uscito fuori il ritratto di una persona complessa, al tempo stesso spregiudicato finanziere ma anche protettore delle arti, fedele alla corona austriaca ma pronto a richiedere la cittadinanza italiana dopo la disfatta dell’impero asburgico nel primo conflitto mondiale, un finanziere che era giunto a possedere la BMW (non sono ubriaco) ma che nonostante ciò finì in rovina a causa di azzardate manovre speculative operate negli anni ’20.

Ma come sono giunto a questo diavolaccio di un triestino?

Partiamo innanzitutto dalla coordinate spazio – temporali: Camillo Castiglioni nasce il 22 ottobre 1875 a Trieste, figlio del capo rabbino della numerosa comunità israelitica della città. A quel tempo Trieste stava conoscendo una fase di crescita economica inarrestabile: lo status di unico porto dell’impero asburgico sull’Adriatico aveva determinato un boom negli scambi marittimi e una crescita impetuosa della città tanto che all’inizio del Novecento essa contava più abitanti rispetto ad ora, circa 240mila rispetto ai 200mila odierni. Il fenomeno del multi-kulti, come viene chiamato qui a Berlino, era un dato di fatto assodato da tempo nella Trieste di fine Ottocento: italiani, greci, ebrei, armeni, serbi, tedeschi, sloveni, croati e persino qualche turco si erano trasferiti in questa vetrina dell’impero alla ricerca di successo ed affermazione sociale.

Castiglioni si inserisce perfettamente in questo contesto: il cognome italiano non deve tradire la sua perfetta integrazione nel sistema alto-borghese e finanziario austriaco. Dopo la laurea in legge a Padova, il nostro si trasferisce a Costantinopoli (l’odierna Istanbul) dove lavora come rappresentante commerciale di una ditta viennese che produce gomma sintetica. La sua propensione a concludere con successo affari assieme alla profonda conoscenza delle dinamiche regolanti i mercati finanziari lo spingono rapidamente a far carriera e ad assumere l’importante posizione di direttore generale della divisione export della sede viennese di tale ditta, l’Austro – American Gummiwaren Fabrik AG.

Ma è durante quel tremendo ed assurdo suicidio collettivo della civiltà europea, conosciuto al grande pubblico come prima guerra mondiale, che l’impero di Castiglioni getta le sue basi. Fino a quel momento egli dimostra un fortissimo interesse, se non una vera e propria passione, per l’aviazione che all’epoca era ancora ai primordi. E’ acuto nel comprendere come quel suo stravagante hobby possa diventare anche un’attività lucrativa: infatti i sempre più forti venti di guerra stanno spingendo le monarchie e le “democrazie” europee ad investire sempre più fondi verso il settore velivolo. Già nel 1901 Castiglioni assieme ad altri soci contribuisce a fondare il Viennese Aero Club (più tardi conosciuto come Austrian Aero Club) e nel 1904 ne diventa il direttore generale.

Durante gli spensierati anni della Belle Epoque antecedenti la guerra, Castiglioni fonda moltissime altre aziende nel campo dell’aviazione, compresa una tale Hansa und Brandeburgische Flugzeugwerke nella quale lavora come capo ingegnere Ernst Heinkel che in seguito avrebbe progettato per la Luftwaffe hitleriana il primo modello al mondo di aereo a reazione, il cosiddetto Heinkel He 178. Nel frattempo Castiglioni acquista anche la quota maggioritaria della filiale austriaca della Daimler dove lavorano ingegneri del calibro di Porsche e Puch. Il primo penso che lo conosciate tutti mentre il secondo era un costruttore sloveno che aveva dato un contributo importante nello sviluppo delle prime motociclette.

Come accennato sopra, è durante la prima guerra mondiale che Castiglioni costruisce il suo impero finanziario. Fonda una dopo l’altra un numero impressionante di imprese aeronautiche tanto che si stima che al massimo del suo apogeo egli possieda circa 170 aziende. Egli riesce tuttavia a diversificare i suoi investimenti e soprattutto comprende come oramai il tanto amato Impero non abbia più speranze di vincere e che, come conseguenza di ciò, le commesse militari sarebbero inevitabilmente crollate con la fine della guerra, cosa che poi avviene. Grazie ad alcuni contatti in Italia e alla presenza di parenti a Milano, trova il tempo di richiedere ed ottenere la cittadinanza italiana per poter usufruire dei vantaggi derivanti dalla vittoria della monarchia sabauda.

Nel frattempo nel 1918 convince una banca austriaca, la Wiener Bankverein, ad acquisire il pacchetto di maggioranza di una piccola azienda di velivoli e automobili che porta il nome di BMW. Lui stesso acquista il know – how tecnico, tutto l’equipaggiamento relativo al materiale ingegneristico e di costruzione nonché il diritto di utilizzare il nome del marchio. Dalla rifondazione della BMW fino al 9 novembre del 1922 e poi dal 1924 al 1929 Castiglioni è membro del consiglio d’amministrazione nonché presidente della BMW stessa. Ricapitolando per gli esterrefatti lettori: un triestino aveva contribuito con le sue pressoché illimitate risorse finanziarie e la profonda conoscenza dell’impianto ingegneristico dei motori a salvare la BMW da fallimento certo per poi divenire lui stesso presidente dell’azienda. Tutto ciò è stato compiuto da un triestino nato come cittadino austro-ungarico, di religione ebraica e naturalizzato italiano. Se a voi sembra poco…

Ma el mulon non è dedito solo agli aridi affari: l’incredibile ricchezza accumulata grazie alle commesse militari e ad azzardate manovre speculative gli permette di creare una collezione privata d’arte tra le più importanti in Europa. A quel tempo la collezione si trovava nell’Wiener Palais a Vienna, all’epoca denominato Palais Miller-Aichholz, in Prinz-Eugen Strasse 28 nel cui stesso palazzo avvenivano, secondo il gossip viennese di quegli anni, delle vere e proprie feste post-imperiali di stampo arcoriano; insomma un bungen – bungen ante litteram. Lascio alla sterminata fantasia dei lettori di immaginare il resto….La sua innegabile megalomania lo porta addirittura a comprare una vettura privata appartenente al defunto imperatore Francesco Giuseppe e a farsi vedere pubblicamente al suo interno mentre lui stesso, tronfio e soddisfatto di sé, la guida per le strade di Vienna. Pochi lo sanno ma il nostro mecenate triestino ha inoltre contribuito in maniera decisiva a far edificare il Theater in der Josefstadt per il celeberrimo produttore teatrale e cinematografico Max Reinhardt, oltreché a finanziare il Festival della musica di Salisburgo, che da quasi 100 cent’anni si tiene nell’omonima città e che costituisce un evento di portata mondiale per gli amanti del genere.

A questo punto sorge spontanea una domanda: ma com’è possibile che un finanziere del genere, il quale era considerato l’uomo più ricco dell’Europa Centrale, sia riuscito a dilapidare il suo immenso patrimonio e a finire nel dimenticatoio?

Per uno speculatore come Castiglioni, considerato secondo un termine molto in voga all’epoca per definire quelli della sua genìa “un pescecane”, l’appetito vien mangiando. Nel 1924 però la sua ingordigia provoca un indigestione dagli effetti catastrofici: scommettendo assieme ad altri banchieri e speculatori, come per esempio Fritz Mannheimer, sul ribasso a lungo termine del franco francese, era riuscito a causare un crollo del 40% di tale valuta valuta in meno di un mese. Tuttavia quando nel settembre del ’24 la banca di investimenti Mazard, con l’aiuto della banca centrale francese, compra una quantità immensa di franchi per evitare un’inflazione dagli effetti imprevedibili e probabilmente catastrofici, il valore del franco si rialza e Castiglioni ci perde letteralmente milioni. Il nostro deve vendere la maggior parte delle sue partecipazioni azionarie, comprese quelle nella BMW, e quasi tutte le sue aziende. A peggiorare ulteriormente le cose ci pensa anche il fallimento della Austrian Depositenbank di cui è presidente; viene emanato un mandato d’arresto austriaco nei suoi confronti e la detenzione viene evitata solamente tramite il pagamento di un’esosa cauzione. Tra gli anni ’30 e ’40 il nostro riesce tuttavia a tirarsi su economicamente grazie al suo ruolo di intermediario tra alcune banche d’affari americane, una su tutte Morgan JP (sempre loro!), e diversi governi europei ma lo splendore dei ruggenti anni ’20 è ormai un ricordo lontano nel tempo. Insomma l’impero è definitivamente sul viale del tramonto.

Dopo la fine del secondo conflitto mondiale lo ritroviamo di nuovo sulla scena pubblica dal momento che ha pensato bene di intentare una clamorosa causa giudiziaria ad un Tito ancora fresco liberatore della Jugoslavia dai nazisti e a cui nemmeno baffone Stalin era riuscito ad imporre la sua disciplina cominformista. Tutto nasce da un investimento di una banca americana concesso al governo jugoslavo per 40 milioni di dollari a cui Castiglioni aveva dato un contribuito essenziale sotto l’aspetto negoziale. Il governo jugoslavo aveva promesso di pagargli le provvigioni cosa che poi non avviene; di fronte a questo clamoroso bidone il nostro non la prende bene anzi si incazza come una bestia (cit.)! Cita in giudizio il governo jugoslavo di fronte ad un tribunale civile italiano il quale gli dà incredibilmente (ma forse neanche tanto visti i contatti del personaggio) ragione. Per rivalersi del danno subìto, Camillo si azzarda a chiedere il pignoramento dei beni jugoslavi presenti sul suolo italiano, compreso il consolato jugoslavo a Milano, cosa che puntualmente si verifica. A quel punto il Tesoro italiano, per evitare un’ulteriore crisi diplomatica anche in considerazione della non ancora risolta vicenda del ritorno di Trieste all’Italia, decide di pagare a Castiglioni i 100mila dollari promessi dal governo jugoslavo stornandoli dal “fondo riparazioni” dovute dal governo di Roma a quello di Belgrado.

Questa è stata l’ultima fiammata del nostro supereroe borghese: nell’indifferenza generale Camillo Castiglioni muore a Roma il 18 dicembre 1957. Da quel momento in poi il Golem capitalista ha goduto di un sonno ancestrale finché il sottoscritto non lo ha svegliato dalle tenebre in cui riposava….

Probabilmente questo aperitivo in verità si è rivelato un’ubriacatura di informazioni inutili. Tant’è…se questa puntata vi è piaciuta, continuate a seguirmi. Se la puntata vi è piaciuta ma il blog continua a farvi schifo, vuol dire che sto migliorando. Se amate il mio blog ma questa storia vi ha deluso, chiuderò un occhio. Se il mio interesse morboso per Castiglioni ha confermato il vostro giudizio non proprio lusinghiero nei confronti della mia sanità mentale, andè in mona de vostra mare! Detto con affetto. Smack.

Una risposta a “Trieste über alles”

  1. Da triestina ho apprezzato davvero moltissimo questo articolo che mi ha fatto scoprire un conterraneo finora sconosciuto. Continua così caro Triestin-Berlinese e facci scoprire ancora tante cose!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *