Sul ponte sventola bandiera falsa

downloadPurtroppo ancora una volta la mia speranza è stata vana: l’attentatore tunisino Amri è stato ucciso e non potrà così rivelare i nomi dei complici e dei mandanti. La sorpresa personale era dovuta solo alla lentezza con la quale la bocca del perfido terrorista è stata chiusa per sempre; mi aspettavo infatti che la polizia non perdesse troppo tempo a mandarlo al Creatore per impedirgli di parlare e svelare i veri dettagli dell’operazione. Vorrei ora dare un mio contributo a quelle che io ritengo le reali dinamiche dell’attentato, contributo fazioso e velato da un certo anti – americanismo d’antan che confermerà in maniera stabile la mia presenza nel pantheon del complottismo.

Ecco come sono andati i fatti in quel fatidico lunedì 19 dicembre a Berlino: premetto in primo luogo che gli attentatori erano due e non solo il povero sbandato Amri. La presenza di due terroristi in loco è avvalorata da un mero procedimento logico: il camionista polacco, dopo aver parcheggiato il suo tir vicino ad un deposito, è stato avvicinato da due persone armate che gli hanno intimato di aprire le porte del tir e di salire con lui dal momento che era loro intenzione quella di rubare il mezzo. Qualora vi fosse stato solo Amri a minacciare il corpulento camionista, quest’ultimo avrebbe avuto gioco facile nell’opporre resistenza e probabilmente a mettere in fuga il malvivente. Secondo infatti la testimonianza diretta del fratello, il camionista polacco Lukasz era un corpulento omone di 1,83 m di altezza e 140 chili di peso1; pensare che lo snello e di sicuro non robusto tunisino Amri fosse riuscito ad avere la meglio da solo su di lui con un mero coltellino mi lascia alquanto scettico, per usare un generoso eufemismo. Gli attentatori dovevano essere perciò due: uno il nostro Amri armato di un coltello e di un’inadeguata pistola calibro 22 in tasca ed il suo complice, ben più addestrato e con ramificazioni a livelli più alti che gli hanno ordinato l’operazione, armato a sua volta di una pistola professionale con silenziatore con la quale ha intimato a Lukasz di consegnare loro le chiavi e di salire anche lui sul tir.

Il particolare secondo il quale il camionista è salito sul tir è molto importante per definire la vicenda: qualora infatti il camionista fosse stato ucciso dagli attentatori e lasciato sul posto, sarebbe scattato quasi subito l’allarme e gli investigatori si sarebbero messi sulle tracce del tir dirottato. Va da sé che se qualcosa fosse andato storto durante i primi minuti dell’operazione, il secondo ed anonimo attentatore – che d’ora in poi chiameremo il “professionista” – non si sarebbe fatto scrupoli ad eliminare fisicamente sia Amri che l’autista polacco lasciando tracce di una presunta colluttazione tra le parti e facendo finire lì la vicenda come tentato furto di camion finito male. Ad ogni modo continuiamo con la narrazione: il camionista polacco, sotto minaccia diretta della pistola del professionista, sarebbe salito sul tir con loro; Amri si sarebbe messo alla guida del tir come da accordi pregressi, mentre il professionista si sarebbe seduto in mezzo al tunisino e l’autista polacco minacciando quest’ultimo con la pistola ben posizionata sullo stomaco di mostrare loro i fondamentali della guida di un mezzo pesante come quel tir. Importante dettaglio che mi ero quasi dimenticato di far notare al lettore: il povero camionista non avrebbe mai potuto immaginare che quei due loschi tipi potessero essere dei terroristi islamici pronti a compiere una strage di civili, bensì avrà pensato a dei meri ladri che per un motivo a lui sconosciuto volevano limitarsi a rubare quel tir. Molto probabilmente l’aspetto non mediorientale del professionista, in contrasto invece con il tunisino Amri, deve averlo fatto propendere per tale ipotesi.

A quel punto devono essere state circa le 16.00 dal momento che, sempre secondo la testimonianza del fratello di Lukasz, da quell’orario in poi l’autista non ha risposto più ai suoi messaggi su Whatsapp. Secondo le rilevazioni del GPS, il motore del tir viene acceso e spento più volte e lo stesso camion fa brevi ed insicuri movimenti; questo perché Amri doveva prendere dimestichezza con calma e meno stress possibile del mezzo mentre il professionista teneva sotto controllo l’omone di 140 chili che avrebbe potuto in qualsiasi momento ribellarsi e tentare una sortita. Immaginare un tunisino di 23 anni mingherlino (vedere immagine di copertina) che da solo tenta di guidare il camion mentre l’omone al suo fianco non fa nulla per contrastarlo è un’ipotesi che non prendo nemmeno in considerazione. Arriviamo dunque al fatidico momento dell’attentato al mercatino: arrivati in prossimità della piazza e qualche istante prima che Amri prema il piede sull’acceleratore, il professionista spara uno o più colpi (col silenziatore) sul camionista sia per impedirgli un’ultima disperata resistenza che avrebbe potuto vanificare tutto all’ultimo sia per eliminare l’unico vero testimone. Inoltre intelligentemente, e da programma stabilito, il professionista conclude l’uccisione con diverse coltellate sulla vittima in modo tale da far credere agli inquirenti e alla stampa che l’autista fosse un eroe morto durante una colluttazione atta ad impedire l’estremo gesto di Amri o perlomeno limitare le vittime. Se ci pensate bene, il leit motiv degli ostaggi che si ribellano disperatamente ai terroristi risale al quarto volo dell’11/9 abbattuto dai caccia in Pennsylvania. Niente perciò che non fosse già stato scritto e dato in pasta alla stampa.

Andiamo comunque avanti: Amri fa schiantare il tir contro le bancarelle del mercatino natalizio che più si trovano vicine alla strada mentre, come appena scritto, il professionista fa sparire il testimone e lascia tracce di coltellate che faranno gridare da lì a qualche ora all’eroica resistenza del polacco che avrebbe impedito una strage di ben maggiore ampiezza. A questo punto la domanda dovrebbe sorgere spontanea: perché Amri non ha proseguito la sua corsa col camion all’interno del mercatino facendo così più morti possibili? Perché si è fermato in pratica ai bordi esterni del mercatino? La risposta è semplice: le direttive prevedevano un discreto numero di vittime (punto accomplished) ma il tir doveva fermarsi vicino la strada perché proprio lì c’era una macchina col motore acceso pronta a far salire gli attentatori e ripartire subito. Qualora il tir avesse proseguito la sua corsa all’interno del mercatino, sarebbe stato molto più difficile per gli attentatori fuggire senza essere notati da molti testimoni, senza contare che per la macchina con il motore acceso non sarebbe stato possibile raccattarli senza dare nell’occhio. E difatti le cose sono andate proprio così: gli attentatori sono usciti in fretta dall’abitacolo, nessun testimone oculare li ha notati, anche se qualcuno li avesse notati salire sulla macchina avrebbe comunque pensato subito a due passanti terrorizzati dalla strage appena avvenuta e quindi in fuga, raccolti miracolosamente da un generoso autista che li ha salvati, e quindi il mosaico si tiene.

A quel punto scatta l’ulteriore punto dell’operazione, quello cioè del depistaggio. Un anonimo e giovane passante tedesco – di cui purtroppo non è ancora stata svelata l’identità e che sembra non sia entusiasta di farsi intervistare dai media tedeschi (mancanza di entusiasmo totalmente ricambiata) – chiama la polizia e dichiara loro di star seguendo un individuo dalle fattezze mediorientali che sta fuggendo dal luogo della strage direzione parco cittadino Tiergarten. L’”ingenua” polizia gli crede, si tiene in contatto telefonico con l’anonimo testimone ed arresta in effetti un pakistano – anche lui profugo residente a Berlino – che però non c’entra nulla con la strage. Il pakistano rimane in carcere nemmeno 24 ore prima di essere rilasciato, tempo sufficiente per Amir per tornare alla base, cambiarsi gli abiti presumibilmente sporchi di sangue e vedersi consegnati di nuovi dai livelli intermedi, farsi una doccia, bere un té caldo con i suoi superiori per calmarsi e ricevere i complimenti per la freddezza da lui dimostrata e soprattutto lasciare la Germania nell’impunità totale poiché in quelle 24 ore il mondo intero è convinto che ad aver compiuto l’attentato sia stato il profugo pakistano prontamente arrestato dalla polizia. Se mi posso permettere di aggiungere un particolare di carattere personale all’intera faccenda, allora vorrei solo esprimere la mia sorpresa iniziale per la freddezza e l’apparente indifferenza con la quale la polizia tedesca aveva gestito la notizia della latitanza del tunisino. Mi spiego: dopo che era stata divulgata la notizia sulla fuga e sulla conseguente caccia all’uomo di Amir, la polizia tedesca non ha intimato alla popolazione di usare prudenza e di evitare magari di usare la metro a Berlino. Questa prudenza cozzava apparentemente con la presenza sul suolo tedesco di un pericolosissimo – per usare le parole del questore di Milano – terrorista armato e pronto a colpire di nuovo. Le persone più realiste mi diranno che la polizia aveva tentato semplicemente di evitare che il panico e l’isterismo (con conseguenti falsi allarmi) si propagassero a Berlino. In verità la risposta è più banale: i vertici della polizia erano ben a conoscenza che il fuggitivo, dopo il prezioso vantaggio delle 24 ore, non si trovava più sul suolo tedesco; da qui l’inutilità di far scattare l’allarme per ulteriori attacchi. In ogni caso a quel punto il ruolo del professionista citato più volte è stato adempiuto con successo e può perciò defilarsi dalla nostra storia in attesa di ricevere istruzioni per future missioni. Anche il misterioso testimone ha fatto la sua parte e se ne può tornare a casa felice e soddisfatto.

Il resto della storia è a tutti noto: dopo nemmeno 24 ore si scopre che il pakistano è innocente e quindi può venire rilasciato, si trovano per puro miracolo i documenti dell’attentatore nel luogo della strage così com’era successo nel caso di Charlie Hebdo a Parigi, Bruxelles e Nizza, ed il povero e sbandato attentatore solitario viene freddato dalla polizia italiana prima che potesse parlare. Alcuni analisti occidentali hanno tentato di giustificare la presenza dei documenti degli stragisti nei luoghi degli attentati adducendo il desiderio da parte di quest’ultimi di rivendicare con orgoglio il loro martirio di fronte al resto del mondo. Tuttavia quest’osservazione non sta in piedi per due considerazioni: innanzitutto non si capisce come mai la consuetudine di lasciare i propri documenti in prossimità dei luoghi della strage avvenga sempre e solo in occasione di attentati terroristici che si verificano in Occidente; non mi risulta infatti che in Siria, Iraq e Libia la polizia abbia mai trovato documenti degli attentatori dopo che gli atti si erano compiuti. Forse è da tenere in considerazione che gli attentatori residenti da anni in Occidente si siano fatti ammaliare dal culto dell’individualismo estremo e della ricerca della celebrità a tutti i costi che caratterizza così tanto noi occidentali…Ironia a parte, un’altra obiezione potrebbe essere la seguente: se gli attentatori desiderano veramente lasciare una traccia del loro martirio sui luoghi delle stragi, perché in molti casi non le portano al loro estremo compimento e decidono invece di scappare e darsi alla macchia? Se desiderano infatti uccidersi in nome di Allah, perché non farlo subito portando all’altro mondo i crociati senza perciò fuggire e lasciare delle tracce così visibili – le carte d’identità per esempio – alla polizia? Prendendo spunto anche dalle mie precedenti considerazioni di cui sopra, lascio all’intelligenza dei lettori ulteriori conclusioni.

Di tutti questi bizzarri “attentati islamici” che da un anno e più stanno sconvolgendo le delicate menti occidentali, ci sono dei particolari ricorrenti: in primo luogo tutti gli attentatori finiscono ammazzati dalla polizia in scontri a fuoco oppure suicidi tramite esplosioni da kamikaze. In verità c’è ancora un’eccezione: si tratta di uno degli esecutori materiali degli attentati di Bruxelles, ossia il giovane magrebino naturalizzato francese Salah Abdeslam. Tuttavia non so quanto questa eccezione potrà continuare ad essere tale dal momento che in data 12 novembre l’avvocato del terrorista, che si trova da mesi in isolamento in un carcere di massima sicurezza in Francia, ha paventato il rischio di suicidio per il suo assistito2. A dire il vero a non essere morto subito era stato anche quel profugo siriano di nome Jaber Albakr che lo scorso ottobre aveva progettato, sempre secondo la polizia, di farsi saltare in aria in un imprecisato aeroporto berlinese prima di essere fermato dall’intervento “provvidenziale ed eroico” di tre suoi compagni profughi. Purtroppo non conosceremo mai i nomi e cognomi dei suoi complici e mandanti dal momento che qualche giorno dopo la cattura, Jaber ha pensato bene di suicidarsi nel carcere di massima sicurezza di Lipsia. Ho il vago sentore che ben presto anche Salah propenderà per questa strada. C’è qualcuno disposto a scommettere una birra con il sottoscritto? Altro leit motiv degli aspiranti martiri per Allah è il loro precario stato esistenziale nonché mentale: tutti i protagonisti che abbiamo incontrato nei mesi precedenti si sono caratterizzati per essere delle perfette personalità borderline ottime per la manipolazione da parte di vertici organizzati. Tutti i terroristi erano sbandati, con pochi soldi in tasca, senza uno straccio di donna a fianco pronta a curare le loro paranoie, anzi spesso si è scoperto come fossero in verità dei latenti omo o finanche bisessuali, senza considerare che molti di loro avevano precedenti penali nell’ambito della microcriminalità, ragion per cui erano facilmente individuabili dai servizi i quali non avrebbero avuto difficoltà alcuna ad offrire loro mari e monti in termini economici in cambio di questi lavoretti. Ultimo particolare ricorrente: la polizia dichiara spesso che i terroristi si sono radicalizzati in maniera lampo e sorprendente.

Vorrei concludere questo mio canto del cigno complottistico con due appelli. Il primo lo rivolgo a “coloro che non devono essere nominati”, ossia a quelle entità rettiliane che desiderano far cadere la Merkel tramite codeste barbare stragi islamiche. Consiglierei loro di cambiare metodi sia perché qualsiasi copione, benché sempre efficace, a lungo ripetersi può annoiare e risvegliare persino la dormiente opinione pubblica europea dal letargo delle reti sociali. Suggerirei loro di risparmiare sangue innocente della generazione Erasmus e provare magari a far uscire le intercettazioni NSA sulla Merkel a puntate, oppure a spiegarci finalmente come potesse avere il padre pastore protestante della Signora Kasner residente nella DDR il privilegio di possedere ben 2 auto e di poter viaggiare senza problemi ad Ovest. Sono sicuro che, così facendo, raggiungeranno prima dell’autunno 2017 il loro scopo. Ulteriore appello, che in verità è un suggerimento: per gli amanti degli influssi turchi sulla Germania, sappiate che una settimana prima dell’attentato c’era stata a Wittenbergplatz, piazza situata a 10 minuti a piedi dal mercatino colpito, una mini manifestazione di 200 nazionalisti ed islamisti turchi che erano scesi in piazza a protestare. Ma protestare contro chi o cosa, si chiederebbe esasperato il lettore? Ma che domande: contro il terrorismo.

PS Dalla mia base di Berlino non ho potuto fare a meno di notare che in Italia, anzi per essere più precisi sui social italiani, sta montando una furiosa polemica sull’opportunità o meno da parte del Ministro degli Interni Minniti di fornire pubblicamente i nomi e cognomi dei due poliziotti che hanno fermato ed ucciso Amir a Sesto San Giovanni. Quel poco che posso dire è che non si tratta di colossale coglioneria ministeriale, bensì di inevitabile epilogo della vicenda che dovrà inghiottire nel silenzio anche le piccole pedine istituzionali. Se non avete capito di cosa sto parlando, vi consiglio di rileggervi le vicende personali dei maggiori testimoni legati al caso Ustica (per citarne uno dei tanti). Comunque sia Buon Natale e preparatevi ad entrare nel centenario di Caporetto! Saluti da Berlino

1http://www.corriere.it/esteri/16_dicembre_21/autista-polacco-assalito-berlino-mentre-aspettava-poter-scaricare-dura-agonia-728b71a0-c6fa-11e6-84f8-50724e442573.shtml

2http://www.imolaoggi.it/2016/11/12/strage-parigi-avvocato-di-abdeslam-potrebbe-tentare-il-suicidio/

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