State of a nation

turkey-eu-visaTanto per cambiare, vorrei trattare di temi generali partendo da particolari esperienze personali. Qualche venerdì sera fa mi trovavo a passeggiare nell’area adiacente al Check Point Charlie. Per chi non lo sapesse, durante la Guerra Fredda il Check Point Charlie era il posto di blocco più rinomato tra tutti quelli che a Berlino dividevano le truppe d’occupazione sovietiche da quelle anglo-americane. Probabilmente qui più che altrove si poteva notare, anche visivamente, la divisione della città tra diverse zone di influenza tanto che nel 1961 si era sfiorato addirittura un confronto diretto potenzialmente distruttivo tra i carri armati americani lì accorsi per ribadire la propria presenza su Berlino Ovest e i corrispondenti tank sovietici situati a qualche centinaia di metri di distanza al di là del confine. Ora l’area intorno al vecchio check point di confine altro non è che una delle innumerevoli terre di nessuno consumistiche, dove ai Mc Donald’s si affiancano torme di turisti provenienti da ogni angolo del mondo. Faccio anche notare che sempre lì è situato un imparzialissimo museo della Guerra Fredda, finanziato da fondazioni private americane, sulla cui facciata principale compare un’enorme bandiera ucraina giallo-blu sulla quale sono riportate in inglese ed ucraino dei messaggi intimidatori a Putin di ritirarsi dalla Crimea e di garantire il benessere degli altri paesi Nato. Tutto questo viene ovviamente portato avanti nel nome della libertà, perlomeno nella nostra variante occidentale. Ma per ora non è di questo che vorrei parlarvi.

Mentre per quel venerdì sera mi apprestavo a recarmi in altri lidi, sento suonare dietro di me delle inconfondibili sirene da clacson. Mi giro e vedo almeno cinque tra SUV cingolati rigorosamente neri ed alcune BMW impeccabili che giungono dirimpetto sulla strada adiacente la vecchia cabina del check point, pensando inoltre che sia cosa buona e giusta parcheggiare in mezzo alla carreggiata. Mi rendo subito conto che non si tratta di tedeschi nativi visto e considerato che le bandiere rosse con la mezza luna bianca sbucano subito numerose. Detto in soldoni: si trattava di un matrimonio turco celebrato il giorno stesso, dopo il quale gli sposi e relativi parenti ed amici hanno avuto la brillante idea di bloccare una delle arterie principali del centro di Berlino, parcheggiando come detto con le loro macchine di lusso in mezzo alla strada e ballando canzoni turche sparate a tutto decibel. Fin qui non ci sarebbe stato niente di male, avrebbe di sicuro reagito qualche nostro lettore, se non che la situazione si stesse protraendo per più di quindici minuti e vi assicuro che gli automobilisti bloccati di dietro non avevano certo preso la situazione con filosofia. A dare un tocco grottesco all’intera situazione è stato l’intervento tardivo ed alquanto timido della Polizei, che non si era azzardata ad avvicinarsi a più di 100 metri dai turchi danzanti limitandosi a comunicare loro attraverso un megafono l’ordine di sgombero. I turchi se ne sono andati via con calma e per non nulla intimoriti; probabilmente sapevano bene che potevano permettersi quell’atto di tracotanza in pieno centro a Berlino senza temere di venire castigati perlomeno con una multa. E difatti i poliziotti, che per inciso sono rimasti per tutto il tempo nel loro punto di osservazione senza osare avvicinarsi, non hanno nemmeno pensato di prendere le targhe ai nuovi turchi arricchiti che se ne sono andati via impuniti e divertiti.

Cosa voglio dire narrandovi di quest’episodio all’apparenza frivolo e, se vogliamo, insignificante? Innanzitutto anche il lettore meno acuto avrà a questo punto compreso, o perlomeno lo spero, che gli sposi ed i relativi amici turchi non erano persone della strada, bensì rappresentanti di quella categoria di immigranti di seconda o finanche terza generazione che hanno avuto il merito di fare fortuna e soldi solamente grazie al traffico illecito di sostanze stupefacenti e relativo investimento in ristoranti, kebab, sale scommesse, perfino rivendite di alcoolici di cui Berlino è piena. Se vi ricordate bene, in un articolo precedente avevo descritto a grandi linee il traffico di droga onnipresente ad ogni ora del giorno e della notte in ben specifiche aree della città, guarda caso quelle a più alta concentrazione turca ed araba. Le maggiori aree dello spaccio di droga a Berlino possono essere catalogate nelle seguenti: l’enorme parco cittadino di Görlitzer Park a Kreuzberg, la vicina stazione di Görlitzer Bahnof, l’area intorno alla metropolitana di Kottbusser Tor, il parco urbano di Hasenheide situato nel cuore di Neukölln, la vicinissima piazza di Hermann Platz ed infine l’area del divertimento notturno di Friedrichsain che ruota intorno al ponte di Warschauer Straße. Queste sono le maggiori centrali della vendita al dettaglio di qualunque sostanza stupefacente, dal classico canone per studenti figli di papà fino ad arrivare all’eroina per i palati più fini. Come già scritto varie volte in passato, il commercio al dettaglio viene in pratica condotto da una massa indefinita e miserabile di nuove risorse africane giunte a Berlino in cerca di una protezione internazionale e le quali – ottenuto l’asilo politico – hanno deciso di passare le loro giornate vendendo la droga. Tuttavia chi controlla veramente i proventi del traffico sono una decina di clan libanesi e turchi, compresi quella simpatica ciurma di turchi che aveva fermato il traffico al Check Point Charlie. I proventi della droga vengono poi reinvestiti negli innumerevoli kebab e shisha bar che popolano ogni quartiere della metropoli tedesca, esattamente come avviene in Italia. Per tornare ai simpatici sposi turchi, si poteva ben capire che coloro non erano i classici manovali in canottiera che lavorano negli innumerevoli kebab come tagliatori di rotoli di carne, sia per la loro tracotanza e senso di impunità sia per il timore della polizia nell’avvicinarsi loro anche solo per chiedere cosa stessero facendo. Se non avessi molto da perdere nella vita, mi piacerebbe provare io stesso con altri amici a fermare il traffico in una qualsiasi zona centrale dello shopping berlinese, con bandiere tricolori al seguito. Sarei curioso di registrare il tempo intercorrente tra il mio blocco goliardico ed il momento in cui la polizia cominciasse ad usare i primi manganelli contro la mia testa bizzarra. Nel caso dei turchi, invece, la polizia non ha nemmeno pensato di prendere i numeri di targhe dei nuovi mafiosi arricchiti, anche perché essi sono di sicuro delle loro vecchie conoscenze.

Da questo episodio ho riflettuto per diverso tempo sulla reale integrazione dei milioni di turchi presenti in Germania e devo dire che le conclusioni sono state tutt’altro che incoraggianti. Poi, sempre qualche settimana fa, si è verificata una delle tante crisi diplomatiche tra la Turchia di Erdogan e diversi paesi europei. Il motivo principale era stato la volontà da parte del governo turco di condurre diversi comizi pubblici in mezzo alle locali comunità turche presenti in Europa per propagandare la riforma costituzionale presidenziale che sarà soggetta a referendum in Turchia tra qualche mese. Di fronte a questa richiesta la maggior parte dei governi europei ha deciso per la linea dura, ossia di vietare tali comizi politici e perfino di impedire ad alcuni ministri turchi di atterrare presso gli aeroporti locali. Il caso più clamoroso in questo senso è stata la querelle che si è consumata in Olanda tra il premier conservatore Rutte, il quale ha perfino ordinato di accompagnare una ministra turca con velo incorporato alla frontiera olandese-tedesca, ed il governo turco di Erdogan che ha apostrofato l’Olanda intera come un “paese fascista”. Da notare anche la volontà esplicita da parte di Erdogan di interferire nella vita politica dell’Olanda, visto e considerato che nei giorni stessi in cui si era consumata la polemica il paese era andato alle urne, dalle quali era uscito confermato il premier conservatore Rutte. Mentre leggevo distrattamente le cronache politiche, ma sempre con la testa a quanto vissuto appena qualche settimana prima al Check Point Charlie, non potevo fare a meno di chiedermi divertito di che cosa si stupisse certa gente di fronte ad episodi del genere. Quasi un anno fa in un articolo intitolato“Mamma gli turchi!” mi ero soffermato sulle dimissioni del precedente Ministro degli Esteri turco, tale Ahmet Davutoğlu il cui nome non dirà giustamente niente al 99,9% delle persone.

Nello specifico mi chiedevo come fosse possibile che uno dei fondatori del partito attualmente al governo in Turchia (AKP), nonché un fedelissimo della prima ora di Erdogan, avesse all’improvviso deciso di dimettersi dal governo rinunciando a fette notevoli di potere. Non riuscivo a capacitarmi di come un politico navigato, il quale per inciso aveva sempre appoggiato la repressione del governo Erdogan contro curdi e studenti dissidenti oltre ad aver sempre convintamente sostenuto qualsiasi tipo di modifica costituzionale in senso presidenziale, potesse dall’oggi al domani abbandonare il suo padrino politico Erdogan con il quale per decenni aveva condiviso tutte le sue battaglie e la relativa visione del paese in senso islamista. La spiegazione ufficiale, ripresa anche dai nostri media provinciali, era stata che Davutoğlu fosse entrato in attrito con il Presidente a causa della sua autoritaria concezione del potere; tuttavia non si sarebbe capito come mai Davutoğlu se ne fosse accorto solo ora visto e considerato che ancora durante l’ultima campagna elettorale turca nel novembre 2015 aveva sostenuto le mire assolutistiche del candidato Erdogan. La mia spiegazione era un’altra e, vista anche sotto l’ottica degli eventi politici verificatisi negli ultimi mesi, direi corretta: in verità Davutoğlu si era dimesso perché non voleva rimanere coinvolto nell’ulteriore e futura strategia di escalation progettata dal Capo per rimanere in sella al potere. Il nostro aveva capito che nei successivi mesi vi sarebbe stata una strumentalizzazione del terrorismo interno ed esterno, atta a ricattare i leader europei. Detto altrimenti: di fronte ad una crisi economica interna sempre più grave in Turchia, con la lira turca che ha perso il 20% del suo valore in pochi mesi ed una presenza di turisti stranieri calata perfino del 90% in alcune zone della Riviera sul Mar Nero, l’unica carta ancora da giocare da Erdogan sarebbe stata quella di utilizzare il nazionalismo turco contro “l’Europa fascista ed islamofoba” e, se necessario, utilizzare la minaccia del terrorismo per raggiungere i propri fini. Per quelle poche persone che seguono questo blog, esse sanno bene come l’ultima campagna elettorale di Erdogan sia stata vinta anche in seguito a due gravissimi attentati terroristici, ufficialmente rivendicati dall’Isis, i quali avevano fatto strage di centinaia di curdi in due loro comizi elettorali. Di conseguenza la strategia della tensione, concetto che noi italiani dovremmo conoscere bene, non è per nulla una novità nella politica turca. Quello che l’ex Ministro degli Esteri Davutoğlu non aveva accettato di condurre mettendoci lui la faccia era stata l’esportazione delle tensioni interne del paese verso i diversi paesi europei nelle quali sono presenti minoranze turche da attivare al momento opportuno. Da cui la sua decisione di dimettersi. Si badi bene che il suo gesto non era stato guidato da spinte morali, bensì da un mero calcolo politico consistente nello sganciarsi in tempo da incalcolabili politiche di violazioni dei diritti umani, che chissà un giorno lo avrebbero potuto condurre di fronte al Tribunale dell’Aja per crimini contro l’umanità.

Le cronache degli ultimi dodici mesi farebbero confermare questa mia visione, assolutamente ignorata dai media mainstream. Pensiamo solo al fantomatico tentativo di colpo di stato condotto contro Erdogan nel luglio scorso e che era stato sedato nel giro di qualche ora dallo stesso presidente. Nelle settimane successive al golpe, come probabilmente la maggior parte di voi ricorderà, si sono verificati decine di migliaia di arresti di dissidenti dei più diversi orientamenti politici sempre con la solita accusa di “favoreggiamento del terrorismo”. Per non parlare poi del licenziamento di decine di migliaia di poliziotti, generali, soldati, giudici ed anche docenti universitari e delle scuole superiori, subito sostituiti da elementi fedeli al regime. E’ onestamente difficile credere che per la velocità con la quale sono stati realizzati, questi piani di sostituzione di elementi “ostili” o diffidenti ad Erdogan siano stati organizzati nel giro di qualche giorno; molto più probabile invece ritenere che l’ulteriore escalation politica sia stata progettata dai tempi appunto delle dimissioni di Davutoğlu, il quale conosciuto i piani del suo superiore abbia deciso di dire basta per non rischiare di sporcarsi le mani di troppo sangue. Da mesi inoltre cerco di descrivere, nei limiti precari di tempo che mi rimangono dopo ogni settimana di lavoro, il progressivo processo di peggioramento delle relazioni politiche e diplomatiche tra la Germania di Merkel e la Turchia di Erdogan. Basti solo pensare a quanto accaduto la scorsa primavera quando le locali organizzazioni di turchi residenti in Germania erano scese in piazza in tutte le principali città tedesche per protestare contro il provvedimento votato dal Parlamento tedesco che riconosceva ufficialmente il genocidio degli armeni perpetrato dal governo turco negli anni 1915/18 e mai riconosciuto da Ankara. Nell’occasione della votazione della mozione al Bundestag, la Merkel e il Ministro degli Esteri dell’epoca Steinmeier (ora Presidente della Repubblica nda) avevano deciso di non presenziare alla discussione in aula per timore di innervosire e far arrabbiare ancora di più il sultano turco. Presenza a mio modo di vedere grave vista anche l’importanza della mozione parlamentare ma se vogliamo coerente con la decisione di evitare conseguenze ben più gravi. Inoltre la stessa Merkel aveva dimostrato di non aver certo un cuor di leone nella vicenda del comico Bohremann, reo di aver offeso Erdogan durante una trasmissione satirica alla tv e denunciato da quest’ultimo anche grazie al mancato veto che la Cancelliera avrebbero potuto (e dovuto) porre in base da una legge bismarckiana. Evidentemente la libertà d’opinione così elogiata in Germania è meno importante della real politik.

Come dimenticare poi la dichiarazione esposta pubblicamente in Parlamento lo scorso luglio da un membro del Governo tedesco che accusava la Turchia di essere un punto di riferimento in Medio Oriente per i diversi movimenti fondamentalisti islamici, come per esempio Hamas in Palestina ed i Fratelli Musulmani in Egitto, oltre che un finanziatore diretto del terrorismo jihadista in Siria. Acqua calda per chi si informa su siti di vera informazione alternativa e non sui media ufficiali, ma diffondere una notizia così esplosiva e soprattutto durante una normale seduta parlamentare riguardo ad un nostro alleato Nato (sic) non deve aver acceso grandi entusiasmi ad Ankara e Washington. Difatti di lì a qualche settimana si sarebbe scatenata in Germania quella mini ondata di terrorismo islamico culminante con la strage di Monaco, che in verità nulla aveva a che vedere con l’Isis ma le cui numerose lacune e contraddizioni avevo avuto modo di riportare in una serie di articoli da me scritti lo scorso autunno. Per gli amanti del complottismo, vorrei rivelare che qualche ora dopo l’attentato sul profilo Facebook dello stragista Ali Sonboly era comparsa una bandiera turca che poco o nulla avrebbe avuto a che fare con le sue origini iraniane. Quasi sicuramente si sarà trattato di un profilo fake o magari di un’incursione di qualche hacker russo.

La lista delle provocazioni turche contro la Germania sarebbe molto lunga e mi limito a riportare quelle più notevoli: come per esempio la conferenza stampa tenutasi ad Ankara lo scorso novembre tra il nuovo ministro degli Esteri turco Cavusoglu e l’omologo tedesco Steinmeier. Di fronte agli occhi esterrefatti di quest’ultimo e alla sorpresa dei numerosi giornalisti stranieri presenti in sala, Cavusoglu aveva iniziato ad attaccare duramente quelle che lui stesso aveva definito delle “inaccettabili interferenze tedesche nella politica interna turca”, arrivando a dire a chiare lettere come l’arroganza tedesca deve avere termine. Affermazioni di un tale tenore non era arrivato a dirle nemmeno un Tsipras o un Orban qualunque nei loro giorni migliori e difatti Steinmeier, visibilmente incredulo ed imbarazzato, ha bofonchiato qualche parola di circostanza prima di chiudersi in un silenzio carico di tensione. Come brevemente accennato, lo stesso Steinmeier da lì a qualche mese sarebbe stato eletto Presidente Federale ma già all’epoca della conferenza stampa in Turchia, il suo nome aveva già cominciato a circolare come il più probabile per la Presidenza. Di sicuro questo particolare non dev’essere passato inosservato ai ben informati politici turchi, il cui attacco frontale contro il possibile candidato avrebbe potuto essere considerato sia come un principio di interferenza nelle consultazioni partitiche per il futuro Presidente sia come un chiaro avvertimento Steinmeir ad abbassare i toni contro la Turchia qualora fosse stato eletto Presidente.

Quello appena descritto è solo uno degli innumerevoli episodi di tensione tra i due paesi. Ne volete altri di esempi? Ebbene più volte il governo turco ha protestato in maniera ufficiale contro il rifiuto da parte tedesca di vietare manifestazioni pubbliche in Germania da parte delle comunità curde storicamente acerrime nemiche di qualsiasi governo turco. I motivi? In tali numerose manifestazioni erano sempre presenti bandiere del Partito Comunista Curdo (PKK), illegale in Turchia perché considerato non a torto paramilitare ed autore di atti terroristici, e del suo leader Ocalan che si trova tuttora in un carcere turco di massima sicurezza. Inoltre non ha nemmeno suscitato grandi entusiasmi la decisione della Merkel di facilitare le condizioni per l’ottenimento dell’asilo politico per tutti quei attivisti curdi nonché dissidenti turchi che hanno deciso di riparare in Germania per sfuggire alla persecuzione in Turchia. Come sarebbe stato logico aspettarsi, il governo turco avrebbe in qualche modo reagito a quelle che esso stesso ha definito delle “provocazioni” e difatti ha avuto una certa eco internazionale, perfino nella provinciale Italia che di fronte ad un mondo che subisce cambiamenti drammatici si straccia le vesti per i vitalizi parlamentari, la decisione di un giudice turco di convalidare l’arresto del corrispondente turco-tedesco del prestigioso quotidiano tedesco conservatore Die Welt, tale Deniz Yucel. L’accusa ha ripetuto il leit motiv già utilizzato nei precedenti casi di arresto di dissidenti turchi: “propaganda ed associazione terroristica”.

Di certo le affermazioni pubbliche di un certo Bruno Kahl, nientepopodimeno che il Presidente dei servizi segreti federali (BND), non aiutano a rasserenare il clima. In un’intervista rilasciata allo Spiegel il 18 marzo, il capo dei servizi segreti tedeschi ha rivelato il proprio scetticismo sul ruolo del predicatore islamico Gulen nell’organizzazione del golpe dello scorso luglio, arrivando ad affermare di non ritenerlo responsabile di aver organizzato il fallito colpo di stato in Turchia dal momento che non vi è la minima prova in merito. Altra benzina sul fuoco per arrivare infine al recente divieto promulgato da alcuni governi regionali tedeschi di permettere comizi di politici turchi in favore della riforma presidenziale di modifica della Costituzione. La reazione di Erdogan, come sempre pacata e ponderata, non si è fatta attendere: la Germania della Signora Merkel, nell’impedire alla Turchia di fare propaganda governativa di fronte ai cittadini turchi ivi residenti, ha dimostrato di utilizzare “metodi nazisti”. Si attende solo la prossima puntata di una guerra, per ora solo diplomatica, che sembra non avere fine. Perfino sull’attentato di Berlino di dicembre si potrebbero aprire interrogativi interessanti qualora vi fosse ancora un giornalismo degno di tale nome. Per dirne una: basti considerare che qualche ora prima che il tir si andasse a scontrare contro le prime bancarelle natalizie, veniva ucciso come un cane ad Ankara l’ambasciatore russo in Turchia. Secondo la versione ufficiale, l’attentatore sarebbe stato un affiliato del gruppo Al Nusra ossia la locale filiale siriana di Al Qaeda.

Chiara come il sole anche agli occhi degli osservatori meno esperti la volontà atlantica di sabotare i primi e storici colloqui di pace sul Medio Oriente che si sono verificati ad Astana sul Mar Caspio senza la presenza degli americani. Suscita insomma sempre timori la prospettiva di una Russia che assieme alla Turchia e all’Iran decide gli assetti mediorientali senza chiedere il permesso a Washington e Tel Aviv. Tuttavia è altresì un vero peccato che analisti ben più navigati del sottoscritto non abbiano avuto il desiderio di seguire il filo rosso che nell’arco di qualche ora aveva collegato gli attentati di Ankara e Berlino. Se a lor signori può interessare, sappiate che esattamente una settimana prima dell’attentato si era verificata una manifestazione di nazionalisti turchi e fedeli ad Erdogan nella centrale piazza di Wittenberg Platz. Nonostante il clima rigido, saranno state circa duecento persone. Da notare che la piazza in questione dista solo dieci minuti a piedi dal luogo dell’attentato ed inoltre la location scelta per la manifestazione era stata insolita visto che normalmente in caso di manifestazioni pubbliche i turchi di Berlino propendono per Hermann Platz o Kottbusser Tor, situate nei quartieri a loro più favorevoli di Neukölln e Kreuzberg. Scegliere di indirre una manifestazione in una piazza così anomala per loro, situata per di più in un quartiere a bassa concentrazione turca, sarebbe un interrogativo aperto qualora vi fosse ancora qualche volenteroso giornalista disposto a chiuderlo.

Quindi ricapitolando: già un anno fa mi interrogavo sulle cause delle dimissioni del precedente Ministro degli Esteri turco. All’epoca ero giunto alla conclusione che in verità lo stesso ministro fosse a conoscenza dei piani del suo superiore Erdogan di esportare le tensioni interne del paese in Europa, anche strumentalizzando se necessario le folte comunità turche lì presenti ed utilizzando l’arma delle minacce e perfino del terrorismo. A partire da quell’articolo “complottista” che cosa è nel frattempo successo in Turchia ed in Europa, con un’attenzione particolare alla Germania? Come descritto sopra, abbiamo assistito ad un tentativo di colpo di stato in Turchia fallito grottescamente dopo qualche ora, seguito da una massiccia ondata di licenziamenti ed arresti da parte di un invigorito Erdogan. Per tentare di far dimenticare alla popolazione una svalutazione della lira turca a due cifre ed un crollo del turismo proveniente dall’estero (in primis Russia), il governo turco ha continuato senza soluzione di continuità ad offendere e ricattare i governanti europei, la Merkel in special modo. Dimenticavo un particolare fondamentale, che avevo comunque avuto di modo di scrivere in innumerevoli miei precedenti articoli: scopo ultimo di Erdogan è quello di ottenere un accordo di visti liberi per tutti quei cittadini turchi che desiderino entrare in Europa. Finora non è ancora riuscito a portarlo a casa ma in compenso il nostro dispone di due carte da giocare: la prima è quella di far entrare vagonate di bus strapieni di profughi in Grecia e Bulgaria (sue testuali parole) e la seconda è quella di minacciare indirettamente, ma neanche tanto a dire il vero, l’Europa di ulteriori attentati terroristici “islamici” di qui a qualche mese. Se ritenete, com’è legittimo che sia, che abbia preso il primo colpo di sole primaverile allora vi ricordo che, appena qualche ora prima dell’attentato di Londra, Erdogan aveva minacciato che “gli europei non sarebbero stati liberi di camminare tranquilli nemmeno nelle proprie città.” Il seguito ve lo risparmio perché cosa nota. Di fronte ad un’Europa sempre più in crisi d’identità e a rischio di frantumazione, un’ulteriore escalation terroristica sarebbero l’ultimo dei problemi che l’europeo della strada vorrebbe mettere in conto; da questa paura montata ad arte dalla solita orchestra mediatica Erdogan spera di ottenere un prestigioso accordo sui visti liberi per i suoi cittadini, i quali lo potrebbero a quel punto eleggere a nuovo eroe nazionale dimenticando così per un attimo i gravi problemi economici interni. E’ di sicuro una scommessa foriera di rischi che difatti l’ex Ministro degli Esteri Davutoğlu declinò gentilmente ritirandosi a vita privata per timore di finire gli ultimi suoi giorni in una fredda cella olandese.

Descritta a tratti generali la politica turca di ricatto ed intimidazione contro la Fortezza Europa, una domanda dovrebbe sorgere a questo punto spontanea: “Chi ci ha ridotto in questo stato?” Il peccato originale che sta tenendo in scacco l’Europa è sempre uno solo: la politica di accoglienza dei profughi della Signora Merkel. E’ quella medesima politica, che per tentare (finora senza successo) di tutelare l’interesse demografico di 80 milioni di tedeschi di fronte a mezzo milione di europei, ha dato un contributo fondamentale alla Brexit e alla crescita dei vari Trump, Le Pen e Wilders. Nel caso specifico turco, la Merkel che fino a poco tempo prima si scagliava contro gli egoismi e i razzismi degli altri paesi europei, era sempre lo stesso politico che qualche mese dopo l’inizio dell’emergenza migratoria si era impegnata a nome dell’UE a garantire 6 miliardi di Euro spalmati negli anni ad Erdogan affinché tenesse buoni i “profughi” – spesso meri migranti economici – a casa propria e per evitare nuove ondate di invasione, pardon immigrazione. Tuttavia sarebbe ingeneroso e fuorviante accusare un unico governo della situazione di ricatto cui tutti noi europei siamo soggetti di fronte ai desiderata turchi. Il problema sta a monte e consiste in una soggezione coloniale che in Europa dura da settant’anni e che coinvolge una potenza esterna ben più ingombrante della piccola nazione turca e delle sue mire regionali. Questo vassallaggio delle élite, ma anche dei relativi popoli dominati, europee sta svelando una totale mancanza di visione strategica di fronte ai mutamenti delle politiche provenienti da oltreoceano. Non voglio svelare di più; lo stato di soggezione con eventuali rapide ma non indolori soluzioni, sarà trattato nei prossimi contributi.

 

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