Se la sinistra piange, la Merkel non… 2/4

profughiIl contesto storico e politico della crisi dei profughi / Estate 2015

Ma cosa successe veramente un anno fa? Cerchiamo di rinfrescare la memoria ai più smemorati: nell’estate del 2015 il tema che teneva banco nelle cancellerie di tutta Europa era la cosiddetta crisi greca. Da quando il governo di sinistra di Tsipras si era insediato nel gennaio 2015, si era aperto pressoché subito un braccio di ferro tra i “compagni pronti a spaccare tutto” appena giunti al potere e i creditori internazionali a proposito della tranche di aiuti alla Grecia in agonia in cambio di una rimodulazione del pauroso debito. Non c’è il tempo di entrare nei dettagli: quello che basti sapere ai fini di questo articolo è che il sinistro, in tutti i sensi, Tsipras aveva deciso nel luglio 2015 di affidare al popolo greco la responsabilità di prendere una decisione finale sull’accettazione o meno delle draconiane misure di austerità e privatizzazione imposte dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e dalla Commissione Europea (leggasi Germania a guida economica di Schäuble) in cambio di un alleggerimento del debito. Il popolo greco a maggioranza del 60% aveva bocciato queste misure e l’eroe dei centri sociali Tsipras, dopo averne preso atto, andò giustamente contro il volere emerso dal referendum da lui stesso promosso per poter di converso accettare tutte le misure neoliberiste rifiutate dal popolo sempre da lui chiamato a coorte, in cambio di alcuni ridicoli, ma per lui essenziali in termini di sopravvivenza politica, tagli nel debito. Come tutti sanno, il Ministro dell’Economia Varoufakis si dimise per protesta e da quel momento in poi tutti vissero felici e contenti. Bene, ora a noi non interessa in questa sede giudicare chi avesse ragione o torto: quello che conta è capire qual’era il clima mediatico che si respirava intorno al ruolo rappresentato dal governo tedesco nella crisi greca. La risposta è che milioni di persone in Europa, e a seguire ma in maniera opportunistica molti politicanti in cerca di facili consensi, avevano fatto ricadere l’intera colpa della tragedia greca, poi tramutata in farsa, sui tedeschi “cattivi, cinici ed insensibili alle esigenze degli altri popoli.”

Premetto che in questa faccenda, così come in altre e ben più gravi questioni di politica estera che hanno e continuano a dividere l’Europa, ho sempre criticato le scelte del governo Merkel (repetita iuvant sempre appoggiate dai socialisti presenti nella compagine di governo) ma nel caso della crisi greca l’onestà intellettuale dovrebbe farci ammettere che i falchi del governo tedesco si ritrovarono anch’essi dalla parte dei sconfitti dal momento che l’ala oltranzista della CDU, capitanata dal sempre ineffabile Ministro delle Finanze Schäuble, avrebbe voluto una Soluzione Finale (mi si scusi il sarcasmo di pessimo gusto) che sarebbe dovuta consistere nell’uscita della Grecia dall’Eurozona e a quel punto anche dalla UE. Tale misura draconiana venne stoppata dalla sponda americana rappresentata nei negoziati dal FMI, la quale giustamente temeva che un’uscita della Grecia dalla UE e dalla zona Euro avrebbe potuto comportare tra le varie cose anche l’uscita del paese dall’alleanza Nato e un conseguente abbandono tra le braccia della Russia di Putin, ieri come oggi acerrimo nemico geopolitico dell’Impero Usa1.

Pertanto la soluzione politica di compromesso che emerse, ossia privatizzazioni e taglio di tutto quello (poco) che di pubblico era ancora rimasto in cambio di una rimodulazione del debito greco (che in ogni caso sarà impossibile ripagare ma questo è un altro discorso), era a chiara trazione americano – atlantica mentre i falchi del governo tedesco rimasero insoddisfatti ma per quieto vivere dovettero fare buon viso a cattivo gioco. Tuttavia negli ultimi tempi una parte rilevante ed in alcuni paesi maggioritaria dell’opinione pubblica europea si è sempre di più mostrata insofferente nei confronti di questa Europa a predominio economico tedesco che da una parte impone l’austerità al resto dell’Europa ma che dall’altra, per dirne anche qua una ma la lista sarebbe lunga, non rispetta lei stessa alcune regole europee tra cui quella che impone un tetto massimo al surplus commerciale, che secondo gli stessi Trattati ratificati dalla Germania dovrebbe essere al massimo del 6% ma che viene regolarmente da essa violato. Nello specifico in Grecia si era creato, e penso proprio che sia ancora presente, un clima di profondo risentimento e in alcuni frangenti addirittura di odio nei confronti della Germania nel suo complesso, senza ahimè fare una chiara distinzione tra il tedesco della strada e i suoi governanti. Io che ho una buona memoria mi ricordo come se fosse ieri, una Atene blindata da migliaia di agenti in tenuta antisommossa che accoglieva la Merkel con cartelloni raffiguranti la Cancelliera con i baffetti di un pittore austriaco famoso qualche tempo fa e centinaia di bandiere con svastiche in bella vista. Oppure come dimenticare quella vignetta di pessimo gusto di un quotidiano greco vicino al partito di Tsipras in cui era raffigurato il Ministro delle Finanze tedesco Schäuble in sedia a rotelle e vestito con una divisa da generale nazista mentre diceva testualmente: “Insistiamo a fare sapone con il vostro grasso, stiamo discutendo dei fertilizzanti ottenuti dalle vostre ceneri.” Onestamente un clima di così profondo risentimento anti-tedesco non si percepiva in Europa dagli anni immediatamente successivi alla fine della guerra o, se vogliamo, subito dopo la riunificazione tedesca del 1990 anche se in quel caso probabilmente il sentimento prevalente era di mera paura per un rischio di egemonia economica della Germania in Europa (paure ampiamente legittime e col sennò di poi confermate nda). Senza contare inoltre la riapertura dei capitoli più bui della storia recente tedesca: riemergevano i massacri compiuti dalla Wehrmacht nelle zone occupate, ci si chiedeva come mai la Germania così ligia a farsi pagare i debiti degli altri paesi sull’unghia abbia avuto ampi sconti sulle riparazioni di guerra che al contrario non vennero mai pagate del tutto, per non parlare poi di criminali in divisa mai puniti ma anzi promossi nei ranghi NATO ed altre ferite mai del tutto rimarginate….

Insomma, anche se in maniera strumentale e spesso volutamente esagerata, la gestione tedesca della crisi greca aveva gettato benzina sul risentimento anti-tedesco ancora vivo in molti paesi e rischiava così di acuire ulteriormente le già preoccupanti divisioni di carattere politico tra i vari governi della UE. E’ a quel punto che si era inserita la crisi umanitaria dei profughi e la scelta della Signora Merkel di aprire le porte ai soli, si badi bene, rifugiati siriani. E’ ormai entrata anch’essa nell’immaginario collettivo tedesco la famosa frase della Merkel che, di fronte ai primi dubbi esposti dai giornalisti (in Germania i giornalisti usano fare domande, non come in Italia nda) sulla tenuta del sistema paese di fronte ad uno sforzo così imponente anche solo dal mero punto di vista logistico, rispose con l’ormai famosa: “Wir schaffen das.” – “Ce la facciamo.”, che mediaticamente sembrava scimmiotare l’obamiano “We can do it.”, a sua volta abusato da un certo Veltroni nel 2008 ma questa è veramente un’altra storia. Tornando a noi, e qua si va sul generalissimo per mancanza di spazio e per non tediare il lettore, in pratica il governo Merkel decise di aprire le porte del paese a circa 1 milione di siriani (anche se ancora oggi le statistiche federali si contraddicono tra di loro, un altro mito tedesco di precisione e affidabilità sembra insomma anch’esso sul viale del tramonto) senza consultare gli altri paesi europei. Fu perciò una chiara scelta politica che, nelle opinioni del vostro amato scrittore, si prometteva l’ambizioso obiettivo di imporre una leadership tedesca al resto d’Europa che non fosse solamente basata su un freddo efficientismo economico, ma che avesse altresì delle basi morali e di soft power. Detto altrimenti, la Merkel aveva tentato, in un periodo ricordiamolo in cui l’immagine pubblica della Germania a seguito degli sviluppi della vicenda greca era in caduta libera, di recuperare un prestigio internazionale al suo paese in evidente crisi di credibilità. Sarebbe come se la Merkel ci avesse detto: “Avete visto, signori? Noi tedeschi non siamo solamente i più ricchi, i meglio organizzati ed i più produttivi d’Europa ma anche quelli con il cuore più grande. Noi siamo il vero paese leader nella UE anche perché aiutiamo le persone più povere e che fuggono dalla guerra, proprio in un momento in cui il resto del mondo si gira dall’altra parte.”

Tuttavia ad un anno dagli eventi possiamo affermare serenamente che questo tentativo di porsi alla guida morale dell’Europa è fallito miseramente. Anzi, possiamo aggiungere senza tema di essere smentiti che questa politica unilaterale di accoglienza ha diviso ancora di più una UE che già un anno fa non se la passava affatto bene. Conseguenza diretta di ciò è stato che i governi di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e, se un altro cattivone di nome Hofer dovesse essere eletto Presidente della Repubblica, probabilmente anche l’Austria si sono coalizzati nel cosiddetto Patto o Gruppo, che dir si voglia, di Visegrad. Tale raggruppamento raccoglie quei paesi dell’Europa centro-orientale che si sono schierati da subito contro la politica di accoglienza dei profughi, vista dal loro punto di vista come una minaccia di islamizzazione strisciante di società da sempre cristiane. Vorrei aggiungere che pochi tengono a mente che le popolazioni dei paesi di questa particolare area geografica, Polonia ed Ungheria in primis, conservano ancora un forte sentimento di appartenenza nazionale, che spesso viene scambiato in maniera non del tutto corretta come un nazionalismo esasperato. Questo patriottismo nazionale di paesi come appunto Polonia ed Ungheria, che magari a noi italopitechi con il nostro“Francia o Spagna purché se magna!” potrà far sorridere, trova delle concrete basi storiche nelle lotte che questi popoli nel corso dei secoli hanno dovuto portare avanti contro gli ingombranti vicini tedeschi, austriaci e russi, per non parlare degli Ottomani che avevano occupato per secoli Budapest e l’odierna Ungheria. Pensiamo solo alla tragedia novecentesca della Polonia che, dopo aver subito la Shoah ebraica a casa propria e la sanguinosa occupazione tedesca, per 40 anni aveva dovuto lottare contro il non meno violento occupante russo che aveva tentato invano di sopprimere il suo profondo sentimento cattolico e nazionale. Oppure cerchiamo di riflettere per un attimo sull’ingiustizia storica che aveva subito l’Ungheria dopo la Prima Guerra Mondiale quando con il Trattato di Trianon il suo territorio era stato drasticamente ridimensionato, lasciando così che milioni di connazionali ungheresi venissero lasciati al di fuori dei confini del loro paese. A noi europei occidentali potrà sembrare che simili questioni del secolo scorso non abbiamo alcuno spazio nel 2016 ma ciò ancora una volta denota un nostro colpevole unilateralismo culturale; per esempio la nuova Costituzione dell’Ungheria, entrata in vigore il 1 gennaio 2012, fa riferimento all’articolo D nella parte relativa ai Principi Fondamentali ai diritti delle minoranze ungheresi situate nei paesi confinanti, recitando testualmente che: “In vista della coesione della nazione ungherese unita, l’Ungheria porta responsabilità per il destino degli ungheresi che vivono al di fuori dei confini nazionali, favorisce la sopravvivenza e lo sviluppo delle loro comunità, sostiene le loro aspirazioni alla conservazione della propria identità ungherese, la realizzazione dei loro diritti individuali e collettivi, la creazione delle loro autonomie comunitarie, la loro sopravvivenza nella propria terra natia, nonché promuove la cooperazione tra di loro e con l’Ungheria.”

Non ci sarebbe stato perciò da sorprendersi nel constatare che una simile politica migratoria così libera e scevra da controlli e composta da migranti con una cultura del tutto diversa da quella delle popolazioni dei paesi dell’Est, avrebbe incontrato delle forti resistenze. Purtroppo anche in questo caso, a prescindere dalla belle parole sull’unità e la comprensione delle esigenze degli altri popoli europei, la Germania ha tirato dritta per la sua strada senza consultare i vicini dell’est, mentre i media tedeschi come da tradizione si sono buttati per partito preso contro l’Orban cattivo e fascista di turno e i polacchi retrogradi e populisti. Forse un po’ di considerazione e rispetto per la storia recente di quei paesi non avesse guastato anche se ciò avrebbe voluto dire riaprire vecchie ferite nel passato tedesco, che forse non è ancora passato.

Ad ogni modo mentre la Merkel mostrava la famosa generosità ed umanità tedesca al resto del mondo, l’Ungheria dell’ovviamente fascista e xenofobo Orban costruiva un muro di respingimento che se all’inizio venne criticato dalle solite ong prezzolate di Soros e dalle immancabili verginelle di sinistra, dopo neanche un anno era stato preso a modello di riferimento da pressoché tutti i paesi attraversati da spinte migratorie (Germania esclusa). Sempre a far notare come tale azzardato atto unilaterale tedesco abbia tuttora delle conseguenze, basti pensare al referendum indetto in questi giorni sempre da Orban sull’accoglienza o meno di alcune migliaia di profughi e che è stato indicato dal kapò di sinistra governativa Schulz come “perfido”. La stessa Brexit ha avuto una spinta decisiva per il suo successo nella critica feroce portata avanti dal partito euroscettico UKP di Farage che non ha mai perso occasione di scagliarsi contro la politica migratoria della Signora Merkel, in un paese come l’UK già pieno di immigrati poco qualificati e attirati solo dal welfare state locale.

Quello che intendo dire è che il tentativo da parte della Merkel di imporre una leadership morale in Europa è fallito ed anzi ha avuto il risultato pernicioso di dare acqua al mulino dei cosiddetti populismi interni, ossia AFD come visto sopra, e di quelli esterni, in primis quelli presenti nei paesi dell’Est Europa. Purtroppo i media tedeschi nel discorso profughi non sono del tutto obiettivi, per usare un generoso eufemismo, e quasi sempre caricano il dibattito di accezioni emotive e capziosi sentimentalismi che di certo non aiutano a comprendere il fenomeno in maniera razionale. Basti pensare che dopo che i risultati della Brexit erano stati confermati, non ho onestamente trovato commenti di analisti che avessero messo in luce il fattore legato al rifiuto espresso da parte di molti elettori inglesi di un’immigrazione selvaggia e non selettiva che molti avevano individuato nella politica tedesca. Tutti insomma a demonizzare l’ignorante Farage, di cui non poteva passare inosservato ai giornalisti mainstream il fatto che non avesse finito la scuola per andare a lavorare, senza tuttavia che nessuno avesse l’onestà di dire che il voto inglese era stato anche un chiaro segnale di protesta contro la politica di porte aperte sostenuta dalla Merkel. Oppure, per citare un altro esempio di manipolazione mediatica delle coscienze, come non dimenticare l’attenzione ossessiva dedicata a quel bambino siriano giunto morto su una spiaggia turca (ma posizionato accuratamente per poterlo fotografare meglio nda) e strumentalizzato in maniera vergognosa in modo tale da giustificare la politica di accoglienza dei profughi all’opinione pubblica.

E come aveva nel frattempo reagito l’opinione pubblica tedesca di fronte all’arrivo dei migranti? In tal caso basterebbe fare un semplice giro su Youtube per rivedere migliaia di video in cui persone di qualunque età e stato sociale avessero accolto con dolci, striscioni, grida di giubilo, applausi e perfino lacrime di commozione i poveri profughi che giungevano stremati alle stazioni ferroviarie. Mi ricordo molto bene di aver assistito anch’io a tali scene in televisione e di essermi chiesto come fosse possibile che un tale entusiasmo e spirito di accoglienza nei confronti dello straniero io non l’avessi mai vissuto da parte di un qualsiasi tedesco da quando mi trovavo a vivere nella capitale del Reich, all’epoca da due anni. Non mi ricordo neppure se qualche tedesco mi avesse mai abbracciato, neanche da ubriaco, o se si fosse complimentato per il fatto che io italiano fossi giunto nel paese della cuccagna per lavorare e quindi contribuire al nuovo miracolo economico tedesco. Ricordo invece come in diverse occasioni formali sul posto di lavoro alcuni colleghi e in un caso anche un mio superiore si siano trovati in profondo imbarazzo a stringermi la mano. Probabilmente ciò è dipeso dal fatto che la gente a Berlino è più scontrosa rispetto ai bavaresi che invece avevano accolto in maniera a dir poco esuberante i profughi, oppure dev’essere stato il fascino dell’esotico sempre presente nei tedeschi, che si sa amano viaggiare e vedere lidi e culture lontani. In fondo io sono semplicemente un sud europeo che viene qua per lavorare…ce ne devono essere così tanti da non fare più notizia. Volete mettere invece l’ebbrezza di trovarsi faccia a faccia con un profugo mediorientale da Mille e una Notte alla stazione di Augsburg? Insomma vedere per la prima volta e tra l’altro in tv tutto questo spirito di accoglienza teutonico mi aveva reso scettico e pensieroso al tempo stesso. Allora, seguendo il mantra di uno di quei pochi statisti che ci erano rimasti in Italia e che una volta sentenziò in uno dei suoi aforismi più famosi: “A pensare male si fa peccato ma a volte ci si azzecca.”, avevo deciso di farmi un po’ di domande ed approfondire la questione2.

(…continua)

1 Per i più curiosi faccio notare che la Grecia è l’unico membro NATO che dispone di armi ed equipaggiamento russo, anomalia che risale ai tempi della Guerra Fredda e che trova delle spiegazioni anche nel rapporto di stretta vicinanza culturale, religioso-ortodosso e anche storico se vogliamo tra la Grecia e la Russia.

2 In verità questo nostro illustre statista italico all’indomani della riunificazione tedesca disse anche: “Io amo così tanto la Germania che preferirei che ve ne fossero due”. Genio allo stato puro; se ora un qualunque politicante dicesse una frase simile, verrebbe subito messo alla berlina da tutto il circo mediatico.

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