I protocolli dei servi di Sion

Refugees IsraelAmici italioti d’Oltralpe, vi chiedo scusa se disturbo i vostri simposi a proposito di chi abbia vinto le ultime elezioni comunali o se Virginia Raggi riuscirà nell’impresa titanica di far resuscitare Roma dalle sue rovine postmoderne ma dalla terra teutonica dove scorre perennemente la birra e il miele vi vorrei raccontare un po’ di cose fuori dagli schemi canonici. Innanzitutto come oramai anche i gatti lo sanno, uno dei temi che più sta dividendo l’opinione pubblica europea è quello dei profughi. Senza esaminare nello specifico le posizioni dei vari schieramenti politici, possiamo riassumere le due opposte visioni individuando chi si rifà ai sempreverdi valori della solidarietà europea e che è rappresentato da uno schieramento trasversale formato dai tradizionali partiti conservatori e socialdemocratici e chi invece si oppone fermamente alla cultura dell’accoglienza totale e che viene immancabilmente bollato dai media come populista o, peggio ancora, razzista. Vi dico subito che la città in cui mi trovo a vivere è la capitale del paese leader di questa sempre meno coesa Unione Europea, la fantomatica e, così narra la leggenda, alternativa Disneyland Berlin. Come tutti voi ben saprete, la Germania di Merkel si è mossa in prima linea nell’accoglienza dei profughi siriani, criticando la scelta egoista, sempre secondo la visione tedesca, di quei paesi dell’Est Europea che si sarebbero invece anacronisticamente arroccati nei loro castellini di carta da cui guardare sconcertati l’orda incombente dei disperati.

Se vogliamo, Berlino può essere considerata come la città manifesto di questa nuova cultura umanitaria: centri sociali locali urlano ai quattro venti che “Die Flüchtllinge sind alle willkommen!”, che tutti i profughi sono benvenuti, mentre dimenticano che vi sono migliaia di cittadini comunitari che vengono perennemente sfruttati nel paradiso europeo delle start up, ma è meglio che chiuda qui il discorso altrimenti vengo tacciato di essere un vetero-comunista del secolo scorso. Tuttavia nella mia tuttora presente esperienza berlinese non ho potuto evitare di essere marchiato come un razzista per il semplice fatto di aver dichiarato che forse il governo Merkel non accoglie questi cosiddetti disperati di 20 anni che arrivano sulle spiagge di Lesbo a festeggiare con i selfie l’avvenuto sbarco, per spirito umanitario ma magari perché la popolazione tedesca entro il 2050 sarà formata per un terzo da over 65 e che, sempre forse beninteso, qualcuno dovrà pur foraggiare le pensioni più alte d’Europa. Insieme al sottoscritto, che in fondo e direi anche giustamente conta come il due di briscola, sono finiti nel tritacarne mediatico milioni di cittadini tedeschi che, secondo il parere unanime di tutti i sondaggi d’opinione, stanno accrescendo il consenso del partito di estrema destra Alternative für Deutschland che da subito si è schierato contro la politica di accoglienza senza se e senza ma della Merkel.

Per fronteggiare la pericolosissima virata a destra della Germania, il circo mediatico con un’unanimità che lascia sconcertati sta attaccando a tamburo battente questo nuovo movimento, definendolo razzista, xenofobo ed un ricettacolo di nazisti. Anche Berlino, per tradizione rossa e culla degli alternativi a qualunque potere, non fa eccezione: è notizia di qualche giorno fa la manifestazione di qualche centinaia di cittadini, quindi pochi a dire il vero, che si sono riuniti in vari punti centrali della metropoli per imbastire una catena umana contro il razzismo e a favore di una generica e vaga solidarietà umana. Niente male davvero per un paese che qualche giorno fa ha commemorato degnamente il 75esimo anniversario dell’Operazione Barbarossa col prolungamento delle sanzioni economiche contro la Russia; ma si sa, sempre secondo il canovaccio dello Spiegel e di altri organi progressisti, la Germania accoglie e dà una possibilità a tutti, difende i diritti delle minoranze etniche e dei gay mentre l’autocrazia russa quelle stesse minoranze le calpesta e le opprime. Sembra proprio di sentire il profumo del sogno americano con un leggero aroma crautico. Mentre sto scrivendo questo articolo ho di fronte a me le immagini della tv di stato ZDF che ritraggono l’ineffabile Signora Kasner sposata in Merkel che visita un asilo dove sono ben visibili vispe negrette già con il velo incorporato e altri bambini di diverse nazionalità che diventeranno i futuri e civili tedeschi di domani. Insomma verrebbe da dire che il quadro è pressoché idilliaco e si conclude sempre con i buoni e generosi tedeschi che mostrano al mondo il loro perfetto modello di integrazione e che criticano i paesi cattivi, che per un loro deprecabile sentimento egoistico questi stessi profughi li respingono.

Prima di entrare nel cuore dell’articolo, vorrei tuttavia spiazzarvi con un indovinello: ebbene dovete sapere che esiste un paese non molto lontano da noi che condivide il nostro stesso mare dove i benestanti (o aspiranti tali) italioti cercano refrigerio dalla calura estiva mentre qualche chilometro più in là dei disperati annegano cercando rifugio da ben più afosi problemi. Questo paese da 3 anni, ben prima che scoppiasse la crisi dei rifugiati, ha ben chiaro come risolvere il problema di doversi sobbarcare migliaia di pericolosissimi sovversivi o, come sempre questo stesso paese li definisce, “infiltrati” i quali a migliaia ogni anno tentano di entrarvi per sfuggire a persecuzioni politiche e religiose di vario genere. Dal 2013 questo paese marittimo ha deciso, secondo una legittima e regolarmente eletta maggioranza parlamentare e con l’appoggio o il menefreghismo di una parte rilevante della sua popolazione, di imprigionare questi disperati in un carcere di massima sicurezza per un periodo di 20 mesi per poi costringerli a firmare una dichiarazione “volontaria” con la quale i rifugiati dichiarano, ovviamente di loro spontanea volontà, di voler ritornare al loro paese d’origine. Non contenti di ciò, i governanti di questo paese, che si auto-definisce e viene considerato da molti (non da tutti attenzione) paesi come l’unico democratico in un’area popolata da vicini assetati di sangue, hanno deliberato che anche qualora i rifugiati trovino un datore di lavoro che garantisca per loro la permanenza nel paese, debbano comunque versare il 20% del loro stipendio in un fondo che verrebbe restituito solo alla loro auspicata ripartenza verso i loro paesi d’origine, oltre che pagare un bel 30% di tasse in più. Nella più comune delle ipotesi in cui i rifugiati rimangano in questo bel paese senza lavorare, i poveretti non hanno diritto all’assicurazione sanitaria e ad altri diritti basilari, come per esempio richiedere i servizi di un avvocato anche per una semplice causa civile. In questo momento sono sicuro che chi mi sta leggendo e che da mesi cerca invano una soluzione modello law and order al problema dei profughi avrà drizzato le orecchie ed esclamato tra sé e sé che un paese del genere non può esistere e che solo in dittature militari o in teocrazie islamiche i profughi vengono trattati come bestie da torturare o, nella migliore delle ipotesi, da sfruttare in fabbriche o campi agricoli lager. Insomma la domanda sorge spontanea: ma di quale paese sta parlando codesto narratore?

Prima di rispondere ai vostri atroci quesiti, vorrei partire da un episodio politico che penso pochi di voi avranno seguito. Mentre sto limando questo articolo, è giunta la conferma ufficiale che la maggioranza dei britannici, con l’eccezione degli scozzesi e degli irlandesi del nord, ha deciso di abbandonare la nave Europa. Non passa ora senza che illustri economisti non esaminino le future ripercussioni economiche dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, prevedendo ora scenari apocalittici ora presentandoci ben più ponderate analisi. Non è mia intenzione analizzare nello specifico il tema in questione; vorrei solo far notare che il Brexit è solo uno degli ultimi e tanti motivi di discussione e divisione tra chi si proclama filo-europeo e volenteroso perpetuatore del sogno europeista e chi invece vede questo sogno tramutarsi sempre più in un incubo. Tuttavia una notizia è passata inosservata e potrebbe gettare ulteriore benzina sul fuoco delle tensioni infra-europee: in marzo il primo ministro conservatore ungherese Viktor Orban ha dichiarato che intende indire anche lui un referendum tra la popolazione ma non per appurare se gli ungheresi vogliano restare più o meno nell’UE (per ora questa sì sarebbe fantapolitica) ma bensì per chiedere ai suoi connazionali di esprimersi su un altro tema non meno importante, ossia quello oramai inflazionato dei profughi. Infatti in questa consultazione popolare, che dovrebbe tenersi in estate o autunno (ancora non si sa), Orban vuole in sostanza chiedere se agli ungheresi sta bene di accogliere la bellezza di 1024 profughi siriani sul loro territorio. Di fronte a questa decisione, legittima o meno, di chiedere il consulto popolare su un tema così delicato, non si è fatta attendere la reazione del presidente del Parlamento Europeo nonché Kapo degli eurodemocratici, pardon socialdemocratici, Schulz il quale in un’intervista alla popolare rivista tedesca Stern ha rilasciato le seguenti dichiarazioni:

In questo momento in Europa ci sono paesi solidali e paesi non solidali. Fintanto che ci sono persone come il primo ministro ungherese Orban che dice: “Il problema dei profughi non ci riguarda, è un problema tedesco”, l’Europa non potrà mai vincere le sue sfide. La decisione di Orban di indire un referendum (v. sopra) non è solo assurda ma anche perfida.”

Quindi per il presidente del Parlamento Europeo, il quale perlomeno sulla carta dovrebbe rappresentare l’unità e gli interessi dei popoli europei, chiedere alla gente cosa ne pensa su un determinato tema non sarebbe solamente sbagliato bensì addirittura perfido. Certo è un modo interessante di intendere la democrazia; da quanto posso leggere quotidianamente sui liberi e non influenzabili media e giornali tedeschi, in primis il progressista Spiegel, ho sempre creduto che a minacciare la democrazia fossero i cosiddetti populisti a la Trump o Le Pen, per citarne due, ossia quelli che con le loro idee diaboliche ed intrise di razzismo, vogliono cacciare i musulmani dai loro paesi, distruggere le democrazie occidentali, reintrodurre la pena di morte e l’apartheid. Da quello che ci hanno sempre insegnato le sinistre dalle loro cattedre universitarie o durante infuocati comizi sindacali, ho invece appreso che dare la parola al popolo fosse un doveroso atto di democrazia e progresso sociale. Il fatto che il socialista Schulz ci viene ora a dire che un referendum popolare sia addirittura perfido, mi lascia alquanto interdetto. Una cosa del genere deve averla probabilmente rimuginata anche Chruscev quando decise di inviare i carri armati a reprimere la rivolta di Budapest nel 1956 e come dargli torto in fondo: “Dare la parola al popolo? Renderlo partecipe del suo destino? Oi ma siam matti?” – deve aver esclamato il leader sovietico (ucraino per essere esatti n.d.a.) dell’epoca.

D’altra parte sarei veramente curioso di sapere come reagirebbe Schulz se qualcuno gli dicesse che questo paese, di cui tra un po’ svelerò l’identità, non ha bisogno di referendum o di altre strane diavolerie populiste poiché in primo luogo l’esito sarebbe scontato e poi sarebbe un’inutile perdita di tempo considerando che i mezzi legali per fermare i pericolosi infiltrati (mi sto solo attenendo al termine legale utilizzato in quel paese) ci sono e funzionano egregiamente a quanto pare. Inoltre se la Merkel fosse a conoscenza di quello che avviene in quel paese, sono sicuro che proclamerebbe delle catene umane per difendere la dignità calpestata di quei profughi incarcerati, senza considerare che lo Spiegel pubblicherebbe in prima pagina una serie di inchieste per mettere il mondo occidentale a conoscenza di quello che avviene e per fermare tale barbarie. Vivendo da quasi tre anni in Germania, non posso ovviamente credere che un governo così democratico possa chiudere gli occhi di fronte ad un simile scempio.

Per tornare a codesto paese di Bengodi, che sarebbe l’Eden in terra per i vari Salvini, Le Pen e gli altri cosiddetti populisti, un rifugiato di colore (probabilmente là lo chiamano negro) se non ha la sfortuna di morire nel deserto, viene catalogato come un infiltrato che minaccia la purezza etnica della razza di maggioranza, non ha diritto a nessuna cura medica, vive come un clandestino nelle simpatiche periferie metropolitane, viene considerato un criminale a tutti gli effetti e per questo incarcerato in un carcere di massima sicurezza e ed infine espulso ma con la giustificazione (questa sì perfida!) di aver firmato una dichiarazione scritta nella quale afferma “volontariamente” di aver deciso di tornare nel suo paese d’origine e di non aver subito pressioni in tal senso dall’autorità governativa. Sicuro che non avrete ancora indovinato di quale paese si tratta, vi do volentieri una serie di aiutini: il paese in questione è nato dalle ceneri dell’Impero Ottomano dopo la Prima Guerra Mondiale, la sua esistenza è stata fortemente voluta dalle potenze occidentali di Francia e Regno Unito, il soggetto si è rafforzato attraverso una serie di guerre regionali, nella prima delle quali la stragrande maggioranza della popolazione della parte avversa ha dovuto abbandonare la propria terra d’origine dove viveva da secoli dopo una serie di pulizie etniche ed atti di vero e proprio terrorismo con stragi di civili annesse, inoltre al governo attuale ci sono dei pericolosi e poco raccomandabili estremisti religiosi che perseguitano i gay e le altre minoranze religiose. Non ci siete ancora arrivati? Come dite? Avete bisogno di una maggiore localizzazione geografica? Ma come? Non vi basta sapere che il paese è nato dalle ceneri dell’Impero Ottomano? Certo che gli italiani non sono mai stati forti in geografia ma associare addirittura il misterioso ed esotico paese a Napoli solamente perché Totò ha fatto un film nel quale impersonificava la parte di un ottomano appunto mi pare un’offesa bella e buona al senso comune ma in ogni caso vi do un ulteriore indizio…il paese in questione è in Medio Oriente. Qualcuno dalla regia mi suggerisce che trattasi di uno dei tanti paesi arabi nei quali vivono milioni di barbuti ignoranti e fanatici islamici ma vi devo deludere rivelandovi che non si tratta di nessuno di loro. Inoltre per un motivo o per l’altro questi paesi stanno accogliendo con sforzi non indifferenti un bel po’ di profughi, non trovate? Intravedendo un vuoto totale nelle vostre menti, vi fornisco un indizio fondamentale che vi permetterà di individuare seduta stante l’enigmatico porto di mare. Ebbene dovete sapere che questo paese, sebbene lo abbia sempre categoricamente negato, dispone di diverse testate nucleari. Cosa dite? Che mi sto riferendo all’Iran? Ach…pecorelle smarrite…come cantava De Andrè, bisogna farne di strada per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni…Ad ogni modo abbandono il mio sarcasmo per comunicarvi che il paese imputato è Israele. Sorpresi eh?

Ma qual’è la situazioni dei rifugiati in Israele?

Premetto che in questo momento vivono in Israele 45.711 rifugiati, il 92% dei quali proviene dall’Eritrea e dal Sudan. Il numero in questione aveva subito impennata nel 2003, da quando cioè gravissime violazioni dei diritti umani nella ragione sudanese del Darfur avevano spinto qualcosa come 350mila persone a fuggire e a cercare rifugio nei paesi circostanti come per l’esempio l’Egitto. Queste persone scappavano da una guerra spietata condotta dal dittatore Bashar al Assad contro la minoranza cristiana del Darfur; questi stessi disperati si aspettavano una maggior protezione da parte del governo egiziano ma diversi atti di violenza condotti dalla polizia egiziana aveva spinto molti di loro a varcare il confine israeliano convinti di trovare maggiore protezione in Israele. Tuttavia i primi duecento profughi che attraversarono il confine vennero subito imprigionati secondo le disposizioni generali contenute nella Legge Anti-Infiltrazione che regola lo stato dei rifugiati e che a breve andrò a descrivere.

Il quadro legislativo regolante la condizione giuridica dei richiedenti asilo politico è dato da una legge del 1954, denominata Legge Anti-Infiltrazione (sic). Fino al settembre 2013 era presente in tale legge un emendamento che consentiva al governo israeliano di imprigionare i profughi che fossero entrati illegalmente nel paese fino ad un periodo massimo di tre anni senza beninteso lo straccio di un processo. Questo emendamento era stato dichiarato incostituzionale dall’Alta Corte di Giustizia, organo paragonabile alla nostra Corte Costituzionale. Il governo a stretto giro aveva risposto con una legge che inseriva un altro emendamento il quale riduceva il periodo di imprigionamento dei profughi da tre ad un anno, alla fine del quale gli infiltrati sarebbero stati condotti nel carcere di massima sicurezza di Holot, situato nel deserto del Neghev, per un periodo indefinito di tempo. Anche questo emendamento era stato considerato illegittimo dall’Alta Corte nel settembre 2014. Con una furia e fretta che nemmeno Berlusconi aveva dimostrato per le sue leggi ad personam, dopo neanche tre mesi il governo di estrema destra israeliano aveva approvato a tempo record un altro emendamento che non faceva altro che diminuire da uno anno a tre mesi l’imprigionamento per gli infiltrati appena entrati illegalmente nel paese e a 20 mesi l’imprigionamento nel maxi carcere di Holot. Inoltre il nuovo emendamento prevedeva che gli infiltrati che avessero avuto la fortuna di trovare un lavoro, avrebbero dovuto versare il 20% del loro salario in un fondo che sarebbe stato restituito alla loro ripartenza verso i loro paesi d’origine. Inoltre anche i datori di lavoro avrebbero dovuto versare un ulteriore 16% in questo fondo cassa, la cui suddetta percentuale sarebbe stata restituita sempre al loro auspicato ritorno a casa. Sembra perciò evidente la volontà legislativa di disincentivare, anche dal punto di vista economico, l’assunzione di lavoratori stranieri da parte dei datori di lavoro. Non contento di ciò, il governo ha pensato bene di far pagare un 30% di tasse in più ai pericolosissimi infiltrati. Aggiungo che diverse associazioni per i diritti umani hanno impugnato l’ennesimo emendamento di fronte all’Alta Corte di Giustizia ma la decisione non è ancora giunta.

Tra le tante leccornie legislative vi segnalo inoltre quella che prevede che i profughi che si trovino in prigione siano costretti a firmare un questionario scritto e a firmare un documento che attesta la loro volontà di lasciare Israele. Secondo testimonianze dirette degli stessi profughi imprigionati, molti di loro sono spinti da pressioni di vario tipo a firmare un documento nel quale si attesta che sono disposti a lasciare Israele anche qualora vengano rilasciati dal carcere. Anche un bambino capirebbe come la politica ufficiale del governo israeliano sia quella di incentivare le partenze o mettendo ostacoli economici di diverso tipo ai profughi oppure facendoli firmare dichiarazioni farsa in carcere, ambiente per tradizione libero e scevro da pressioni, nelle quali i richiedenti asilo politico sono costretti a dichiarare di voler abbandonare il paese. Purtroppo il tempo è stringato e se dovessi descrivere tutte le violazioni dei diritti umani da loro subiti, dovrei scrivere un Libro Bianco. Aggiungo solo che i profughi che decidono “volontariamente” di lasciare il paese, al loro ritorno in Sudan ed Eritrea vengono nella maggior parte dei casi arrestati seduta stante dalla polizia locale, interrogati sui motivi per cui si trovavano in Israele, picchiati, torturati e anche talvolta accusati di essere delle spie al soldo di Israele. Ma d’altra parte come stupirsi: in fondo è rinomato che quei paesi di negri siano dittatoriali e selvaggi da sempre. Non possono essere lontanamente paragonati ad uno stato democratico e di diritto come quello sionista.

Comunque sia di fronte a questa simpatica politica umanitaria il deputato del partito di estrema destra Likud Gilad Erdan, all’epoca Ministro degli Interni, ebbe a dichiarare:

La questione qui è tra due gruppi politici: quelli che vedono Israele come unico ed indivisibile oltreché l’unica nazione ebraica del mondo e il blocco della sinistra che, sfortunatamente, sta facendo di tutto per metter in dubbio questo dato di fatto.”

Immaginate solo per un attimo come avrebbe reagito l’opinione pubblica tedesca se per esempio il ministro degli interni polacco avesse difeso la scelta di non accogliere i profughi perché sarebbe stato necessario difendere l’unica nazione polacca esistente al mondo. O se, per citare un altro populista rabbioso, Viktor Orban avesse solo tentato di giustificare il referendum sui profughi con la scusa di voler tutelare la magiarità del popolo ungherese, sarebbe stato assalito dagli strali dei tecnocrati di Bruxelles e da quelli, non meno feroci, dei progressisti pro-profughi (scusate il triplice gioco di parole). Subito lo Spiegel e gli altri mezzi di distrazione di massa lo avrebbero dipinto come un “pericoloso anti-democratico, un fascista, un persecutore di ebrei e rom, uno che vuole distruggere il sogno europeo” e così via. Per non parlare poi delle minacce economiche: da diverso tempo è emersa in concreto la possibilità che la Commissione Europea, che repetita forse iuvant è un organo non eletto da nessuno, possa infliggere delle sanzioni economiche a quei paesi che non accettino le quote di ripartizione dei profughi proposte dalla Commissione stessa. Figuriamoci poi se un qualsiasi politico europeo avesse additato discorsi di difesa della pubblica sicurezza contro gli infiltrati, come vengono definiti dal punto di vista legislativo in Israele gli eritrei e sudanesi che scappano dalle guerre: la sinistra boldriniana avrebbe sbraitato contro i razzisti, il Papa avrebbe urlato la sua indignazione urbi et orbi, la Merkel e la sua protesi Schäuble lo avrebbe riempito di multe come nel Vigile di Sordi e i media progressisti avrebbero innalzato la bandiera della crociata illuminista contro la barbarie populista. Insomma per farla breve: sarebbe un successo un, anzi il finimondo.

Nel caso sia invece “l’unica democrazia in Medio Oriente” a portare avanti queste politiche, silenzio assoluto, oserei dire omertoso. Un’altra vicenda che dovrebbe far riflettere sul sistema di due pesi e due misure adottate in Europa nei confronti di Israele è quanto successo nel novembre del 2015 a Berlino. I fatti sono i seguenti: la famosa catena di cibo e vestiti di lusso, la Kadewe, aveva deciso sua sponte di fare propria una raccomandazione della Commissione Europea che vieta di etichettare come made in Israel quei prodotti alimentari provenienti dalle colonie israeliani in Cisgiordania e nelle Alture del Golan. Per chi non lo sapesse, i confini dello Stato di Israele ufficialmente riconosciuti dalla comunità internazionale sono quelli antecedenti alla cosiddetta Guerra dei 6 Giorni del 1967 che aveva visto Israele sbaragliare in pochi giorni gli eserciti di Egitto, Giordania e Siria messi assieme. Dopo quella guerra lampo di 6 giorni Israele ha occupato fino ai giorni nostri i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, ossia quel poco che rimane della Palestina storica, cacciando centinaia di migliaia di arabi che lì risiedevano, requisendo risorse idriche locali (questa in verità è la vera ragione dell’occupazione n.d.a.) e facendo costruire centinaia di insediamenti coloniali i quali sono considerati illegali secondo il diritto internazionale. Queste colonie, che in alcuni casi sono delle vere e proprie città urbane con decine di migliaia di abitanti con strade, ospedali, ovviamente caserme ed altre infrastrutture, sono illegali appunto poiché edificate in aree sotto occupazione militare israeliana e quindi non facenti parte ufficialmente dello Stato di Israele. Per tale motivo in uno dei rari momenti di lucidità e buon senso la Commissione Europea ha raccomandato che tali generi alimentari delle colonie ebraiche non siano più etichettati come prodotti made in Israel bensì come provenienti dagli illegali insediamenti israeliani. Aggiungo io che in molti casi i succosi vini della Cisgiordania o i pregiati oli del Golan vengono prodotti anche grazie al lavoro coatto di migliaia di untermenschen palestinesi del posto che vengono pagati una miseria dai coloni ebraici per lavorare come i negri della Louisiana nel secolo scorso. Mi raccomando che questa scomoda verità resti tra noi altrimenti ci mandano tutti in galera per istigazione all’odio razziale…

Di fronte a questa tutto sommata moderata raccomandazione la catena Kadewe è andata addirittura oltre facendo ritirare dagli scaffali i vini prodotti ed imbottigliati nelle colonie in attesa di una decisione definitiva (ancora non arrivata) da parte della Commissione Europea sull’etichettatura corretta da adottare. A quel punto si è scatenata la tempesta mediatica perfetta. Il direttore del tabloid scandalistico Bild, che lo ricordo è il giornale più venduto e letto in Germania, ha cinguettato furioso su Twitter paragonando il divieto di vendere i vini prodotti nei territori occupati al boicottaggio operato dalle camicie brune di Hitler nel 1935 contro i negozi ebraici. Se ritenete che abbia preso il classico colpo di sole, vi invito a leggere il seguente link dello Specchio:

http://www.spiegel.de/politik/ausland/kadewe-nimmt-israelische-siedlungsprodukte-aus-dem-verkauf-a-1063630.html

Purtroppo il sito è in tedesco e perciò dovreste farvi aiutare da qualche nonnetta reduce della guerra o da qualche villeggiante crucca a Lignano, mi dispiace. Vi traduco comunque il pezzo del direttore perché merita:

QUESTA E’ UNA LEGGE CONTRO ISRAELE (maiuscolo nel testo n.d.a.) ! L’Europa dovrebbe sicuramente impegnarsi di più per difendere gli ebrei e combattere l’antisemitismo piuttosto che dare un’arma nelle mani dei nemici di Israele. Dev’essere detto chiaramente: sulla politica di colonizzazione di Israele (almeno lo ammette n.d.a.) si può essere critici (bonta sua…com’è umano lei). Ma solo immaginare che in Europa vi possa essere nuovamente un boicottaggio dei beni ebraici è un orrore!”

Ad ogni modo qualche giorno dopo, anche a seguito di pressioni politiche condotte da Netanhyau in persona e dalle numerose lobby israeliane presenti in Europa, la Kadewe ha fatto marcia indietro andando letteralmente a Canossa con questo lapidario comunicato stampa:

L’azione è stata troppo rapida ed insensibile (sic)”. e scusandosi pubblicamente della vergognosa gazzarra.

Come accade in tutte la favole a lieto fine, i vini provenienti dalle colonie illegali sono stati rimessi nei carrelli per la gioia dei valorosi combattenti dell’antisemitismo sempre latente in Germania, sancendo un’altra volta la vittoria del diritto contro il dio denaro e la legge del più forte. A me non piace granché il fantasy ma, leggendo questa notizia, ho provato ad immaginare per un attimo se ad essere stati venduti nel magazzino di lusso fossero stati dei vini provenienti dalla Crimea, considerata da tutti i capi di governi UE come un territorio a sovranità ucraina occupato illegalmente dall’autocratica Russia di Putin. Lascio immaginare all’intelligenza dei lettori il seguito. Dico solo che nessuno avrebbe espresso solidarietà alla Russia, questo almeno concedetemelo.

Insomma spero di non aver disturbato troppo le vostre interessanti elucubrazioni sulle riforme costituzionali della Boschi e sulla tenuta o meno del governo Alvaro Vitali, alias Renzi. Vi sarei tuttavia grato se qualche anima pia tra voi che vive a Roma, nel momento in cui la sindaca Raggi immancabilmente indosserà la kippah e andrà a rendere ossequioso omaggio alla Comunità Ebraica romana, possa far leggere questo mio trafiletto alla sindaca pentastellata. Sia io che le migliaia di infiltrati sudanesi e negri palestinesi ve ne saremmo grati. Shalom.

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