Passaggio a Nord – Est

unificazione-germania-satiraAmici e soprattutto nemici al di là del Brennero,

continua la mia proustiana ricerca del socialismo perduto nel tempo in quel quartiere modello della Berlino Est che fu, ora derubricato a monello svogliato e razzista da rieducare al nuovo (dis)ordine mercantilista. Se in precedenza mi sono limitato ad intervistare lavoratori che giungono fino all’estrema periferia berlinese per portare a casa la pagnotta, in questo altro memorabile reportage on the road mi sono invece concentrato su quelle persone che vivono qui dai galoppanti anni ’70 e che pertanto sono testimoni viventi dei cambiamenti che il quartiere ha conosciuto in questi ultimi decenni.

In verità le mie intenzioni iniziali sono ben altre: infatti quella mattina mi sono svegliato col pensiero fisso di individuare quelle schegge russe che dopo la disintegrazione della Grande Madre Sovietica si erano sparpagliate per Berlino. Facendo una breve ricerca sulla rete, scopro senza molto stupore invero che a Marzahn esiste una chiesa ortodossa costruita due anni fa. Tuttavia recatomi sul posto noto con dispiacere che questa piccola cattedrale (è proprio il caso di dirlo) nel deserto non sembra presentare segni di vita. Non demordo e cammino per almeno mezz’ora lungo una strada larghissima e all’apparenza infinita in mezzo alla quale sferraglia ogni tanto un serpentone giallo diretto chissà dove. La speranza di incontrare qualche russo è tuttavia ancora più viva che mai e già mi passano per la mente le domande da porre allo sventurato: “Da quanto tempo vivono i russi a Marzahn? Essi ritengono che l’immagine della Russia che passa sui media tedeschi sia imparziale o che sia invece accecata dalla perfida propaganda USA? Vengono qualche volta assaliti dalla nostalgia e dal desiderio di tornare nella madre patria? Che opinione hanno di Putin?” e mentre elaboro quesiti sempre più raffinati che spaziano dalla geopolitica del Donbass fino a quella della patata (da cui si ricava la preziosa vodka – sempre a pensar male, eh?), intravedo sulla facciata di una piccola casa a due piani dei misteriosi geroglifici che sembrano corrispondere al cirillico moderno ai quali fa da contraltare la relativa traduzione in tedesco. Sembrerebbe proprio una piccola impresa gestita da russi del posto e già pregusto la possibilità di un’intervista sulle conseguenze microeconomiche delle sanzioni occidentali su quella azienda familiare, quando mi accorgo sconcertato che l’azienda in questione si occupa di pompe funebri; capisco in quel momento che un destino beffardo non ne vuole proprio sapere che le mie strade si incrocino con quelle dell’orso russo, perlomeno per quel sabato mattina.

Me ne vado via disincantato ma anche divertito e decido di tornare all’obiettivo originale: intervistare persone anziane o anche di media età che vivono a Marzahn dai tempi in cui Breznev e Honecker limonavano duro (questa la capiranno in due ma chi se ne frega). Non è particolarmente difficile trovarne alcuni; sebbene negli ultimi anni molti giovani studenti si siano trasferiti qui a causa degli affitti troppo alti, la fauna tipica di Marzahn è composta tuttora da pensionati che ancora giovani si erano trasferiti qui negli anni ’70 durante il grande piano di edilizia popolare. Il quadro che emerge da queste conversazioni è pressoché univoco: dopo la riunificazione il quartiere ha subìto significativi miglioramenti. Non solamente sono aumentate le aree verdi, che comunque erano già numerose al tempo dell’amministrazione socialista, ma anche i famigerati casermoni in cemento armato, i Plattenbau, hanno subìto recentemente un restyling artistico volto a superare il cronico cliché del grigiore e alienazione targati DDR. Me ne accorgo io stesso facendo una passeggiata lungo le vie che costeggiano il Bürgerpark, un parco cittadino situato nella parte orientale del quartiere. Qui è tutto un esplodere di colori sulle facciate, spesso volutamente contrastanti tra di loro, che riescono a dare un pizzico di solarità nell’avvenire – ammetto di stare raschiando il fondo – agli altrimenti grigi palazzi.

La cosa che mi colpisce di più in questa mia esplorazione a Nord – Est è la numerosa presenza di aree verdi: parchi pubblici, giardini per bambini, zone pedonali e piste ciclabili offrono silenzio e tranquillità direi quasi piccolo borghese, per usare un termine forte. Insomma lo stereotipo della Marzahn grigia e deprimente non regge ad una prima impressione e non bisogna dimenticare che siamo ancora in inverno. Le vestali del quartiere mi spiegano poi che la politica del partito era quella di offrire delle case popolari e funzionali a tutti le classe sociali: l’idea era che l’operaio potesse vivere a fianco dell’ingegnere e dell’insegnante, senza che vi fossero delle barriere tra i ceti. A questa politica di edilizia popolare dovevano affiancarsi delle aree verdi e di svago oltre che servizi di trasporti come il tram in grado di collegare velocemente la periferia alla Berlino Est da bere; tuttavia la mancanza di veri e propri centri di aggregazione giovanile si fa visivamente sentire. Camminando tra i Plattenbau purtroppo si percepisce la penuria di punti di ritrovo per le nuove generazioni anche se quei pochi ragazzi di vita che vagano annoiati per le strade sembrano tuttavia apprezzare particolarmente l’erba che così folta ricopre Marzahn: anche questo si chiama valorizzare il quartiere. Avrei voluto fare due chiacchere con loro ma non mi sembrava professionale; ma per chi mi avete preso?

Un altro punto interessante che è emerso dalle interviste e che va a cozzare contro il luogo comune e la facile equiparazione tra Marzahn e la microcriminalità, è la mancanza di avversione verso gli stranieri stanziati nel quartiere, perlomeno da parte di questi vecchi reduci del socialismo reale. Secondo loro i vietnamiti e russi qui presenti da diversi decenni hanno dimostrato una reale volontà nell’integrarsi; è stato preso come esempio il fatto che i genitori di questi nuovi tedeschi mandino i loro figli alle scuole pubbliche dove si parla esclusivamente il teutonico post-gotico detto volgarmente crucco. Da ciò si evincerebbe una reale intenzione di rimanere in Germania e di dare gli strumenti necessari ai propri figli per poter migliorare le proprie condizioni esistenziali. Tuttavia persiste una certa diffidenza ed inquietudine nei confronti dei turchi e degli arabi in genere, la cui presenza paradossalmente è pressoché inesistente a Marzahn. Il facile e triste gioco degli specchi su cui si riflettono i rispettivi pregiudizi impone che i “musulmani”, come vengono generalmente definiti, vivano in ghetti urbani dove vigerebbero regole extraterritoriali e si parlerebbe solo l’arabo; questa è la vulgata che passa nel vecchio tempio della solidarietà transnazionale a tinte rosse.

Nonostante le facili generalizzazioni, un fondo di verità c’è: secondo diversi studi tedeschi, la popolazione turca residente a Berlino è quella che presenta il minore tasso di formazione nonché la maggior percentuale di disoccupati:

http://www.tagesspiegel.de/berlin/tuerken-in-berlin-beruf-arbeitslos-in-dritter-generation/214260.html

Anche la padronanza della lingua tedesca non è prerogativa di tutta la comunità tanto che un turco su cinque che vive in Germania non parla il tedesco bensì solo ed esclusivamente il turco:

http://www.welt.de/politik/deutschland/article7222075/Tuerken-sind-die-Sorgenkinder-der-Integration.html

Questo auto-isolamento, visibile in alcune zone del quartiere di Neukölln dove la lingua franca è l’arabo, non ha invece interessato il Far East berlinese dove, come detto, i vietnamiti e russi risultano meglio integrati anche dal punto di vista linguistico. Anche in conseguenza di ciò il tasso di criminalità a Marzahn è più basso rispetto a quello di altri rinomati quartieri come Kreuzberg e Friedrichsain. Recentemente il giornale locale “Die Berliner Zeitung” ha pubblicato un report della polizia locale che ha stilato quelle che secondo la forza pubblica risultano essere le zone più pericolose di Berlino:

http://www.berliner-zeitung.de/berlin/polizei/die-23-unsichersten-orte-der-stadt-wo-berlin-gefaehrlich-ist-23459052

Anche se non si comprende il tedesco, non è difficile notare come i puntini rossi che rappresentano i luoghi a più alta concentrazione di criminalità non si trovino affatto nei quartieri orientali, con la sola eccezione di Friedrichsain di cui avevo già scritto nel primo articolo, bensì nelle zone del centro e persino nella ex parte occidentale dove spesso si registrano crimini legati al traffico di droga e furti fino ad arrivare agli accoltellamenti e ai pestaggi gratuiti. Certo un motivo valido di spiegazione è che la criminalità, che sia finanziaria o spicciola, segue sempre i soldi e pertanto luoghi frequentati da turisti e studenti figli di papà sono facile preda dei malviventi. Ciò non toglie che il circo mediatico continui ad associare il nome di Marzahn e di altre realtà periferiche a situazioni di degrado che in verità si manifestano con maggior frequenza in luoghi considerati “fighetti” dal sentir comune (vedi articolo precedente).

Prima di tornarmene a casa decido di fare un ultimo giro di commiato nella parte vecchia del quartiere. Qui si respira un’atmosfera completamente diversa da quella percepita finora: le case basse in mattoncini rossi sono attraversate da strade lastricate in porfido che darebbero quasi un che di romantico se non fosse per le sagome delle montagne di cemento che inevitabilmente si intravedono all’orizzonte. In questo piccolo borgo contadino nel 1994 è stato ricostruito il vecchio mulino che produce ancora farina che può essere addirittura acquistata sul posto. Altro luogo particolare è un piccolo agriturismo dove pascolano beate pecore e capre a pochi passi dallo scorazzare indifferente delle auto. E’ come se il tempo si sia fermato alla vigilia delle immani tragedie che hanno sconvolto Berlino durante il secolo scorso: le due guerre mondiali, l’affermarsi dei totalitarismi, la distruzione e la divisione della città e la recente rinascita, inframmezzata ancora da tante ombre. Mentre osservo il monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale, che si badi bene non era stato toccato dal partito comunista, rifletto su come invece diversi centri storici delle città italiane siano stati sventrati durante il boom economico degli anni ’60 (e anche dopo) per lasciar spazio ad orrendi palazzoni; tutto questo in nome di una cieca speculazione edilizia e di un facile guadagno. Qui invece, sebbene l’ondata di cemento si sia pure riversata in maniera copiosa, un piccolo scorcio di tranquillità e lentezza è stato volutamente conservato e la cosa è avvenuta sotto un regime considerato disumano e distruttore di ogni valore. Ma anche il tempo delle riflessioni è finito e i soliti brontolii gastrici mi rimettono a ben più terreni pensieri…it’s time to go ma prima decido, visibilmente commosso, di mangiare un panino con i cevapcici che mi rammenta gloriose giornate di maggio passate in quel di Trieste.

Nel prossimo articolo riporterò il riassunto di un’intervista tra il sottoscritto e una coppia di visitors dal passato, anzi sarebbe meglio dire che leggerete un’intervista col diavolo in persona. Potete già cominciare a fare i vostri pronostici anche se vi dico subito che non ho preso in ostaggio Putin per costringerlo a dire tutto quello che sa sul lettone nella Villa di Berlusca.

Al prossimo giro di giostra, fratelli petalosi!

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