Divide ma non impera

Ambasciata USAOggi parliamo di un paese la cui situazione politica si sta caratterizzando per una litigiosità e precarietà senza sbocchi. Il paese in questione era andato a votare nel settembre dello scorso anno e i risultati elettorali non diedero la possibilità di formare una chiara maggioranza. Nessun partito ne usci vincitore assoluto; il partito democristiano aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti, raggiungendo tuttavia il suo minimo storico dal secondo dopoguerra, mentre la sinistra riformista o socialdemocratica che dir si voglia perse milioni di voti a tutto vantaggio dell’estrema destra. Quest’ultimo movimento era riuscito difatti ad incanalare i consensi di milioni di lavoratori e precari delle zone più povere del paese, che storicamente avevano votato a sinistra ma che erano delusi da vent’anni di promesse a vuoto. La frammentarietà del paese si specchiò anche nell’arrivo in parlamento di partitini che avevano sì superato lo sbarramento del 5% ma che erano quasi del tutto ininfluenti nel creare un esecutivo. Dopo le elezioni le differenze e divisioni tra partiti e movimenti d’opinione nella società civile si ampliarono ancor di più nel momento in cui i democristiani avevano tentato di raggiungere una maggioranza coinvolgendo i verdi e liberali, ma quest’ultimi disincantati dall’immobilismo del partito di maggioranza uscente decisero di abbandonare le negoziazioni.

In un paese così conservatore si pensò allora di riproporre la stessa formula già utilizzata negli anni precedenti e che, per certi aspetti, aveva condotto allo stallo presente, ossia ripresentare una grande coalizione tra i partiti maggiori che avevano perso il maggior numero di voti. L’opinione pubblica non aveva pensato nè di protestare nè di proporre qualcosa di nuovo per il paese, così che ci si trovo al punto di partenza con le medesime facce politiche antecedenti alle elezioni di autunno. Nel frattempo si erano persi 6 mesi preziosi in un momento storico nel quale L’Unione Europea, ormai assediata da guerre commerciali contro la Russia e gli USA oltre che la Brexit, avrebbe preteso una stabilità tale da superare le sue numerose crisi interne. Al tempo stesso tra i partiti componenti la coalizione di governo erano iniziati a volare gli stracci; dopo 3 mesi dall’insediamento un partito regionalista conservatore aveva minacciato di far cadere il governo qualora non si fosse adottata una politica immigrazionista più rigida. Peccato che il medesimo capo di governo aveva accolto 1 milione di migranti tre anni prima tra il consenso assoluto di tutti i partiti, maggioranza ed opposizione, presenti all’epoca in parlamento. Ricapitolando: si sono voluti 6 mesi per formare un governo, che è in pratica tale e quale a quello che aveva perso le elezioni e dopo nemmeno 4 mesi sembra quasi che non riuscirà a mangiare il panettone.

Se non fosse stato per il panettone citato nell’ultima riga, il paese in questione avrebbe potuto essere benissimo l’Italia. Come infatti non citare le innumerevoli crisi di governo che negli ultimi 70 anni ci hanno consegnato quasi più governi che anni. Peccato che ad essere coinvolta da una crisi di governo, probabilmente senza precedenti nella sua storia moderna, sia la Germania del quarto governo Merkel. Sebbene i due paesi, uno latino ergo instabile e l’altro nordico quindi simbolo di sicurezza secondo la vulgata corrente, hanno molti più punti in comune rispetto a quanto si potrebbe pensare. Entrambi sono caratterizzati da una crescita tumultuosa dei partiti cosiddetti populisti e xenofobi, che desiderano mettere un freno ad una politica troppo liberale nei confronti dell’immigrazione adottata negli ultimi anni dai propri governi precedenti. Entrambi i paesi non sono ancora riusciti, nonostante i fondi europei e le promesse dell’intera classe politica, ad integrare le proprie aree economicamente depresse; se nel nostro caso il problema addirittura secolare del Mezzogiorno non ha bisogno nemmeno di approfondimenti ulteriori, in quello tedesco le intere regioni orientali sono ancora più povere rispetto a quelle occidentali. Inoltre il problema della disparità  salariale tra uomini e donne è un problema presente anche in Germania, nella quale la presenza delle donne in posizioni manageriali è inferiore a quello di paesi orientali ex comunisti come la Polonia. Politicamente parlando potremmo perfino abbandonare il nostro stato di inferiorità  presunta, e spesso ahimè aizzato da illustri giornalisti nostrani, nel dire che abbiamo superato divisioni tra nord e sud che sembravano permanenti mentre la Germania, come vedremo tra un po’, dispone tuttora di diverse faglie di frattura interne. Non può essere sottovalutato che alle ultime elezioni italiane un partito regionalista come la Lega Nord, che non casualmente ha abbandonato quest’ultimo riferimento al Settentrione nel suo simbolo, si sia affermato in tutto il Centro e Sud Italia, cosa che pareva impensabile fino a qualche anno fa. Una cosa del genere in Germania sarebbe appunto impensabile; se qualcuno veramente ritiene che il partito cosiddetto gemello della CDU, la CSU bavarese nonchè cattolica di Seehofer, possa prendere voti nel Brandeburgo o in altri länder esterni alla Baviera, ce lo faccia gentilmente sapere.

L’incertezza nella formazione del governo e la relativa instabilità nell’amministrare il paese non è più un’eccezione italiana ed in generale dei paesi latini, ma sta interessando la stabile Germania. Questa è una delle novità recenti del panorama politico europeo. Un paese che da sempre si è fatto baluardo nella guida d’Europea proprio per il suo serrare le fila interne è ormai in preda a litigi quotidiani. Tuttavia un altro pericolo, in Italia del tutto superato al di là dei campanilismi di circostanza, è la permanente divisione del popolo tedesco, il quale lungi dall’essere un monolite si presenta diviso al suo interno tra divisioni religiose, culturali e diremmo quasi etniche. Nella Germania post ´89 si sono coniati due termini tuttora in viga per distinguere i tedeschi orientali da quelli occidentali, ossia tra Ossis e Wessis. I due termini in teoria canzonatori sono diventati un vero logo per tracciare nuovi confini, questa volta d’identità; anche alle ultime elezioni questa divisione e diffidenza reciproca si sono sostanziate nella maggior affermazione dell’Afd in quelle regioni orientali, facenti parte della vecchia DDR e che sono ancora caratterizzate tra tassi di povertà e di disoccupazione più alti rispetto al resto del paese. La delusione e in alcuni casi l’odio orientale verso i “fratelli” occidentali benestanti ma anche arroganti (sempre secondo l’ottica orientale) ha dato vita all’Ostalgie. Tuttavia un’altra linea di frattura ancora presente è tra il Nord luterano, in verità da tempo senza dio e progressista, ed il Sud fieramente cattolico e conservatore. Se qualche nostro lettore avesse letto con attenzione lo Spiegel (sede ad Amburgo) online ogni giorno, non avrebbe potuto fare a meno di notare i quotidiani attacchi contro la Chiesa Cattolica, la Baviera anch’essa cattolica e la CSU di Seehofer. Per carità: critiche ed attacchi legittimi ma che nel nostro discorso sulle divisioni interne tra tedeschi si inseriscono a pennello. Chissà se il poeta e filosofo romantico (nonchè tedesco DOC) Friedrich Hälderlin ci avesse visto giusto quando all’interno della sua novella poetica Hyperion del 1797, ebbe a scrivere che:

Es ist ein hartes Wort

und dennoch sag ichs,

weil es Wahrheit ist:

ich kann kein Volk mir denken,

das zerrißner wäre,

wie die Deutschen.”

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