L’inconfessabile amore di Di Maio per l’Hartz IV

Di Maio a rapporto dal Ministro (tedesco) dell’economia Peter Steinmeier – Foto tratta dal “Ministero dello sviluppo economico” (italiano) CC BY-SA 4.0 cropped

Lo scorso 9 ottobre il Ministro del Lavoro Luigi Di Maio si era recato a Berlino per un incontro politico di alto livello col suo omologo tedesco Hubertus Heil e con il Ministro dell’Economia Peter Altmaier  (CDU).

Tema del summit era stato il tentativo del leader pentastellato, dai media tedeschi bollato semplicemente come populista di sinistra, di convincere gli esponenti politici tedeschi della giustezza del reddito di cittadinanza. Tra dichiarazioni entusiaste al limite del lirismo del Nostro, come quella secondo la quale il Ministro Heil avrebbe perfino cancellato incontri già fissati da mesi nella sua agenda personale per incontrarsi con lui, sembrava che la Germania dell’austerity (imposta agli altri) fosse giunta ad approvare la controversa misura italiana su una sussistenza minima per milioni di cittadini indigenti. Tra le prove addotte dallo stesso Di Maio circa una presunta approvazione tedesca, quasi a voler ufficializzare un nostro ruolo di subordinazione in attesa del fatidico via libera, troviamo le esternazioni pubbliche del Ministro del Lavoro tedesco. Quest’ultimo avrebbe scoperto dall’incontro istituzionale come il reddito di cittadinanza non sia in verità una riforma assistenzialista, bensì uno strumento atto a sostenere politiche attive per il lavoro.

Il governo italiano in missione a Berlino avrebbe infine rivelato di ispirarsi al modello tedesco in vigore da 15 anni per l’adozione del loro controverso progetto. Ma a grandi linee come funziona il sistema sociale in Germania? E soprattutto è un modello da importare ed elogiare a priori? Bisognerebbe introdurre l’argomento citando come il precedente sistema tedesco di sussidi sociali sia stato riformato tra il 2002 e il 2004 dal secondo governo del Cancelliere socialdemocratico Gerard Schröder, all’epoca composto dai socialisti della SPD e dai verdi. Prima della riforma esisteva in Germania un sussidio unico per i disoccupati, finanziato con le tasse dei cittadini, che consisteva nell’erogazione da parte dello Stato per un periodo massimo di 36 mesi (che tuttavia poteva prolungarsi nel caso in cui a perdere il lavoro fosse stata una persona anziana) di una somma corrispondente al 60% dell’ultimo salario netto percepito dal lavoratore, prima di andare in disoccupazione. Per chi aveva dei figli a carico, la percentuale arrivava al 67%.

Con la riforma dei sussidi pubblici per i senza lavoro, il governo Schröder decise al tempo stesso di limitare il sussidio di disoccupazione da 36 fino ad un massimo di soli 12 mesi per chi avesse lavorato per almeno un anno prima di perdere il posto, ed al tempo stesso di creare ex novo un secondo sostegno economico, in verità sarebbe corretto denominarlo reddito minimo garantito, per chi avesse lavorato meno di un anno e non avesse avuto le risorse economiche necessarie per poter condurre un’esistenza considerata dignitosa. Per essere precisi, la misura in questione viene tuttora elargita anche a chi, scaduto il periodo massimo di 12 mesi nel quale è lecito ricevere il sussidio di disoccupazione, non abbia nel frattempo trovato un’occupazione. Quelle furono le fantomatiche riforme Hartz, dal nome del consigliere politico di Schröder, che prima dell’incarico era consigliere d’amministrazione della Volkswagen. In tutto furono 4 diverse leggi che modificarono in profondità non solo il sistema dei sussidi, bensì l’intero mondo del lavoro tedesco, e che sono tuttora in vigore.

Sulla figura del controverso Peter Hartz sarebbe il caso di scrivere un articolo a parte, soffermandosi in special modo sulla sua condanna a due anni con condizionale unita ad una multa di circa mezzo milione di Euro per un suo giro di tangenti a manager e perfino di procacciamento di prostitute per oliare (diciamo così) i delicati affari aziendali, ma purtroppo il tempo è tiranno. Per curiosità del lettore basti sapere che il riformatore Hartz venne accusato di 44 capi d’imputazione, tra cui anche quello di aver messo a conto dell’azienda il pagamento di numerosi barattoli di Viagra da fornire ai manager per le loro prestazioni sessuali. Come accennato sopra, le riforme “di sinistra” vennero intitolate in suo onore, prima però che scoppiassero le grane giudiziarie. In particolare il reddito minimo garantito, che tra un po’ esamineremo, è ancora oggi conosciuto al grande pubblico in Germania come Hartz IV. Esso consiste nell’erogazione, sempre da parte di un apposito ufficio pubblico, di 424,00 Euro mensili al richiedente, con l’aggiunta della copertura di alcune spese domestiche come l’acqua, il gas, perfino l’affitto senza però la bolletta elettrica, i cui costi continuano ad essere sostenuti dal destinatario.

Oltre a questo lo Stato tedesco per tutta la durata della sovvenzione paga l’assicurazione sanitaria, che in Germania è privata, ed anche il canone della tv, che oltre il Brennero è molto più costoso che in Italia. In cambio il ricevente si impegna a valutare le offerte di lavoro che il suo consulente (in tedesco Berater) gli offre con l’obbligo ulteriore di frequentare dei corsi di formazione qualora l’ufficio preposto lo ritenga necessario. Si può perciò subito notare come una delle differenze di fondo rispetto all’iniziativa italiana è che il sistema sociale tedesco non abbia fatto altro che riformare il precedente sussidio di disoccupazione, mentre l’idea dei grillini viene tenuta ben distinta dall’odierno sistema di aiuto statale per i disoccupati, che non verrebbe dunque toccato. La proposta poi di obbligare per legge i destinatari a lavorare 8 ore alla settimana in campi sociali e non solo, semplicemente non esiste in Germania. Come descritto sopra, il ricevente valuta le offerte di lavoro assieme al suo Berater, deve se necessario frequentare corsi di formazione, ma non sussiste in nessun caso l’obbligo di lavorare per il comune di residenza, per dirne una, a titolo praticamente gratuito.

Anche il mito, spesso presente nell’immaginario italiano, secondo il quale in Germania chiunque prenda il reddito minimo garantito possa rifiutare al massimo tre offerte di lavoro, pena riduzione o perdita del sussidio, regge fino ad un certo punto. Tant’è vero che ancora adesso vi sono nel paese considerato il più ricco d’Europa qualcosa come 800mila disoccupati cronici, ossia da almeno 5 anni. Ad ogni modo il lato nascosto, ergo con tutta probabilità sconosciuto ai grillini, dell’Hartz IV cui vorrebbero ispirarsi è che in Germania da diverso tempo c’è un dibattito molto forte sulla valutabilità o meno della sua totale abolizione. Perfino settori della Chiesa Cattolica tra cui la Caritas e dello stesso partito socialdemocratico, che l’ideò, ne vorrebbero la cancellazione definitiva. I motivi principali? Povertà crescente, disagio sociale, uffici statali che spesso violano la privacy dei cittadini, dipendenze da alcool e droghe e soprattutto l’esistenza di una vasta area di milioni di lavoratori a salari bassi. Quest’ultimo punto si è verificato dal momento che dopo anni di assistenza pubblica essi non sono ancora riusciti a trovare un’occupazione migliore, anche a causa della nomea negativa dell’Hartz IV da parte delle aziende.

L’ignaro Di Maio ed il governo italiano tutto rischiano dunque di arrivare in ritardo con la storia, visto che il loro paese di riferimento per le riforme da anni sta pensando seriamente di abbandonare il controverso esperimento sociale.

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