L’atomica tedesca

Die BombeNelle ultime puntate abbiamo dato conto di come la Germania del quarto mandato Merkel si stia rimilitarizzando per fronteggiare le gravi minacce che potrebbero insediare il suo primato economico. Due settimane fa abbiamo riportato come esponenti politici del governo in carica stiano discutendo seriamente la possibilità di reintrodurre la leva militare obbligatoria per 700mila diciottenni l’anno. Senza dimenticare la presenza fissa di stand della Bundeswehr durante le fiere del lavoro (Jobmesse) o perfino durante le porte aperte che università tedesche ma anche straniere organizzano di solito nella Russisches Haus (ironia del destino?) a Friedrichstrasse. Non abbiamo poi mai mancato di descrivere l’immancabile offensiva mediatica a colpi di manifesti presenti in ogni angolo e stazione ferroviaria, che almeno due volte all’anno interessano tutte le città tedesche e che invitano i giovani disoccupati o annoiati della vita borghese ad arruolarsi. Già in passato avevamo raccontato di polemiche sorte anche nelle università per il volantinaggio e presenze sempre più invasive delle istituzioni militari tedesche, senza dimenticare inoltre quello strano brochure di qualche pagina indirizzato alla popolazione civile nel 2016, nel quale si prescrivevano le misure da adottare in caso di calamità o non meglio specificate invasioni.

Con fonti di quotidiani cosiddetti mainstream come lo Spiegel alla mano, abbiamo inoltre detto di esercitazioni NATO che si sono tenute questa primavera nell’Europa orientale e che hanno interessato 30mila soldati, che dovranno in futuro intervenire prontamente in caso di aggressioni provenienti dalla Russia. Lo stesso quotidiano aveva informato i suoi lettori di come la Germania avesse avuto un ruolo di guida (Führungsrolle) nell’intera operazione di esercitazioni militari, mentre il centro di comando NATO col compito di coordinare il movimento delle truppe era stato trasferito nella caserma Wilhelmsburg ad Ulm, nel Baden Württemberg (Sud Germania). Prima o poi parleremo anche dell’interessante idea governativa di aprire l’esercito anche a stranieri (per ora l’ipotesi si è fermata ai soli cittadini UE); chissà che in un futuro non molto lontano si assista alla creazione di fantomatiche truppe cammellate composte da reduci della campagna siriana o magari ad una legione straniera in salsa berlinese. Promettiamo di dedicare nel prossimo numero un capitolo a parte sulla presenza e sulle attività specifiche che rappresentanti dei militari compiono negli asili, nelle scuole e nei licei per reclutare manodopera abile a combattere e per presentarsi in maniera friendly ai bambini. Per ora i giovani millennials sembrano aver già accettato il nuovo corso visto e considerato che serie Youtube come Mali e Rekruten, nelle quali si descrivono rispettivamente le missioni tedesche di “pace” in Africa ed i dolori dei giovani nuovi soldati, hanno raccolto milioni di visualizzazioni.

Quel che è certo è che la Germania non sembra disposta, come d’altronde sua tradizione, ad arrendersi e a voler quindi combattere per mantenere il suo primato economico e geopolitico. Il neo militarismo tedesco, ormai non più strisciante, dovrebbe essere ormai evidente a chi ha occhi per vedere. Tuttavia sabato 29 luglio si è aggiunto un ulteriore tassello a questa tendenza. Infatti in quel giorno era uscito l’immancabile inserto settimanale del prestigioso quotidiano Die Welt che aveva aperto con il seguente emblematico titolo: Brauchen wir die Bombe? / Abbiamo bisogno della bomba?” Come sfondo era, anzi è tuttora presente per chi volesse consultarlo, l’immagine di un ordino nucleare con una piccola bandiera tedesca appiccicata sopra. A rispondere in maniera positiva al quesito è un certo politologo tedesco di nome Christian Hacke. L’accademico, ora in pensione, era stato per anni collaboratore della fondazione Adenauer, politicamente vicina alla CDU, mentre per anni era stato professore ordinario di scienze politiche e sociologia all’università di Bonn. Tra i suoi vari titoli si può annoverare la presenza come visiting scholar in diverse università americane. Facendo una ricerca su Internet, si incapperà in un’intervista da lui rilasciata alla radio nazionale tedesca (Deutschlandfunk) in data 08.11.2016, ergo qualche ora prima del risultato delle elezioni americane, nella quale definiva il candidato all’epoca Trump con un francesismo tipicamente accademico come un “Kotzbrochen, che in italiano si potrebbe tradurre come uno schifoso. Tuttavia il professore aveva specificato che, sì Trump in effetti faceva schifo ed era per molti versi impresentabile, ma che per quanto riguardava le sue idee in politica estera era votabile. Nello specifico Hacke ebbe a dichiarare che: Dal punto di vista della politica estera, è sinonimo di protezionismo, nazionalismo e questi elementi non sono tutti perfettamente puliti (sauber nel testo nda). Ma ho molta paura di un ulteriore confronto con i russi, e quindi se fossi americano voterei per Trump.”

Negli ultimi due anni dev’essere passata molta acqua sotto i ponti, dal momento che il medesimo accademico che non disdegnava del tutto Trump ora invece, cambiando totalmente registro, si dichiara favorevole all’atomica tedesca come extrema ratio per fermare l’offensiva di Trump stesso contro la Germania. L’articolo cartaceo in questione è consultabile in qualsiasi biblioteca tedesca oppure visibile online dal sito di geopolitica Cicero, mentre dal sito Welt.de è possibile leggerlo solo se abbonati. I primi paragrafi sono un elenco delle politiche adottate da Trump dal momento della sua elezione a Presidente: secondo l’accademico, da una parte egli non ha disdegnato l’approccio diplomatico a dittatori come il nordcoreano Kim e l’immancabile Putin, mentre dall’altra non ha mai smesso di considerare l’Unione Europea e la Germania come pericolosi concorrenti economici. Il leit motiv della parte iniziale dell’articolo è che il solo Trump di testa sua stia adottando politiche estere che hanno il compito di dividere ed in definitiva di distruggere l’Occidente; lo smantellamento della NATO e la guerra commerciale a colpi di dazi contro l’import di acciaio ed auto straniere rientrerebbero in questo disegno. Il dettaglio interessante è che Hacke non nomina mai gli USA, facendo quasi credere al lettore medio tedesco che il problema non sono gli Stati Uniti di per sè, che anzi hanno avuto il merito storico di proteggere il subordinato tedesco negli ultimi 70 anni, bensì le azioni e le idee di un solo uomo al comando, Trump appunto. Nella seconda parte, che interessa la Germania, il cambio di passo pare perfino tragico. Emerge chiaramente l’immagine di una Germania (nuovamente) assediata ed isolata. Riportando testualmente le sue parole si scopre come questa rottura culturale all’interno della società americana è particolarmente dura per i suoi alleati, specialmente la Germania. Se la Repubblica Federale è stato l’alleato europeo preferito dagli USA da oltre settant’anni, oggi ha uno status speciale: viene considerata il nemico numero uno di Trump. Questo cambio nella politica americana nei confronti della Germania non ha precedenti nella storia moderna. Questa è un’altra ragione per cui la Germania è rimasta scioccata. In molti posti di comando semplicemente non si vuole accettare questo degrado e declassamento.”

Da questa rottura, considerata irreversibile, dei rapporti tedesco-americani ne deriverebbe per l’autore la totale esposizione della Germania nei confronti di una minaccia nucleare. Se infatti, questo il ragionamento, l’America di Trump ha deciso di voltarle le spalle, ciò comporterebbe una sua totale mancanza di copertura militare e soprattutto nucleare. Da qui l’esigenza di dotarsi dell’atomica, sia per difendere il proprio status di potenza geopolitica sia per rimediare al disimpegno americano. L’articolo è alquanto lungo ed il tempo come sempre si dimostra tiranno ma vi sono dei pezzi nei quali l’autore scrive in maniera esplicita di come il nuovo ruolo della Germania come nemico numero uno di Trump (attenzione, non degli Stati Uniti come attore geopolitico ma del solo Presidente!) richiederebbe un cambiamento radicale della propria politica estera di difesa. Una sua frase molto significativa afferma come in casi estremi (non chiarisce quali ma il lettore avrà probabilmente compreso di cosa stiamo ormai parlando) la Germania possa affidarsi solo a sè stessa. Un altro punto a favore del programma nucleare sarebbe la sua funzione di deterrenza nei confronti di potenze straniere ostili in caso di gravi crisi diplomatiche; Hacke cita a tal proposito l’annessione della Crimea da parte della Russia che, a suo modo di vedere, non si sarebbe mai potuta verificare qualora la Germania avesse detenuto degli ordigni nucleari ed avesse minacciato Putin di usarli (sic) in caso di escalation della crisi. Al di là del conseguente dibattito e di ulteriori questioni aperte, come per esempio quella della Francia e dell’Inghilterra che ben difficilmente accetterebbero di condividere il loro ruolo di potenze nucleari con la prima economia d’Europa, l’articolo in questione è alquanto emblematico poichè si inserisce all’interno di quella teoria, che vede ancora una volta la Germania assediata da nemici esterni. Diverso tempo fa avevamo scritto di come la Germania, questa volta non attraverso i carri armati bensì con una politica commerciale aggressiva, si sia trovata contro le due maggiori potenze anglosassoni. Quest’ultime hanno ancora il vantaggio di possedere centinaia, se non migliaia, di testate nucleari. Il secondo nemico “storico“ si situa ad est ed è rappresentato dalla seconda potenza nucleare al mondo che, in caso di altrettanta dotazione da parte della Germania, potrebbe essere portata a più miti consigli come nell’esempio citato sopra.

Qualora la politica tedesca applicasse alla lettera le indicazioni dell’accademico riportate in prima pagina su un inserto di uno dei maggiori quotidiani nazionali, lo svantaggio militare si potrebbe ridurre in pochi anni. Resta da capire come e dove la Germania riuscirebbe a reperire l’uranio necessario alla creazione delle testate, visto che dopo il disastro nucleare di Fukushima nel marzo 2011 la Cancelliera Merkel, su pressione popolare legata all’ondata emotiva del disastro, aveva decretato la chiusura di tutte le centrali all’epoca operanti in Germania. Inoltre, come accennato sopra, risulterebbe impensabile che la Francia ed il Regno Unito, che tra l’altro ha voluto uscire dall’UE anche per il predominio sempre più ingombrante della Germania, possano accettare di perdere la loro supremazia militare in Europa derivante dal loro status di potenze nucleari. Forse l’autore è cosciente di questa riserva all’apparenza insormontabile e pertanto propone una sorta di garanzia nucleare europea, che da un lato imporrebbe alla Germania di cofinanziare programmi di rinnovamento degli armamenti nucleari francesi e/o britannici e dall’altra permetterebbe a quest’ultimi di dislocare testate nucleari sul suolo tedesco. Soldi in cambio di protezione, potrebbe benissimo essere la formula mediatica da adottare per giustificare il progetto. E in effetti in fatto di surplus commerciale e centinaia di miliardi di Euro in avanzo e non ancora impiegati, la Germania non può piangere miseria come ben sappiamo.

Tuttavia anche l’accademico in pensione Hacke deve prendere atto che i tempi non sono ancora maturi. Riportiamo sempre le sue parole che se non altro hanno il merito dell’eloquenza: “Sfortunatamente per ragioni di correttezza politica, a causa della mancanza di coraggio civile e di inadeguate considerazioni strategiche militari, questo problema è stata completamente rimosso in Germania fino ad ora. In relazione a questa domanda ci si comporta come le tre scimmie: non dico, non sento, non vedo. Ma la Germania deve affrontare la questione e discuterla pubblicamente senza riserve e paraocchi. L’umore pacifista di base gioca un ruolo decisivo. Ma non sarebbe intelligente se le controverse questioni di sicurezza fossero fin dall’inizio diffamate come militariste.” Il dado è stato tratto e vedremo se il peggioramento delle relazioni internazionali nei prossimi anni “costringerà” la Germania al grande passo. Certo, si potrebbe tentare la strada alternativa consistente nell’abbassare il proprio export esagerato, importando più beni stranieri ed al tempo stesso stimolare la domanda interna anche attraverso un aumento dei salari reali tedeschi, o magari destinare il 2% del proprio PIL alle spese militari gravitanti intorno al budget della NATO, come da tempo richiesto da Trump. Facendo ciò, si potrebbero forse stemperare le tensioni crescenti tra i paesi occidentali e al tempo stesso calmare un Trump che vorrebbe affrontare con calma il vero nemico geopolitico degli USA, ossia la Cina. Ma conoscendo la testardaggine tedesca degli ultimi anni nel voler proseguire verso un export insostenibile per gli altri paesi, violando anche i Trattati Europei, ebbene un cambiamento di rotta significherebbe una rivoluzione quella sì pari allo scoppio di una bomba atomica.

Una risposta a “L’atomica tedesca”

  1. Se ha tempo deve. sottolineo deve assolutamente leggere queste quaranta pagine
    di un nostro connazionale di cui ecco la sua biografia: http://www.lintellettualedissidente.it/homines/giuseppe-prezzolini/
    un uomo tutto d’un pezzo e con il coraggio di sostenere le sue idee anche se
    non fanno piacere a nessun schieramento, la verita’ non ha colore.
    Il libro e’ gratuito e scaricabile da qui:
    https://archive.org/details/dopocaporetto00prez
    Quello che leggera’ e’ attuale oggi come 100 anni fa, ogni parola e pensiero
    e’ vivo in questo momento. Nulla e’ cambiato.
    Gruess Gott.

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