La grande abbuffata 1/2

Eretz Israel

“Per capire chi vi comanda, basta scoprire chi non vi è permesso criticare.”Voltaire

Innanzitutto sveliamo l’arcano comunicando a tutti i lettori, che nel frattempo si saranno di sicuro scervellati nel trovare la soluzione, che il misterioso paese citato nell’articolo precedente altro non è che Israele. Mentre scrivo, sono ancora in corso i festeggiamenti per il suo settantesimo anniversario da me già descritto nei giorni precedenti. Nel frattempo noi europei, per non farci mancare nulla e per ricalcare sempre di più la nostra fedeltà ai grandi manovratori delle menti, abbiamo premiato una cantante di una certa stazza, rigorosamente femminista che ha cantato di diritti e libertà vincendo l’Euro Festival. Inutile che vi dica da dove provenga questa giovane cantante. Trattasi di un altro regalino mediatico non da poco, se si considera che l’anno scorso una cantante russa in sedia a rotelle era stata esclusa dal medesimo festival della musica europea, tenutosi nella capitale europea dei golpisti ossia Kiev, poichè persona non grata e nemica del regime europeista da noi installato. Sarà inoltre interessante seguire il dibattito che si imposterà il prossimo anno su dove far svolgere la finale, se tra Gerusalemme o Tel Aviv. Infatti le regole del festival vogliono che l’edizione si tenga nel paese di provenienza del vincitore o, in questo caso, della vincitrice di quella passata. Già prevedo manifestazioni, strumentalizzazioni e violenze varie ma cerchiamo di non divagare, come al solito.

Com’era prevedibile, la decisione degli Stati Uniti d’America di trasferire la loro ambasciata a Gerusalemme ha scatenato proteste violente tra i palestinesi e nel mondo arabo. Non per vantarmi di cose ovvie e facilmente prevedibili ma nell’articolo precedente avevo segnalato l’arrivo inevitabile di proteste di massa dei palestinesi e della conseguenza reazione sionista che, sempre mentre scrivo, pare aver lasciato una decina di morti, tra cui una neonata soffocata, e migliaia di feriti a Gaza. Che barba e che noia, avrebbe detto la Mondaini. La repressione da parte israeliana segue puntuale così come l’irrilevanza europea. Con la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato ebraico di Israele, anche grazie a decenni di costruzioni abusive che ne hanno circondato la parte orientale popolata a maggioranza da arabi, si apre o, se vogliamo, continua il capitolo che prevede la cacciata definitiva dei palestinesi dalle terre da loro abitate da secoli. Si realizzerà  finalmente il sogno biblico dell’Eretz Israel, della Terra Promessa biblica che dalle coste del Mediterraneo lambirà le rive del Giordano. In termini politici si concluderà il ciclo di un movimento politico nato in Europa ed ora finanziato principalmente dalle comunità ebraiche in USA e Gran Bretagna, che dalle prime riunioni a Basilea a fine Ottocento si appresta a realizzare il sogno di un proprio stato. Nella migliore delle ipotesi si avvererà la profezia del Generale israeliano Moshe Dayan, tuttora eroe nazionale anche dopo la sua morte, che durante una riunione affermò che i palestinesi che avessero deciso di rimanere nelle loro terre, avrebbero vissuto come cani”. Fin dalle prime colonie socialiste, i kibbutzim, era già chiaro come, secondo gli scritti del fondatore ungherese cresciuto a Vienna, gli arabi se ne sarebbero andati volenti o nolenti nei paesi vicini a mendicare un lavoro o, al massimo, a lavorare per stipendi da fame per conto degli imprenditori ebrei appena arrivati.

In fondo, come detto e ripetuto fino alla nausea nel precedente articolo, Israele altro non è che una creazione occidentale messa in piedi per controllare le immense fonti di petrolio che ora tanto illimitate non sono, ma che insomma già ad inizio Novecento venivano considerate fondamentali per lo sviluppo industriale e per la crescita dei consumi nei nostri paesi. Ricordiamo di nuovo come un tale Adolf A. Berle, considerato il più influente consigliere politico del Presidente americano Franklin Delano Roosevelt, avesse sentenziato anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale che “chi controlla le enormi risorse energetiche del Medio Oriente, controlla il mondo”. L’american and occidental way of life, ieri come oggi, doveva basarsi per la propria sopravvivenza sul controllo dei governi regionali in Medio Oriente, i quali dovevano garantire petrolio a prezzi contenuti e stabilità  politica interna per gli investimenti esteri. Il secondo obiettivo di una postazione militare occidentale nel bel mezzo del mondo arabo era ed è quello di impedire l’ascesa di potenze regionali abbastanza potenti da impostare una propria politica energetica autonoma e da cacciare armi in pugno gli occupanti stranieri. Lo schema, secondo il quale le potenze occidentali hanno permesso che Israele facesse il “lavoro sporco” per i loro interessi, si è ripetuto nel tempo fino ai giorni nostri. Nel 1956 il Presidente nazionalista e panarabo Nasser decise di nazionalizzare il Canale di Suez, sia per dotare il proprio paese di un’indipendenza economica sia per cacciare definitivamente le potenze coloniali dal mondo arabo. Francia e Gran Bretagna reagirono rabbiosamente bombardando (sto forse avendo un deja vu?) le truppe egiziane ed occupando il Canale ma non furono sole nel loro colpo di coda coloniale, dal momento che anche il giovane stato di Israele si unì agli aggressori. L’allora Presidente americano Eisenhower ordinò a Francia e Gran Bretagna di ritirarsi subito, umiliandole di fatto ed evitando così all’Unione Sovietica di intervenire. Questa però è un’altra storia. Nasser era quello che ai giorni nostri verrebbe definito dai media e dall’intero arco costituzionale dei paesi occidentali sia come un populista, per la sua volontà espressa di non sottostare ai desiderata degli organi sovranazionali, sia come un razzista per il suo odio contro gli ebrei. Già all’epoca sarebbe stato ben chiaro, per lo meno così avrebbe dovuto essere, che gli interessi dei sionisti sarebbero coincisi per molto tempo con quelli delle potenze occidentali. Da una parte i primi avrebbero condotto guerre sul campo contro i vicini regionali, sempre pronti ad avventarsi sull’unica democrazia mediorientale sotto assedio, mentre i secondi non avrebbero dovuto giustificare la distruzione sul nascere di pericolose potenze regionali di fronte alle proprie opinioni pubbliche interne, ancora fresche delle macerie dell’ultima guerra. A ben vedere lo schema sarebbe durato fino ai giorni nostri. Nel 1967 venne collaudato un primo modello di guerra preventiva, poi proseguita con successo dai neocon americani a seguito del Nine Eleven, in quanto Israele con la scusa di un pericolo di un attacco imminente aggredì a sorpresa l’Egitto, la Siria e la Giordania distruggendo praticamente l’intera aviazione del primo paese ed umiliando tre esempi di laicismo arabo e socialista che, secondo la visione occidentale, dovevano essere strozzati nella culla. Nasser, l’eroe delle enormi massi arabe che seguivano immancabili i suoi cortei, uscì ridimensionato mentre i sionisti potevano occupare l’intera Palestina, le alture del Golan e la penisola del Sinai. Fu la cosiddetta Guerra dei 6 Giorni che in verità altro non fu che una delle tante guerre d’aggressione di Israele. Pochi lo sanno nel libero Occidente ma è da partire da quel momento che i territori palestinesi vennero occupati fino ad ora; in pochi giorni altre centinaia di migliaia di arabi fuggirono dalle loro case, dopo che i loro padri fecero altrettanto nel ’48, mentre iniziò un furto continuo delle risorse idriche ed una colonizzazione ebraica che sarebbe durata senza soluzione di continuità. Per chi non lo sapesse il tema dell’Olocausto fino a quel momento non aveva trovato spazio alcuno nei media occidentali; in America non ne parlava nessuno mentre in Germania erano ancora vivi ed in buona salute molti generali tedeschi dell’Operazione Barbarossa che sedevano nei gabinetti di sicurezza della Nato. Tuttavia a partire dai boicottaggi dei paesi produttori del petrolio e dalla necessità per l’Occidente di mediare con il mondo arabo per poter usufruire del prezioso oro nero che si capì la necessità di tenersi sempre più stretto l’unico e fedele avamposto occidentale in Medio Oriente. A dirlo fu un certo Finkelstein, ebreo americano i cui genitori scamparono alle camere a gas, che ebbe il coraggio di rovinarsi la carriera universitaria e la vita nel suo fondamentale L’industria dell’Olocausto”.

A partire dagli anni ’70 si cominciò quindi a strumentalizzare la vicenda tutta europea dell’Olocausto, sia per coprire i propri sensi di colpa nel vedere l’ex SS Fritz fare la spesa ogni mattina all’Aldi Sud sia per giustificare moralmente i crimini sionisti dell’unico stato ebraico. Andiamo veloci e vediamo che tutte le potenze regionali sono state spazzate via da Israele con l’appoggio americano in primis; nel 1982 dopo decenni di scaramucce il Libano, una volta considerato la Svizzera del Medio Oriente, viene invaso e messo a ferro e fuoco. Come scrisse più volte l’ebreo progressista Noam Chomsky durante la guerra dell’82 qualcosa come 20mila civili libanesi vennero uccisi dalle bombe israeliane made in USA, mentre Beirut venne distrutta. Come non dimenticare poi il massacro palestinese di Sabra e Chatila perpetrato dai falangisti cristiani libanesi ma protetti dai militari israeliani, che usarono perfino dei fari di segnalazione notturni per agevolare il compito degli assassini nel rintracciare i profughi palestinesi in fuga o che avevano tentato di nascondersi. L’allora generale Sharon, eletto più volte dal 2000 e altro eroe nazionale come Dayan, sarebbe stato in seguito condannato da una corte belga per la sua connivenza alla strage. Premiamo di nuovo il tasto forward e vediamo in rapida successione la Tunisia socialista bombardata da caccia con la Stella di Davide per aver ospitato Arafat ed altri “terroristi” arabi, facendo un’altra strage di civili rimasta come sempre impunita. Pensiamo solo per un attimo ai giorni moderni dove i caccia russi ucciderebbero civili di continuo, ottenendo lo scandalo dei giornalisti e dei media occidentali. Nel caso di Israele invece non si notano post di Saviano e di altri giornalisti cosmopoliti ricchi di immagini di bambini straziati. Poi c’è la Siria di Assad Senior, il papà del nostro attuale, che viene di continuo bombardata come rappresaglia per la sua solidarietà ai palestinesi e che ancora ora vede una parte del suo territorio, le alture del Golan ricchissime d’acqua, occupata. Intanto nel turbolento Egitto si verifica un importante cambio di guardia tra i generali che, ieri come oggi, governano anzi amministrano il paese: il socialista e panarabo, oltre che filosovietico, Nasser muore lasciando le redini del potere a Sadat.

Quest’ultimo attacca a sorpresa Israele nel 1973 durante la festa religiosa dello Yom Kippur con il chiaro intento di riprendersi il Sinai, nel frattempo ampiamente colonizzato dagli estremisti religiosi ebraici un po’ come accade oggi nella Cisgiordania. Essendo giorni di festa, la maggior parte dei soldati ebraici non si trova nelle caserme ed anche quelli in servizio sono rilassati; mai si aspetterebbero un attacco che difatti li trova del tutto impreparati. Gli egiziani riescono a sfondare (mai era successo a dei combattenti arabi!) ma poi la superiorità militare israeliana ha la meglio e vengono ricacciati indietro e circondati nei pressi di Suez sempre da Sharon, che anche grazie a quella brillante vittoria avrebbe avuto il comando pressochè assoluto 9 anni dopo in Libano. A quel punto accade qualcosa di fondamentale: gli americani rappresentati allora dal democratico Carter capiscono che possono prendere due piccioni con una fava, facendo scaturire da una parte una pace improbabile e spolverando il loro soft power appannato dal Vietnam e dall’altra facendo passare dalla loro parte un paese socialista e laico come l’Egitto che fino a quel momento si era dotato di armamenti sovietici. Avvengono i cosiddetti accordi di Camp David del 1978, che garantiscono il riconoscimento di Israele da parte dell’Egitto in cambio del ritiro dal Sinai. Accade l’insperato: decine di migliaia di consiglieri militari sovietici vengono cacciati dall’Egitto, che passa seduta stante sotto l’ombrello militare degli americani che fino ai giorni di Regeni ha garantito a qualsiasi governo egiziano la massima impunità in cambio della stabilità interna, un terrorista come Begin vince il Premio Nobel per la Pace assieme a Carter e Sadat, mentre quest’ultimo viene ucciso dalla Fratellanza Musulmana. I palestinesi vengono ancora di più abbandonati al loro destino, visto che nessuna parte in causa ha pensato di coinvolgerli e promettere loro una qualche forma di autonomia. Gli accordi farsa di Oslo del 1991 sono solo un’appendice che non ritengo degna di prendere in considerazione. Consiglio solo di comprare le graphic novel di Joe Sacco intitolate Palestina e Gaza per comprendere le condizioni in cui vivevano i palestinesi diversi anni fa con flashbacks a massacri di civili risalenti al 1956 e durante la prima Intifada del 1987; se l’autore non avesse citato l’anno in cui si svolgevano le vicende, penso che nessuno avrebbe notato le differenze con oggi.

Un paradigma figlio degli Accordi di Camp David del 1978, che dovrebbe far piazza pulita delle utopie dei pacifisti e delle buon anime sulle speranze di una convivenza sotto il controllo internazionale, è che se gli americani volessero potrebbero far fiorire la pace in Medio Oriente anche domani mattina. Basterebbe la minaccia di tagliare le vendite d’armi a Israele, una telefonata ed un bonifico mancato per mettere con le spalle al muro il suo vassallo. Non lo fanno per chiari interessi geopolitici. Carter decise di fare il grande passo per ottenere l’alleanza con l’Egitto e per motivi di politica interna, che il tempo non ci permette di approfondire.

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