La donna, il sogno e il grande incubo

Qualche giorno fa mentre stavo comperando vettovaglie d’emergenza presso uno dei tanti supermercati turchi presenti a Berlino, mi sono imbattuto per mia mera curiosità in un magazine scritto esclusivamente in lingua turca e dedicato perciò alla comunità locale. Esso giaceva, assieme ad una pila di numeri identici, presso un ripiano situato subito dopo la cassa del supermercato. Aprendolo mi sarei immaginato di trovare subito articoli elogiativi del Presidente Erdogan e difatti la mia attesa non è stata vana; le pagine in cui si potevano vedere foto e spezzoni di discorsi, scritti ovviamente in turco e purtroppo per me incomprensibili, del Presidente non mancavano di certo e sembravano non fare altro che confermare il trito cliché della comunità turca schierata a maggioranza con il suo Presidente. Tuttavia non sono stati questi ingenui articoli politici ad attirare la mia attenzione. All’interno della rivista, spessa di circa 150 pagine il che non è poco, facevano subito capolino diverse immagini di ragazzine, anzi direi bambine di qualche anno, immortalate in foto di gruppo con le loro insegnanti. Cosa ci sarà mai di strano, vi chiederete voi. Ebbene tutte le bambine presenti nelle foto erano corredate di velo integrato, nella migliore tradizione islamica. Stiamo parlando di bambine che frequentano perciò scuole, se così vogliamo definirle, private islamiche nelle quali imam fatti chiamare per l’occorrenza dall’estero ma anche insegnanti nati in Germania insegnano in turco ed arabo i precetti del Corano. Ce ne sarebbe per aprire un interessante dibattito a poco più di due settimane dalle elezioni ma evidentemente il tema del fondamentalismo islamico va di moda solo a ridosso di attentati.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e la frantumazione della Jugoslavia, tutti quei territori soggetti all’egemonia comunista e popolati da minoranze islamiche hanno conosciuto fino ai giorni odierni una fioritura di scuole, fondazioni, centri di cultura e altri luoghi di aggregazione di stampo islamico riservati in special modo per la gioventù locale. Questi centri culturali e scolastici di impronta islamica, che secondo diversi inquirenti dei paesi locali altro non sono che luoghi di indottrinamento e reclutamento di combattenti, sono stati finanziati dall’Arabia Saudita e dalle altre opulente monarchie del Golfo. Nei Balcani il fenomeno è visibile in paesi ancora sotto protettorato ONU come la Bosnia o in failed states, già narco-stati, come il Kosovo. Nel primo paese il fenomeno è visibile facendo una breve passeggiata nella capitale Sarajevo e nelle città di Mostar e Travnik, per citarne le due più importanti. Sulla facciata degli edifici, dove la gioventù locale recepisce i precetti della religione dell’amore, viene scritto senza timore di ritorni polemici come quella specifica scuola o “centro culturale” sia stato finanziato dall’Arabia Saudita. Nell’immaginario collettivo le scuole coraniche sono un fenomeno che ha caratterizzato realtà arcaiche e dominate dalla povertà, come per esempio l’Afghanistan, oppure paesi appena usciti da sanguinose guerre civili e religiose, come appunto la Bosnia ed il Kosovo ma aggiungerei anche la Macedonia. Il tedesco della strada ben difficilmente potrebbe immaginare che a qualche isolato di distanza dalla casa dove ogni sera egli ritorna dall’ufficio, si nasconda un pezzo di Medioevo pronto a colpire. Eppure quella rivista, così impregnata di nazionalismo turco contornato da uomini e donne in costumi d’epoca da giannizzeri e bambine velate, dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. E’ chiaro, al di là delle paure più o meno fondate, che le bambine di 5 anni ritratte sorridenti nelle foto non saranno mai integrabili in questa società a meno che non fuggano dalle loro famiglie. Per chi già da piccolo vive nei ghetti urbani di Neukölln e Kreuzberg, parlando solo il turco o l’arabo e non avendo contatti sociali con gli infedeli che mangiano maiale, non potrà sperare di vivere in maniera serena all’interno di una società occidentale. Infatti nemmeno il più ottimista tra i progressisti di sinistra, perlomeno se è intellettualmente onesto, potrà negare quanto la crescita in un ambiente impregnato di orgoglio per la nazione d’origine e di fanatica osservanza dei precetti dell’Islam (ho detto forse Sharia?) siano degli ostacoli insormontabili per questa benedetta integrazione, termine quanto mai inflazionato. Non ci sarebbe poi da stupirsi se in ogni statistica i turchi risultano essere la comunità etnica presente in Germania con i più bassi tassi di formazione scolastica, per non parlare della stessa conoscenza della lingua tedesca, senza contare i recenti risvolti politici di persone che da 30 anni vivono e lavorano in Germania ma che a maggioranza hanno votato un “figuro” che non perde giorno per offendere la classe politica del paese che li ha accolti. Purtroppo verrebbe da dire che la stalla è stata aperta ed i buoi sono già scappati, visto e considerato che in questo momento in Germania vivono 3 milioni di turchi ed il numero sarà destinato ad aumentare vista la loro maggiore propensione a fare figli rispetto ai nativi tedeschi. Inoltre molti di loro posseggono la doppia cittadinanza turco – tedesca, ragion per cui la politica tedesca si guarda bene dal provocarli nelle loro corde più sensibili. Non la pensa invece così Erdogan, che ancora qualche giorno fa aveva ordinato ai suoi connazionali residenti in Germania di non votare i partiti maggiori della CDU e della SPD. Non male come interferenza interna, su cui avremo tempo di tornarci.

In verità le prime crepe sul mito dell’integrazione si avvisano già e questo spesso accade descrivendo episodi all’apparenza insignificanti. Diversi mesi avevo scritto di un normale foglietto A4 incollato alle porte di una chiesa a Neukölln nel quale il poveretto pastore protestante chiedeva con pietà di fermare il lancio di pietre che da tempo affliggeva il luogo di culto con conseguente rotture di vetro e spavento anche durante le messe. All’epoca abitavo a nemmeno cinque minuti a piedi dalla chiesa oggetto del bersaglio dei soliti noti ma non ho mai visto volanti della polizia nei dintorni né tanto meno ho rintracciato la notizia nei giornalini locali. Per i soliti complottisti da ricovero, aggiungo che il centro culturale islamico nel quale erano state fotografate le bambine velate della rivista turca è situato a 150 metri dalla chiesa oggetto dei lanci di pietre. Qualche giorno fa sempre a Neukölln si è verificato un episodio bizzarro, ed anche divertente se vogliamo, che però è sintomatico della situazione carsica che presto o tardi emergerà dal sottosuolo. Una donna islamica velata in maniera integrale col cosiddetto niqab ha pensato bene di aggredire un’inserviente di un negozio di moda, poiché a suo modo di vedere la vendita di banchiera intima è immorale e contraria all’Islam. Per chi non lo sapesse, il niqab è quel particolare velo islamico che copre l’intero corpo di una donna con la sola eccezione degli occhi. A Berlino non sono molte le donne disposte ad utilizzare questo copertura estrema, tant’è che la maggioranza di loro indossa il più “moderato” hjiab che copre solo i capelli e lascia visibile il volto. L’inserviente ha subìto alcune lieve lesioni ma siamo sicuri che tra qualche giorno tutto verrà dimenticato. L’aspetto ancora più divertente è che il suddetto negozio d’abbigliamento è specializzato nel vendere vestiti, anche per matrimoni, ad una clientela formata da arabi e turchi tant’è che le scritte riportate sulle vetrine sono bilingui.

Per fortuna anche in Germania l’estrema sinistra è ben consapevole di quali siano le priorità da affrontare. Lo stesso giorno in cui avevo trovato il magazine turco, al di fuori del supermercato era presente un presidio della Linke. Per par condicio avevo deciso di accettare un giornalino offerto da uno dei due volontari presenti e tra titoloni di lotta all’imperialismo ho rintracciato un articolo consono all’argomento che sto trattando. Un tale Ahmed Abed, che scopro essere un esponente della frazione della Linke di Neukölln, si presenta all’elettorato con un breve articolo nel quale dichiara di essere favorevole all‘abolizione di una legge federale del 2005 che vieta l’utilizzo del velo per gli insegnanti, tra le forze di polizia e per gli impiegati pubblici. Mi sembra una legge di buon senso che ogni Stato che voglia dividere le faccende di Cesare da quelle di Dio dovrebbe approvare. Lo stesso accadeva fino a qualche anno fa anche in Turchia ancora per effetto della legislazione laicista approvata dopo la Grande Guerra da Ataturk e prima che il democraticamente eletto Erdogan la spazzasse via a suon di decreti presidenziali e finanziamenti a scuole coraniche private. La stessa Francia, per citare un altro paese da sempre laicista ed alle prese con un leggero problemino con le minoranze islamiche, sta tentando di difendere il principio dell’equidistanza dello Stato di fronte alle religioni. Noi italiani non ce la passiamo in verità meglio per l’obbligatoria presenza nelle aule scolastiche, che cadono a pezzi uccidendo futuri disoccupati, di un simbolo di morte come il crocifisso ma cerchiamo di non divagare troppo. Nell’articolo di Ahmed si fa continuo riferimento al razzismo anti – islamico che secondo lui permea la società tedesca. Quello che vorrei aggiungere è solo un’indefinita tristezza nel constatare come la stessa sinistra tedesca, che ha avuto tra i suoi padri nobili un filosofo che 150 anni fa definì la religione come l’oppio dei popoli, si riduca oggi a difendere un simbolo di ignoranza ed oscurantismo. Uno dei due volontari presenti sul posto, tra le varie cose nemmeno tedesco bensì olandese, tentava di spiegarmi in maniera educata come in verità essa fosse una scelta libera e non obbligata. Anche in casi come questi nemmeno con la più buona volontà riesco a comprendere la sorpresa e finanche lo sconcerto di diverse persone colte di fronte all’avanzare delle destre xenofobe.

Per ora la Messa, anzi la prima delle cinque Preghiere quotidiane, è finita e potete andare in pace. Nel prossimo numero, che uscirà in ottobre, tenterò al netto delle riflessioni appena fatte di rispondere alla fatidica domanda: Cui prodest? A chi giova insomma creare questo stato di assoluta, e preventivata fin dall’inizio, incompatibilità tra una maggioranza di occidentali sempre più stanca ed una minoranza islamica aggressiva e non disposta ad integrarsi? Basterebbe citare l’altro detto latino del divide et impera ma vedremo se lo scopo è veramente solo governare e soprattutto su cosa rispetto a quello che sarà rimasto.kopftuch

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