Intervista alla comunità russa di Marzahn

MarzahnIn Germania di solito i termini Marzahn e comunità russa non godono purtroppo di grande popolarità, ammettiamolo. Il primo indica un rinomato quartiere periferico situato nella parte orientale di Berlino, il quale viene spesso considerato dal tedesco della strada e non solo come sinonimo di luogo grigio e triste popolato da squallidi Plattenbauten (condomini costruiti in epoca socialista nda). Invece a partire dalla crisi ucraina di piazza Maidan e relativa annessione della Crimea nel 2014, i media tedeschi non hanno mai veramente smesso di battere sul tamburo della Russia come potenza esterna pericolosa e revanscista. Ma cosa possiamo dire nel nostro piccolo della locale comunità  russa che da decenni, se non addirittura da secoli come presto vedremo, vive a Berlino? Per scoprirlo mi sono recato nella piccola ma accogliente chiesa russo-ortodossa di Marzahn per discutere con i rappresentanti della locale comunità, ritenuta una delle più importanti della metropoli tedesca. Mi accoglie alla porta un giovane pope di nome Evgeny (come il nostro Eugenio insomma) che mi chiede subito se desidero avere del caffè appena fatto, ergo bollente, e dei gustosi biscotti russi. Alla mia grata conferma ci sediamo subito su una lunga tavola di legno situata nell’accogliente cucina della chiesa, dove di solito si ritrovano a conviviare i fedeli dopo la cerimonia religiosa, ed inizia l’intervista.

Mentre iniziamo a parlare, il clima di pace è rotto in maniera altrettanto melodica sia da due giovani donne che preparano dei cibi tradizionali per i fedeli intenti nel frattempo nella liturgia sia dai cori provenienti da quest’ultimi che danno all’intera atmosfera un che di solenne e misterioso. Tornando al mio interlocutore, v’è da dire innanzitutto che Evgeny non è nato a Berlino nè tanto meno in Germania. E’ nato e cresciuto in un sobborgo di Mosca e nella capitale russa ha studiato Teologia presso la rinomata Università Statale, una delle migliori del paese fin dai tempi dell’Unione Sovietica. Circa quattro anni fa il locale Sinodo gli aveva proposto di recarsi a Berlino dal momento che aveva studiato tedesco e poichè c’era una grossa necessità in loco di religiosi che potessero aiutare la locale comunità russa. Fin dall’inizio Evgeny iniziò a lavorare per la diocesi ortodossa di Marzahn, dove si occupò sia degli aspetti organizzativi ed ovviamente spirituali della chiesa sia della comunicazione online del sito che raccoglie tutte le comunità russe presenti a Berlino. Tuttavia la diocesi di Marzahn non è certo l’unica a Berlino; ve ne sono in totale 6 e la sede centrale della comunità è¨rappresentata dalla chiesa principale (Christi-Auferstehungs-Kathedrale) di Hohenzollerndamm nel quartiere occidentale di Charlottenburg, la quale venne edificata nel 1938. Particolare l’anno di edificazione, che venne permessa dal partito nazista berlinese che all’epoca evidentemente non aveva ancora pregiudicato completamente i suoi rapporti con la Russia comunista. La criminale guerra d’aggressione all’URSS sarebbe stata operata da lì a tre anni nel 1941 ma nel frattempo v’erano ancora i margini per una convivenza di comodo tra le due superpotenze militari dell’epoca, che però fallì.

Tuttavia la presenza russa a Berlino è ben più risalente nel tempo. Il primo insediamento inizia nel diciottesimo secolo quando lo zar liberale e filo-occidentale Pietro il Grande decise di aprire una rappresentanza diplomatica nell’allora Regno di Prussia. La prima chiesa ortodossa venne costruita all’interno dell’ambasciata russa tirata su a sua volta in onore della storica figura del Principe Vladimiro; durò per due secoli prima che il partito bolscevico, dopo aver preso il potere in Russia, decise di non tollerare più la presenza di riferimenti religiosi nell’ambasciata che avrebbe da quel momento in poi avrebbe solo dovuto rappresentare gli interessi del primo stato socialista al mondo. La stessa chiesa di Marzahn, dove ci troviamo, altro non è che un ricordo della prima chiesa di legno presente all’interno dell’ambasciata descritta sopra. Subito dopo il colpo di stato del partito bolscevico e relativa guerra civile che durò per anni, durante gli anni ’20 decine di migliaia di esuli russi scapparono e si rifugiarono nell’allora tollerante Berlino, in special modo nel quartiere di Charlottenburg che da quel momento venne simpaticamente ribattezzato Charlottengrad. La maggior parte di essi proveniva dal ceto medio; erano intellettuali, scrittori, avvocati, ex impiegati pubblici del regime zarista, se non addirittura vecchi nobili e proprietari terrieri caduti in disgrazia. Ciò che li accomunava era l’avversione verso il regime comunista che da parte sua li considerava “nemici del popolo”. Evgeny mi racconta un episodio da lui studiato all’università di Mosca durante i suoi studi di teologia: dopo che nel 1922 la guerra civile russa terminò con la vittoria dei comunisti, il governo tedesco prese atto che, essendo il conflitto terminato, le migliaia di profughi russi che nel frattempo avevano richiesto rifugio in Germania dovevano tornare nella loro madrepatria. Questo poichè venne applicato un concetto, ancora valido nella Germania di oggi anche poichè derivante da una legge federale approvata dal secondo governo socialdemocratico di Schröder, secondo il quale il governo non può concedere asilo politico nè umanitario ad individui provenienti da luoghi inclusi in una lista stilata dal governo stesso di cosiddetti “paesi sicuri”. Seguendo una logica incontrovertibile ma al tempo stesso assai discutibile, il fragile governo repubblicano dell’epoca considerò appunto l’Unione Sovietica un paese sicuro poichè non più in guerra, ergo i profughi russi avrebbero dovuto tornare a casa. Tuttavia questo non era affatto possibile visto e considerato che, come visto sopra, i russi espatriati erano fuggiti per contrapporsi al movimento bolscevico che a sua volta li avrebbe con tutta probabilità perseguitati al loro eventuale ritorno in patria. Pertanto i Flüchtlinge dell’epoca – qualcuno direbbe antesignani dei respinti afghani ed algerini dei giorni odierni – per non essere abgeschoben decisero di fuggire ancora di più verso ovest. Sempre Evgeny aggiunge che le mete preferite dai russi erranti furono gli Stati Uniti e la Francia.

Ma, al netto delle interessanti considerazioni storiche, chi sono i russi del Terzo Millennio che vivono a Marzahn? Quando sono arrivati in Germania e quali sono i loro rapporti con la madrepatria? Ebbene mi si risponde che la stragrande maggioranza dei 30mila russi che oggi vivono a Marzahn è giunta all’inizio degli anni ’90, ovvero all’indomani dello smantellamento dell’Unione Sovietica. In verità molti di loro, mentre vivevano nello stato socialista, vennero considerati facenti parte della minoranza tedesca. Infatti se la presenza russa in Germania risale al Settecento, quella tedesca in Russia è ancora più antica nel tempo. Per secoli i tedeschi erano vissuti per lo più nella zona del basso corso del fiume Volga, spinti ad insediarvisi soprattutto dalla zarina Caterina anch’essa tedesca, ma durante la seconda guerra mondiale vennero deportati su ordine di Stalin poichè considerati a torto inaffidabili oltre che una quinta colonna della Germania nazista. Centinaia di migliaia di tedeschi del basso Volga furono costretti ad emigrare in vagoni merci nell’allora regione del Kazakhistan dove vissero per decenni e dove al tempo stesso poterono parlare e conservare la lingua dei loro antenati con una certa libertà, almeno a partire dalla morte del dittatore avvenuta nel 1953. Tutto cambia agli albori degli anni ’90: l’Impero sovietico crolla sotto il peso delle proprie contraddizioni interne e il Kazakhistan diventa uno stato sovrano ed indipendente E’ proprio in quegli anni che il governo CDU Kohl decide di siglare dei patti con la Russia e il Kazakhistan per far arrivare nella Germania appena riunificata centinaia di migliaia di russo – tedeschi.

Quest’ultimi vennero denominati dalla burocrazia governativa Spätaussiedler. Come mi spiega Evgeny, questi immigranti russi ma di lingua tedesca non ebbero grandi problemi nell’integrazione, o comunque molto meno rispetto ad altre minoranze che magari da decenni vivevano e lavoravano in Germania. Tuttavia il lungo isolamento, prima negli sperduti villaggi di legno vicino al Volga e poi nelle sterminate steppe kazakhe, aveva permesso loro la conservazione di un tedesco arcaico che era durata fino agli anni ’90 e che, stando alle esperienze personali da lui raccolte, dura fino ad oggi. Questo mantenimento di un tedesco superato dal tempo ha creato qualche volta dei piccoli problemi di comunicazione tra i cittadini tedeschi ed i membri di questa comunità che, appena giunti in Germania, spesso si sorprendevano di non riuscire a capire alcuni termini ed espressioni del tedesco contemporaneo.

Visto che stiamo entrando nel nucleo caldo dell’argomento, chiedo ad Evgeny quale sentimento nutrano i russi-tedeschi di Marzahn nei confronti del loro paese d’origine. Detto altrimenti: si sentono più russi o tedeschi? E ancora: si sentono integrati a Berlino? Lui introduce il discorso dicendomi che la stragrande maggioranza di essi è ortodossa e si autodefinisce comunque russa anche se, come detto, tutti parlano perfettamente il tedesco, seppur condito di termini arcaici. Tuttavia non si percepiscono affatto stranieri in Germania anche se la loro mentalità è appunto russa. Pertanto si sentono integrati ed in effetti, almeno economicamente parlando, lo sono: molti di loro lavorano nel settore dei servizi, i propri figli frequentano le università e sono perfettamente bilingui, mentre non si hanno notizia di veri e propri ghetti urbani che invece caratterizzano la presenza di altre comunità  straniere presenti a Berlino. Inoltre gli Spätaussiedler di Marzahn hanno spesso ottenuto senza alcun problema la cittadinanza tedesca viste le origini e la lingua comune; tuttavia, come detto, anche con la doppia cittadinanza essi si sentono in ogni caso russi ma al tempo stesso non stranieri nella loro nuova patria d’adozione.

Toccata la questione dell’origine dei russi di Marzahn, la nostra conversazione si sposta ora sulla chiesa vera e propria. All’inizio si è accennato come fosse stata edificata 4 anni fa. La costruzione fu possibile solo grazie ad offerte private mentre il luogo venne deciso assieme al Land di Berlino dopo negoziati durati qualche mese. Il dettaglio interessante è che l’intero edificio di culto è fatto in legno anche se il pope mi indica alla parete una foto che ritrae un’elegante chiesa in pietra con alcuni edifici dietro di essa, che altro non è che il progetto per i prossimi anni. L’idea è di smantellare l’intera chiesa odierna in legno, trasportarla in un altro luogo che non è detto che si debba trovare per forza a Berlino e al tempo stesso costruire una nuova chiesa in mattoni, quindi più robusta e moderna, oltre che un centro sociale per vecchi e disabili. Lo stesso Evgeny ci tiene a precisare il suo concetto secondo il quale la Chiesa con la C maiuscola dev’essere un centro di aggregazione sociale ed un luogo di aiuto per le persone più deboli. Già ora la sua comunità prevede degli sportelli ai quali può recarsi chiunque abbia dei problemi che non riesce ad affrontare senza l’aiuto spirituale e, perchè no, anche materiale dei padri della comunità. Inoltre la chiesa dispone anche di un ampio giardino dove nella bella stagione si svolgono matrimoni, celebrazioni e feste per bambini. Al tempo stesso ogni sabato e domenica dopo la celebrazione della messa i fedeli, di solito un centinaio ad ogni evento, si riuniscono nella cucina dove mi trovo in questo momento e ne approfittano per mangiare assieme e discutere dei fatti più importanti della settimana. Non può mancare poi il gruppo giovanile ortodosso, molto attivo nella comunità, che organizza eventi e si prepara sotto la guida dei padri spirituali alle cerimonie e alle sfide di tipo religioso che li attendono. La sensazione che ho dal colloquio è che si tratti di una comunità piccola ma al tempo stesso molto ben organizzata ed attiva nella vita di tutti i giorni; per chiudere il cerchio mi descrive la presenza del coro religioso che in futuro si spera possa organizzare degli eventi pubblici aperti a tutti. Il periodo più importante per l’intera comunità russa di Marzahn gravita intorno alla Pasqua ortodossa, quando anche chi di solito non frequenta la chiesa si unisce agli eventi religiosi; ciò conferisce senso d’appartenenza che nel tam tam quotidiano spesso manca. Ad una mia specifica domanda Evgeny mi rivela che i rapporti con le altre comunità  cristiane, cattolici e protestanti in primis, sono ottimi anche se non sempre rimane il tempo di frequentarsi. Tuttavia quando lui può, ama assistere in forma personale agli eventi dei suoi fratelli e sorelle, come li definisce.

Il discorso ora passa al quartiere che ospita la comunità, il fantomatico Marzahn che tanta eco ha avuto in certa stampa. Ebbene specifico che Evgeny non vive nel quartiere ma vi si reca solo per lavoro; ciò nonostante non ha mai nè sentito nè sperimentato tensioni nè aggressività. Una piccola ma dolorosa eccezione si era verificata nel 2014, subito dopo l’inaugurazione della chiesa, quando una serie di volantini neonazisti gettati quattro volte in giorni diversi di fronte all’ingresso e perfino un petardo rudimentale fatto scoppiare all’interno della cassetta delle poste avevano creato più che giustificate paure tali da portare perfino ad una sorveglianza giornaliera del luogo di culto da parte della polizia. Tuttavia il clima si era ben presto rasserenato e per fortuna non si sono più verificati episodi simili di intolleranza. All’epoca la Polizei gettò fin da subito la spugna adducendo che non era possibile trovare i responsabili visto e considerato che non c’erano testimoni. Tornando a Marzahn, il mio simpatico e gioviale interlocutore mi rivela che lavorando lì da tanti anni non ha mai avuto l’impressione di essersi lontanato da Mosca vista l’eguale architettura da socialismo reale che accomuna le due realtà un tempo facenti parte dello stesso universo politico. A parte il curioso aneddoto, egli non si è mai lamentato della qualità di vita del Bezirk, che invece sembra spesso trasparire dalla stampa locale. Problemi sicuramente ci sono ma non sembrano diversi da quelli di altre zone della metropoli. Come molti suoi connazionali che hanno ancora parenti in Russia o Kazakhistan, ama tornarci almeno due volte all’anno ma al tempo stesso percepisce che il suo posto è qui a Marzahn e che il lavoro da fare è davvero tanto. Torniamo ancora al tema dell’integrazione e lui stesso mi assicura che l’integrazione è optimal anche grazie al fatto che tra i bambini, che qui nascono e che quindi sono cittadini tedeschi a tutto tondo, e i loro genitori a casa si parli sia tedesco che russo senza soluzione di continuità. Contemporaneamente e senza contraddizione alcuna i legami con la madrepatria russa sono forti e nessuno sembra intenzione a reciderli.

Che altro dire di più ad Evgeny? Spasiba e speriamo che questo non sia un addio bensì solo un Do svidaniya!

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