Il banco vince sempre

Berliner wallIl recente attentato “islamico” di Londra non ha fatto altro che confermare alcune mie paure che avevo avuto modo di mettere nero su bianco qualche mesetto fa. Prima di svelarvi di cosa si tratta, vorrei soffermarmi a grandi linee sulla dinamica dell’attentato. Premettiamo che in questa occasione l’attentatore si è dimostrato meno distratto rispetto a quelli precedenti di Berlino, Parigi e Bruxelles; infatti non è stata trovata la sua carta d’identità sotto il sedile della sua macchina. Di sicuro sapendo bene che sarebbe andato incontro a morte certa, l’attentatore con passaporto britannico non ha ritenuto necessario far sapere al mondo chi era visto e considerato che l’avrebbero di sicuro ucciso pochi minuti dopo. A proposito della sua morte, ormai si ripropone il grande classico dell’attentatore che viene ucciso dai poliziotti oppure che compie lui stesso il suicidio rituale mandando al contempo all’altro mondo le povere vittime. Aggiungo che è sempre un peccato che il terrorista islamico di turno non possa rivelare agli inquirenti i nomi dei complici o addirittura dei mandanti, ma menti più razionali della mia mi diranno che è un tratto ormai caratteristico del terrorismo made in Isis quello di mandare a morte i propri adepti – martiri. In verità di tutti gli attentati che hanno sconvolto l’Europa negli ultimi due anni un sopravvissuto ce ne sarebbe: stiamo parlando ovviamente di Salah, ossia l’unico terrorista sopravvissuto agli attacchi di Parigi e che si trova in questo momento in isolamento totale in un carcere di massima sicurezza in Francia. In questo caso ci ha pensato lo stesso suo avvocato a mettere le mani in avanti, dichiarando a mezzo stampa che “il suo assistito è a forte rischio suicido”. Scommettiamo che tra qualche mese, o anche prima, troveremo il povero Salah a mezz’aria con una corda intorno al collo?

Altro leit motiv sono state le consuete minacce mediatiche del Presidente turco Erdogan, il quale casualmente qualche giorno prima dell’attacco di Londra aveva minacciato gli europei che “non sarebbero più stati sicuri di camminare liberi per le strade delle loro città.”1 Solita sparata che fa il paio con la medesima profezia che il nostro aveva enunciato un anno fa, esattamente 13 giorni prima dell’attacco a Bruxelles, quando aveva dichiarato che “i serpenti che hanno morso ad Ankara (precedente attentato contro i curdi rivendicato dall’Isis nda) possono svegliarsi in qualsiasi momento e colpire in qualsiasi città europea, per esempio Bruxelles.”2 Detto e fatto: sia l’anno scorso che in questa occasione subito dopo che Erdogan aveva minacciato l’Europa di stragi islamiche, esse si sono verificate per davvero. E’ un vero peccato che non molti giornalisti esperti di terrorismo né tanto meno direttori dei servizi di intelligence abbiano pensato di richiedere un’intervista o finanche una consulenza al nostro Nostradamus turco. Faccio notare che l’attacco di Londra si è verificato esattamente un anno dopo la strage all’aeroporto e alla metro di Bruxelles, ovvero il 22 marzo. In diversi miei articoli avevo esposto quella che a mio parere è la strategia a lungo termine di Erdogan, che consisterebbe nell’esportare il terrorismo “islamico” in Europa sia per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica interna dalla grave crisi economica del paese, causata in primis da una svalutazione a due cifre percentuali della lira turca e da un crollo del turismo in entrata legato alla paura del terrorismo, sia per ricattare i politici europei per tentare di portare a casa l’agognato accordo sui visti liberi per i cittadini turchi che desiderassero entrare e muoversi nella UE. Tenendo anche in considerazione la recente crisi diplomatica tra la Turchia e diversi paesi europei causata dalla decisione di quest’ultimi di vietare comizi di politici turchi a favore della riforma presidenziale di Erdogan, dedicherò a breve un articolo complessivo sulla questione turca. Per ora ci basterà sapere che o Erdogan porta una sfiga che metà basta, oppure le sue minacce di futuri attentati che puntualmente si verificano qualche giorno dopo dovrebbero essere prese più seriamente.

Infine per quanto riguarda l’attacco di Londra in sé, analisti ben migliori del sottoscritto non avranno avuto difficoltà a notare l’altissimo valore simbolico del gesto sia per quanto riguarda le date che la location, per dirla all’inglese. Abbiamo già accennato a come l’attentato, subito rivendicato dall’onnipresente agenzia stampa israeliana della signora Katz, si sia verificato esattamente un anno dopo gli attacchi di Bruxelles. Tuttavia i medesimi analisti che scrivono sulle maggiori testate internazionali, avranno di sicuro posto la loro attenzione su come l’attentato sia avvenuto esattamente una settimana prima (29 marzo) la data in cui il governo britannico capitanato dal Primo Ministro May dovrebbe dichiarare ufficialmente l’inizio del processo di attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona. Per chi non lo sapesse, codesto articolo comunitario è quello che disciplina le modalità di recesso di uno Stato membro dall’Unione Europea. Lo stesso luogo dell’attentato è il medesimo teatro politico dove da mesi si sta discutendo dell’opportunità o meno di applicare la Brexit e nel quale verrà messa nero su bianco la decisione da parte del Regno Unito, a seguito del referendum popolare dell’anno scorso, di levare le ancore e salpare gli ormeggi dal porto europeo. A mio parere, venato dalla solita dietrologia tanto un chilo, in verità questo attentato “islamico” altro non è che un avvertimento di stampo mafioso nei confronti del governo britannico a stare attento alle prossime mosse in politica estera e a non tirare troppo la corda nei futuri negoziati con la Commissione Europea. Tentando di essere anch’io un Nostradamus provinciale, senza tuttavia avere la stoffa di un Erdogan, potrei prevedere una recrudescenza della violenza inter-religiosa in Irlanda del Nord oppure una secessione non propriamente morbida da parte dei vicini scozzesi.

Detto questo sull’attentato di Londra, vorrei tuttavia concentrare la mia attenzione su due editoriali del Fatto Quotidiano online i quali, scritti esattamente ad un anno di distanza tra di loro, non farebbero altro che confermare i miei timori in merito ad una israelizzazione strisciante delle società europee a seguito della minaccia terroristica “islamica”. Qualche mese fa, per essere esatti il 3 dicembre, durante la terza ed ultima parte di un articolo da me intitolato “Cosa rischia veramente la Germania (e noi)”3 avevo dato conto della ghiotta opportunità che i governanti di estrema destra israeliani attualmente al potere potrebbero cogliere nello sfruttare emotivamente i morti europei. Come spero tutti voi saprete, fin dai primi giorni della sua fondazione lo stato di Israele si è sempre confrontato con il terrorismo arabo il quale ha tentato, finora invano, di mettere un freno alla colonizzazione delle terre arabe da parte dei sionisti. Nonostante la censura dei liberi media occidentali, chiunque abbia il minimo desiderio di fare una ricerca sulla rete potrà vedere come in verità ad operare il terrorismo sia uno stato foraggiato da decenni con soldi ed armi occidentali il quale persegue con propria coerenza l’obiettivo geopolitico ultimo di cacciare tutti gli arabi ancora rimasti nella cosiddetta Palestina storica e portare così a termine il mitico obiettivo biblico di creazione del Grande Israele (Eretz Israel).

Come stavo dicendo appunto, nell’articolo di dicembre avevo riflettuto su come gli israeliani potrebbero ergersi di fronte agli europei sempre più impauriti come dei veri e propri maestri nella lotta al terrorismo, vista anche la loro attiva partecipazione ad esso. Nello specifico si potrebbe creare quasi una simbiosi emotiva tra due popoli che, secondo la narrativa mediatica ufficiale, si troverebbero nella medesima situazione di assedio da parte degli arabi feroci e desiderosi di distruggere la loro “civiltà” fatta di benessere e libertà. In effetti un’occasione come questa non potrebbe capitare mai più per gli israeliani; quello di paragonare la disperata resistenza palestinese, bollata nel calderone del terrorismo islamico, e gli attacchi sul suolo europeo potrebbe essere anche un utilissimo escamotage per mettere a tacere le sempre più crescenti critiche di una fascia notevole di europei nei confronti delle politiche israeliane di colonizzazione, furto delle risorse idriche degli arabi, demolizioni di case, estirpazione di ulivi secolari, stragi di civili e arresti di massa senza processo. In parole povere: la mia teoria era che una recrudescenza del terrorismo islamico in Europa potrebbe creare delle pericolose e deleterie alleanze tra i sionisti, i quali potrebbero completare l’operazione di pulizia etnica in Palestina iniziata più di un secolo fa, e larghe fasce di popolazione europee sempre più intimorite dall’Islam e desiderose anch’esse di fare pulizia interna. Sempre in due miei articoli, usciti a qualche giorno di distanza4 5 ad inizio gennaio, avevo riportato dichiarazioni pubbliche dei più importanti leader di questi fantomatici partiti di estrema destra euroscettici e populisti in merito al conflitto mediorientale. Pressoché l’unanimità dei populismi dell’Europa occidentale, che secondo diverse analisi potrebbero mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Unione Europea (cosa che io non credo avverrà) e che sono dati in crescita un po’ dappertutto, si caratterizzano per la loro politica filo-israeliana. Addirittura un certo populista Wilders, balzato all’onore delle cronache per essere stato sconfitto alle ultime elezioni olandesi, aveva postato qualche mese fa un’immagine nella quale dichiarava che Obama e Kerry avrebbero dovuto smetterla di condannare i sionisti per la loro volontà di continuare a costruire colonie illegali in Cisgiordania, senza contare che il biondo olandese era arrivato alla conclusione che “uno stato palestinese esiste già ed è il regno di Giordania (sic)”. In verità il suo non è un caso isolato e, come già accennato, tutti i leader dei movimenti populisti dell’Europa occidentale sostengono senza riserve le politiche di Israele, viste addirittura come punto di riferimento nei confronti della minaccia islamica interna. Per ulteriori approfondimenti, consiglio di consultare un mio precedente articolo sul tema6.

Ammesso e non concesso che una simile tendenza all’israelizzazione delle società europee sia in effetti in itinere, le voci più scettiche mi faranno notare che vi dovrebbero essere di concerto anche degli editoriali dei più importanti quotidiani nazionali che dovrebbero appunto convincere le masse europee spaventate che sarebbe cosa buona e giusta prendere esempio dalle politiche israeliane. Ebbene lo scopo di questo mio breve articolo domenicale è quello di presentarvi due editoriali, scritti esattamente ad un anno di distanza l’uno con l’altro, nei quali un certo quotidiano progressista e pro-legalità dal nome di Fatto Quotidiano per bocca di due illustri analisti ci fa sapere come gli israeliani convivano da molto tempo con la minaccia dei lupi solitari islamici, i quali armati di meri coltelli stanno mettendo “sotto scacco” (testuali parole di uno dei due giornalisti) il paese, e di come i paesi europei dovrebbero prendere spunto dall’esempio israeliano in fatto di sicurezza e prevenzione degli attacchi. Ma andiamo per ordine.

Partiamo da un articolo uscito all’indomani degli attacchi di Bruxelles dell’anno scorso, nella quale un certa economista dal nome di Loretta Napoleoni scrive testualmente che7:

Una delle cose che colpisce quando si parte dall’aeroporto di Ben Gurion, ad Israele, è la sensazione di non essere in un gigantesco grande magazzino dove per arrivare all’imbarco bisogna percorrere chilometri e chilometri tra una folla di persone intente a fare shopping, a magiare e bere o semplicemente a passeggiare, ma di trovarsi in un edificio assolutamente funzionale al viaggiatore per quanto riguarda la sicurezza. Ma Israele è un paese che con il terrorismo ci convive da decenni. L’idea che l’aeroporto sia un tempio del consumismo occidentale, uno shopping mall, dove i viaggiatori riempiono il bagaglio a mano di prodotti folkloristici e cibi locali, come succede nel Vecchio Continente, è per gli israeliani assurda. All’aeroporto, alla stazione degli autobus ed in quella ferroviaria si va per spostarsi da un punto all’altro, sono luoghi affollati e quindi potenzialmente ottimi obiettivi per i terroristi, quindi è meglio attraversarli velocemente e restarci il meno possibile.

Forse anche noi europei dovremmo imparare a convivere con la minaccia del terrorismo, almeno per qualche tempo.

Gli israeliani usano una serie di tecniche che fino ad oggi hanno avuto successo. In primis l’aeroporto è concepito come una fortezza non come uno shopping mall, per accedervi bisogna passare un primo controllo a circa un chilometro di distanza. Le dimensioni dell’aeroporto Ben Gurion sono naturalmente molto ridotte rispetto ad aeroporti faraonici come quello di Madrid, di Barcellona o di Heathrow, dove ben 75 milioni di persone vi transitano ogni anno. Certo il numero dei passeggeri in Europa è molto più alto che in Israele, ma gli aeroporti europei sono stati costruiti per invogliare la gente a fare shopping nell’attesa di imbarcarsi, non per muovere i passeggeri velocemente e ridurre la folla. E questo è un problema logistico. I viaggiatori oggi trascorrono più del doppio del tempo all’interno dell’aeroporto dopo aver passato la sicurezza, si badi bene, che prima dell’11 settembre. Perché? Perché fanno shopping ed i tempi per raggiungere gli imbarchi si sono moltiplicati perché per farlo sono stati costruiti lunghi percorsi ad hoc attraverso negozi, ristoranti e duty free.

Gli israeliani non perdono tempo a controllare i liquidi dei viaggiatori, cosa che invece spesso crea enormi colli di bottiglia ai controlli di sicurezza di Heathrow. Si concentrano nel profiling, che possiamo definire una sorta di analisi psicologica dei passeggeri da parte di professionisti della sicurezza. In sostanza ciò significa individuare i potenziali attentatori sulla base di dati personali che vengono raccolti in vari modi, e.g. osservando il loro comportamento in aeroporto o intervistando i passeggeri al check in.

Certo qualcuno potrebbe controbattere che fare il profiling di 75 milioni di passeggeri ad Heathrow è impossibile, ma non è così. Il profiling individua immediatamente chi viaggia molto, per motivi di lavoro o familiari, questi sono i passeggeri che non hanno bisogno di essere controllati perché non presentano alcun rischio. Negli Stati Uniti la Tsa ha introdotto un sistema simile, a chi viaggia spesso viene applicato un controllo di sicurezza meno invasivo e più veloce che agli altri. Ciò permette una maggiore concentrazione di risorse sui passeggeri potenzialmente ‘a rischio’.

A quanto pare dai video degli attentatori dell’aeroporto di Bruxelles risulta che nessuno dei tre aveva bagaglio a mano e due indossavano un guanto nero solo nella mano sinistra, probabilmente perché in quella mano avevano il detonatore dell’esplosivo. Due fattori sufficientemente inusuali per allertare all’ingresso le forze di sicurezza in borghese se ci fossero state, come invece da decenni avviene in Israele.”

Devo aggiungere altro? Già il titolo dell’articolo dice tutto: “Terrorismo, Israele può insegnarci come proteggere gli obiettivi sensibili.” Vorrei solo rivelarvi che un particolare dell’editoriale elogiativo mi ha fatto sorridere; quando infatti l’analista ha fatto riferimento ad una serie di tecniche israeliane che finora hanno avuto successo, non ho potuto fare a meno di andare con la recente memoria alla storia di quel giovane soldato israeliano che due giorni dopo gli attentati di Bruxelles aveva utilizzato l’efficace tecnica di far saltare il cervello ad un arabo disteso per terra, controllato fisicamente dai soldati lì attorno e soprattutto disarmato. Il palestinese è morto sul colpo ed il giovane soldato, oltre a ricevere la solidarietà pubblica da parte del Primo Ministro Netanhyau, viene tuttora considerato dalla parte maggioritaria del paese che lui serve come un eroe. Ah si dimenticavo un particolare: il luogo in cui questa tecnica israeliana di liquidazione del terrorismo è stata applicata con successo, è stata la città palestinese di Hebron da 50 anni sotto occupazione sionista. Visto che amo spesso giocare con la fantasia, mi sarebbe piaciuto immaginare cosa sarebbe successo se una guardia confinaria ungherese o magari un carabiniere di stanza a Lampedusa avesse deciso di applicare con successo la medesima tecnica su un immigrato o magari su un profugo. A parte la sua radiazione seduta stante tra il disonore e la condanna a qualche annetto di galera, il gesto sarebbe stato condannato con una serie di ismi finali dalle più alte cariche europee. La Boldrini avrebbe come minimo proclamato una manifestazione di piazza, lo scrittore progressista Saviano (il quale non ha mai nascosto il suo appoggio ad Israele) avrebbe scritto il suo solito editoriale su Facebook, mentre la Commissione Europea avrebbe inviato un ultimatum all’Ungheria del perfido Orban di accogliere tutti i profughi pena sanzioni economiche a livello comunitario. Nel caso invece del giovane soldato israeliano che ha ucciso impunemente un civile disarmato in un territorio occupato (nonni partigiani, questo gesto vi ricorda qualcosa?), non v’è stata alcuna eco nella politica né tanto meno un’ondata di indignazione; ma si sa che certe tecniche efficaci possono essere usate solamente da paesi democratici sotto assedio e che vivono costantemente il pericolo di venire spazzati via dai barbari vicini. Conclusa la disamina del primo articolo filo-israeliano, andiamo avanti con il secondo.

L’editoriale è firmato da un tale Giorgio Vidino, direttore di un fantomatico programma Estremismo (?) del Centro per la Cybersecurity e Sicurezza Interna della George Washington’s University, e già nell’altisonante titolo: “Auto e coltelli, gli attacchi impossibili da prevedere che tengono sotto scacco Israele”, cerca di farsi prendere sul serio. Leggiamone uno stralcio8:

La tecnica (quella di attaccare con dei meri coltelli e senza la necessità di un’accurata organizzazione a monte nda) ricorda quella utilizzata negli ultimi anni dagli attentatori palestinesi in Israele. Una strategia che, nell’arco di pochi mesi, è riuscita a mietere più vittime dei razzi di Hamas o degli attentati bomba, tanto da dare il nome a una delle ultime escalation di violenza nel Paese: l’Intifada dei coltelli. “Prendiamo come esempio il caso di Israele – spiega Vidino – è considerato il Paese con il sistema di sicurezza più avanzato al mondo. Un Paese dove i controlli sono costanti, in ogni luogo, e fatti con diversi mezzi. Nonostante ciò, però, è praticamente impossibile prevedere l’attacco di un palestinese non attenzionato a bordo di un’auto o di un furgone. Stessa cosa vale per gli accoltellamenti. Questo perché stiamo parlando di oggetti e mezzi di uso comune. I terroristi lo hanno capito e, quindi, invitano i lupi solitari sparsi in Europa ad agire con queste modalità”

Ancora una volta si tenta di mettere sullo stesso piano situazioni diverse: da una parte abbiamo un popolo, quello palestinese, che ha ormai perso definitivamente la battaglia per difendere la propria terra ed il proprio onore contro la supremazia militare sionista e di conseguenza si affida a disperati gesti individuali che non causano quasi mai vittime tra l’avversario; dall’altra parte abbiamo invece in Europa una serie di migranti islamici di seconda o anche terza generazione che, a causa del loro infimo livello culturale e sociale, vengono “attenzionati” e spinti a compiere gesti di cui non hanno una visione a lungo termine. Detto altrimenti: nel caso israeliano gli attacchi solitari vengono compiuti da un popolo sotto occupazione militare e che avrebbe il diritto, secondo le leggi internazionali, a resistere contro l’occupante, mentre in Europa assistiamo a scene di isteria collettiva per quattro sbandati, con precedenti penali legati alla microcriminalità, i quali non sono altro che delle insignificanti pedine da sacrificare per un gioco per più ampio. Tuttavia l’articolo dell’analista in questione, che non è di sicuro uno sprovveduto, tenta probabilmente riuscendovi di creare un parallelismo tra le realtà israeliane ed europee. Il messaggio che passa, nemmeno troppo velato, è che la stessa tecnica terroristica viene utilizzata già in Israele da diverso tempo e pertanto noi europei dovremmo prendere spunto da esso, oltre che solidarizzare con le legittime esigenze di sicurezza dei coloni sionisti. Ad aggiungere un tocco di paura in più al lettore italiano, già di per sé terrorizzato di saltare in aria anche solo se si trova in fila al Lidl, è che questi terroristi palestinesi armati solo di coltellini hanno fatto più morti – pensate un po’ – dei missili che Hamas dalla Striscia di Gaza (non citata nell’articolo in questione nda) ha lanciato negli ultimi anni contro le città israeliane. Peccato che il giornalista si sia dimenticato di menzionare che durante l’ultima operazione militare di Israele nella Striscia di Gaza nel 2014, siano morti in poco più di un mese 2.251 palestinesi di cui 1.462 civili (fonte ONU9). Durante l’ennesima campagna militare lanciata da Israele alla vigilia delle elezioni, i civili israeliani uccisi dai missili Hamas sono stati invece 6. Provate solo ad immaginare quanti siano stati i morti causati dai lupi solitari palestinesi armati di coltelli.

I due articoli del quotidiano progressista Il Fatto non sono altro che la punta di un iceberg di una campagna stampa italiana, ma che contraddistingue direi anche gli altri paesi europei, che vuole far passare il messaggio che noi europei stiamo sperimentando la stessa minaccia terroristica che gli israeliani conoscono da molto più tempo. Minimi cenni all’occupazione militare della Palestina e alla conseguente frustrazione e rabbia degli arabi non sono contemplati. L’unica cosa che conta è dare delle soluzioni facili ed a costo zero ad una massa di persone sempre più impoverite dalla crisi economica ma al tempo stesso anche sempre più superficiali e sempre meno disposte ad approfondire temi ben più complessi delle loro/nostre esistenze. Ci tengo a precisare che ho voluto prendere spunto dal Fatto poiché tale giornale viene considerato come un’avanguardia della società civile contro qualunque tipo di illegalità e sopruso, senza contare che la linea editoriale del giornale si è sempre posta alla difesa di questi così spesso citati diritti umani. Tuttavia quando si tratta di criticare amici ed alleati storici dell’Occidente, le critiche si fanno sempre più rade mentre l’elogio dei loro “metodi efficaci” – per citare nuovamente l’economista Napoleoni – si fanno più numerosi. Non mi sono nemmeno preso la briga di consultare organi di stampa conservatori e storicamente islamofobi, come Libero e Il Giornale, né tanto meno ho voluto leggermi gli editoriali aprioristicamente pro-occidentali e filo-israeliani di quotidiani della buona borghesia come La Stampa ed Il Corriere. Ho desiderato proporvi alcuni editoriali di un organo considerato progressista – che poi non si capisce mai cosa voglia dire questo termine orwelliano – come Il Fatto per tentare di far capire ai dogmatici della libertà e della democrazia come in verità siano ben altre le leggi umane che determinano il giudizio tra il bene ed il male. Come ha scritto in maniera efficace un mio lettore, il banco vince sempre. Sta a voi capire a cosa ci riferiamo. Nel frattempo attendiamo il prossimo editoriale per avere maggiori delucidazioni in merito ai termini tecnici della crociata congiunta europeo-sionista contro la minaccia del nuovo babau di turno.

1http://www.lastampa.it/2017/03/22/esteri/erdogan-avverte-leuropa-se-continua-cos-i-suoi-cittadini-non-potranno-camminare-sicuri-da-nessun-parte-AatoLjy83zlKcrn3NVF2YN/pagina.html

2http://news.nationalpost.com/news/the-snakescan-bite-you-turkish-president-warned-on-friday-of-another-terror-attack

3http://deutschevita.altervista.org/cosa-rischia-veramente-la-germania-e-noi-33/

4http://deutschevita.altervista.org/il-grande-imbroglio-dei-populismi-europei/

5http://deutschevita.altervista.org/fatti-non-foste-per-votar-bruti/

6http://deutschevita.altervista.org/fatti-non-foste-per-votar-bruti/

7http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/27/terrorismo-israele-puo-insegnarci-come-proteggere-gli-obiettivi-sensibili/2585239/

8http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03/23/attentato-londra-vidino-auto-e-coltelli-gli-attacchi-impossibili-da-prevedere-che-tengono-sotto-scacco-anche-israele/3469954/

9https://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Margine_di_protezione

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