Eravamo quattro amici al kebab

sono-vietate-le-discussioni-politicheBuongiorno a tutti,

in primo luogo chiedo scusa a tutti per la mia assenza che da qualche settimana si è prolungata addirittura a quasi tre mesi. Spero che i miei lettori carbonari comprenderanno le ragioni di questa mia latitanza, la quale dovrebbe essere se non giustificata perlomeno tollerata in ragione del mio eroico ardore da Kanakken – Bubez (spiegherò nel prosieguo dell’articolo l’etimologia del termine) nel versare contributi che consentano al sistema tedesco di proseguire nella sua inesorabile marcia verso le magnifiche sorti e progressive. Detto in parole povere: ho lavorato duro per raggiungere lo stato mitico, e direi anche mistico, dell’impiegato piccolo borghese che con i soldini risparmiati può togliersi la soddisfazione di farsi una vacanza nei Mari Sud (leggi Mare ex Nostrum). Chiusa la parentesi non richiesta, vedo di chiarire quali saranno i temi che riprenderò a trattare. Dico subito che per un po’ non mi concentrerò più di tanto sugli articoli e temi riportati dai media mainstream sulla Germania, bensì mi piacerebbe partire da episodi di vita vissuta in prima persona e da voci di corridoio sentite anche per puro caso per tentare di giungere a delle conclusioni le più generali possibili. Per esempio negli ultimi tempi sento sempre più spesso miei amici tedeschi manifestare, dopo la terza birra beninteso, insofferenza nei confronti del Cancellierato della Signora Merkel. Ora per chi segue un minimo la politica tedesca degli ultimi mesi, saprà meglio di me quanto sia probabile la riconferma di Angela al suo quarto mandato alla guida della Fortezza Germania. L’aggettivo probabile altro non è che un generoso eufemismo, visto che il candidato socialista Schulz, che secondo alcuni sondaggi usciti qualche settimana dopo la sua candidatura a sorpresa sembravano dargli margini di vittoria, sembra che ora non abbia alcuna chance di insidiare Mutti.

Capirete perciò la mia sorpresa nel sentire critiche così aspre da parte di buoni padri di famiglia (in verità questi miei amici non hanno né figli né sono sposati ma concedetemi un minimo di licenza poetica) verso la politica governativa degli ultimi anni. Ma quali sarebbero nello specifico le critiche rivolte? Essenzialmente due: quella di aver fatto entrare un milione circa di musulmani siriani nell’estate del 2015 e quella di aver posto le basi del futuro crollo del sistema sociale tedesco. Il lettore si chiederà dove si situa la connessione tra questi due punti all’apparenza così lontani ma il ragionamento dei miei interlocutori è che l’accoglienza dei cosiddetti profughi siriani durante la situazione d’emergenza del 2015, oltre a garantire una tenuta dei salari bassi per vaste categorie lavorative, è anche un perfido cavallo di Troia che porterà in tempi non così lunghi all’Abschaffung, ossia allo smantellamento, del sistema di protezione sociale tedesco. Questo per un semplice motivo: nonostante la Germania sia uno dei paesi al mondo, assieme probabilmente alla Cina, con uno dei più ampi surplus commerciali, i costi necessari per garantire un’abitazione decente, un corso di tedesco, un accesso obbligatorio all’asilo e alla scuola per i figli dei profughi non possono essere sostenibili nemmeno in un paese così solido come il suddetto. Le radici di questo pessimismo non sono in verità così ardue da rintracciare: la maggior parte dei migranti siriani al momento del loro arrivo qui non parlavano una singola parola di tedesco, ragion per cui da parte del governo si è fin da subito dovuto tener conto della necessità di investire risorse per garantire almeno un anno (come minimo se non di più) di corsi linguistici intensivi affinché parlassero un livello accettabile di tedesco tale da comprendere ed eseguire gli ordini dei loro futuri capi. Non dimentichiamoci poi che non tutti i profughi, almeno cosiddetti tali, smaniano dalla voglia di entrare nel mercato del lavoro; in fondo il loro status di rifugiati politici non li obbliga a compiere quest’ulteriore passo. Già l’anno scorso era uscito un report della locale Confindustria che analizzava in maniera impietosa come solamente una manciata di migliaia di migranti siriani siano stati inseriti con successo nel mondo del lavoro, dopo che beninteso lo Stato aveva investito miliardi di Euro (leggi tasse dei contribuenti) per formarli. Questo insuccesso appare ancora più bruciante se si riflette su come il governo federale abbia pubblicizzato l’iniziativa di inserimento dei siriani attraverso una martellante campagna mediatica di video edulcoranti presenti ogni giorno sulla televisione pubblica e perfino su Youtube, nei quali giovani arabi con il casco giallo obbligatorio e sessantenni tedeschi con la barba sorridevano entusiasti di fronte alle telecamere per manifestare con gioia il turn over generazionale che tuttavia non ha ancora preso il volo. In verità questa scelta obbligata da parte del governo nel voler investire risorse nell’integrazione non avrebbe dovuto sorprendere le persone più disincantate dal dibattito sull’accoglienza cosiddetta umanitaria; in diversi articoli da me pubblicati l’anno scorso mostravo con dati alla mano trovati sul sito tedesco di statistica Statista.de come tutte le proiezioni dessero la popolazione tedesca in inesorabile invecchiamento da qui ai prossimi 30/40 anni. Ve ne sono di alcune più pessimiste che calcolano come entro il 2050 ben un tedesco su tre avrà più di 65 anni e quindi già ad un passo dalla pensione; non dovrebbe essere arduo fare 1 + 1 nel comprendere come il governo tedesco, a meno che non desideri rispolverare drastiche politiche di incremento della natalità risalenti al Cavaliere Mussolini e quindi indigeste alla popolazione cresciuta a pane ed anti a prescindere, si trovi costretto ad importare manodopera straniera a salari bassi che tuttavia non smania dalla voglia di lavorare.

Insomma senza entrare nello specifico di ogni singolo punto snocciolato dai miei amici tedeschi, il succo del discorso è che la scelta scellerata di far entrare (ad essere onesti non dal 2015 ma ben prima) milioni di migranti mediorientali ed africani sta lentamente facendo implodere il sistema sociale tedesco, per la gioia dei soliti noti che vorrebbero privatizzare anche qui uno dei pochi sistemi sociali al mondo che tutto sommato garantisce delle protezioni minime che in altri paesi non ci sono più o non ci sono mai state. Va da sé che a questa critica si assommano sempre da parte loro delle visioni non propriamente edulcoranti ed ottimistiche sul futuro della Germania e sulla convivenza tra i tedeschi e le minoranze etniche, turchi ed arabi in primis. A loro modo di vedere, la futura catastrofe risiede nell’avere concesso diritti sociali a persone che, come si direbbe a Napoli, non hanno fatto altro che chiannere e fottere. Stiamo parlando per esempio di giovani turchi giunti qui ufficialmente per lavorare o grazie ai ricongiungimenti familiari e che si sono finiti per ridurre a percepire i generosi sussidi sociali, l’oramai celeberrimo Hartz IV, magari lavorando contemporaneamente in nero in qualche ristorante o kebab. Aggiungo una nota di vita vissuta per quasi un anno a Neukölln: in questo quartiere multietnico così amato dagli hipster e dai giovani di sinistra, il numero di sale scommesse e ristoranti di vario tipo gestiti da arabi e turchi è salito negli ultimi anni in maniera vertiginosa. La crescita di questi nuovi locali, che compaiono ogni giorno come funghi, nasconde in verità un’ingente ripulitura del denaro sporco proveniente dalla vendita di droga nei vicini parchi urbani di Hasenheide e Görlitzer Park. Più volte la polizia, in verità più attraverso azioni spettacolari e simboliche che altro, ha tentato di stroncare questo traffico gestito dai clan libanesi e turchi e condotto nel dettaglio da centinaia di profughi africani ma ogni tentativo è risultato vano. Un metodo efficace per ripulire il denaro è quello di aprire un locale che venda, mettiamo, kebab e falafel a 1 o 2 Euro; per qualsiasi gestore di un simile locale sarebbe impossibile chiudere l’attività in attivo con dei prezzi così bassi ma in tal caso a fine giornata vengono emessi degli scontrini falsi che testimoniamo la fittizia vendita dei prodotti e che possano perciò giustificare l’afflusso di denaro. Ovviamente quello che sto dicendo non è niente di sorprendente né clamoroso ma evidentemente i gestori, spesso semplici prestanome, hanno dei santi in paradiso e nessuno si sognerebbe di chiudere questi locali proprio in un momento come quello odierno, nel quale il sempre degradato quartiere di Neukölln sta conoscendo una rinascita. Molto spesso quegli stessi giovani percettori di sussidi sociali per loro e per i loro familiari, anch‘essi ovviamente disoccupati, lavorano in nero in questi baretti oppure si occupano loro stessi del traffico di droga del quartiere; spesso inoltre sono profughi appena arrivati che non sanno una singola parola di tedesco ma che vengono messi per qualche settimana dietro il bancone in modo tale che possano lavorare un periodo minimo sufficiente per percepire il sussidio da parte del Job Center. Anche in questo caso non ci sarebbe da stupirsi che il tedesco medio, forte dell’anonimato sociale garantito dai fumi delle trattorie e da quelli dell’alcool, non manifesti un grande entusiasmo nel pagare le tasse a stranieri che non hanno nessuna intenzione di integrarsi e che alla lunga guadagnano più di loro.

Il lettore deve inoltre tenere conto che in Germania per ogni figlio lo Stato concede una somma significativa, intorno ai 200 Euro se non mi sbaglio ma dovrei verificare, senza contare che per i disoccupati l’assicurazione sanitaria, l’affitto e buona parte delle spese abitative e perfino l’abbonamento della televisione (molto più caro rispetto all’Italia) vengono coperte dal Job Center. Di fronte a questa generosità da parte della Germania, che quindi non fa distinzioni tra i propri cittadini e gli stranieri, si è assistito tuttavia ad una tendenza da parte di ben determinate comunità etniche, oggetto della critica di molti tedeschi come appunto i miei amici, che si sono rifugiate nei ghetti urbani rifiutandosi di parlare un tedesco accettabile e coltivando ancora le proprie tradizioni culturali sempre più sbiadite. Se volessimo tradurre in termini politici questa emarginazione voluta da parte di alcune comunità, basti pensare che al recente referendum sulla riforma della Costituzione turca, in verità vero e proprio plebiscito pro o contro Erdogan, qualcosa come il 75% dei turchi residenti in Germania ha manifestato il proprio assenso alle politiche del Presidente mentre perfino nella stessa Turchia Erdogan ha vinto con un margine striminzito. Posso perciò ben comprendere l’insofferenza di buona parte della popolazione tedesca rispetto ad un sistema all’apparenza così irrazionale ma d’altra parte mi diverte anche pensare come tutto il castello di carta mediatico costruito sulla lotta ai razzismi e ai nazismi di ritorno e condito da un’ondata di politicamente corretto stia crollando rispetto alla realtà dei fatti. Già l’anno scorso avevo avuto modo di riflettere sulla spontaneità o meno di quell’ondata di solidarietà nei confronti dei poveri profughi appena sbarcati nelle stazioni delle maggiori città tedesche, soprattutto nel sud del paese. In concreto mi era subito salita la puzza al naso nel vedere normali borghesi con nonne e ragazzine con ancora l’apparecchio ai denti accogliere con cartelloni multicolori, grida di giubilo e perfino qualche lacrima di convenienza questi omoni, che loro stessi sembravano i primi ad essere sorpresi da questa accoglienza sfrenata. Già in un articolo scritto quasi un anno fa, facevo notare che le prime volte che avevo tentato di stringere la mano ad un tedesco in segno di lealtà o rispetto, avevo sempre ricevuto reazioni di sconcerto ed imbarazzo; figuriamoci poi la quantità di abbracci da me ricevuti in questi ultimi quattro anni! Cosa voglio dire con questo mio discorso, all’apparenza sconclusionato? Quello che ritengo, e qua mi ricollego alle critiche dei miei amici tedeschi nei confronti della Merkel, è che sotto una patina di politicamente corretto che ammorba i discorsi e le menti, in verità anche in Germania sta prendendo forza un fiume carsico di frustrazioni ed intolleranze reciproche che temo esonderà soprattutto se la signora Kasner vincerà con ampio margine le prossime elezioni.

Nonostante non fossi ancora nato, questi discorsi in presa diretta in oscuri e soffusi bar di periferia hanno condotto la mia mente alle olimpiadi invernali di Sarajevo ’84. I più anziani (che io invidio sempre di più) e con la memoria accuratamente accompagnata da un’analisi politica scevra da ideologismi si ricorderanno di sicuro come quell’importante evento fosse stato anche una formidabile vetrina per il regime jugoslavo, da quattro anni orfano del maresciallo Tito, per mostrare al resto del mondo la convivenza pacifica delle decine di etnie presenti al proprio interno. Nemmeno dieci anni dopo ed in quella stessa città che aveva celebrato la pace e l’amore socialisti i bambini che all’epoca avevano formato la spettacolare coreografia degli stadi e che nel frattempo erano diventati all’improvviso adulti avrebbero sparato ai loro ex compagni dalle colline situate lì intorno. Sto ovviamente esagerando: nessuna persona sana di mente può nemmeno con la fantasia più sfrenata immaginare che da qui a qualche anno ci possano essere degli scontri tra le vie di Neukölln tra estremisti islamici ed ultras nazisti. Figuriamoci poi se nel cuore della civile Europa si possano verificare le medesime condizioni che avevano portato la guerra civile nel Libano. Aggiungo solo che un altro mio amico triestino, di cui non posso fare il nome nemmeno sotto tortura, aveva osservato in prima persona come nella Sarajevo non ancora islamizzata di inizio guerra i caffè ed i bar fossero affollati di giovani serbi, croati e musulmani che passavano tranquilli e spensierati i pomeriggi e che se qualcuno avesse fatto notare che la meravigliosa Biblioteca sarebbe stato un facilissimo bersaglio per un mortaio proveniente dalla collina situata di fronte, lo avrebbero preso per matto. Nemmeno nei primi mesi di guerra la gente avrebbe potuto immaginare che un evento all’apparenza così lontano avrebbe potuto sconvolgere le loro esistenze e spezzato la tranquillità del centro cittadino e difatti avevano continuato a vivere come se niente stesse avvenendo. In fondo non avevano sempre giocato assieme a scacchi di fronte alla Chiesa ortodossa o bevuto il caffè turco nella città vecchia della Baščaršija? Ora invece viviamo in tempi moderni: le biblioteche non sono più piene come una volta e i giovani preferiscono leggere tutto dal digitale, quindi ci siamo già portati avanti con il lavoro, mentre a Neukölln i bar e locali per hipster e stranieri sono più fiorenti che mai.

Quello che è certo è che discorsi di questo tipo nella Germania della Merkel, la quale secondo un editoriale di un importante quotidiano americano di diversi mesi fa sarebbe stata l’ultima difesa per l’ordine occidentale, sono molto difficili da udire in un luogo di lavoro o in spazi pubblici dove i testimoni sono tanti. Il timore di passare seduta stante e per l’eternità nella categoria infernale dei “nazi” impedisce alle persone di manifestare le proprie idee, creando le condizioni perfette per una pentola a pressione che rischia di scoppiare. Le prime avvisaglie si stanno già verificando ad est del paese, vero e proprio tallone d’Achille della classe politica che ha governato questo paese da 28 anni a questa parte. Ricordiamo ancora una volta come le maggiori percentuali di consenso all’AFD si sono registrate non già in quelle regioni a maggior presenza straniera, bensì in quei länder orientali facenti una volta parte della DDR e che conoscono tuttora maggiori tassi di disoccupazione e di povertà rispetto alla media del paese.

Apro l’ennesima parentesi: per chiunque viva in Germania da un tempo accettabile e che non sia sordo o cieco, non sarà sfuggito che ciclicamente l’opinione pubblica viene accuratamente tirata a molla contro il perfido nemico di turno che rischierebbe di insidiare il german way of life basato su democrazia e ricchezza per tutti. C’era stato un periodo, che aveva raggiunto il culmine con l’intervento russo in Siria, nel quale non passava giorno senza che i media all’unisono scrivessero degli articoli infuocati contro la Russia di Putin. Leggendo quegli articoli, che statene certi ritorneranno, si aveva l’impressione che da un giorno all’altro Putin potesse invadere i paesi baltici, la Polonia e l’Ucraina occidentale per portare a termine i suoi piani di grandezza neo imperiale. La medesima ondata di russofobia si era già verificata ovviamente all’indomani dell’annessione della Crimea nel 2014 e del successivo abbattimento di un aereo della Malaysia Airlines nei cieli del Donbass, le cui cause e responsabilità non sono mai state completamente chiarite. In entrambi i casi la maggioranza dell’opinione pubblica tedesca, come storicamente accade in questo paese a causa della forma mentis dei suoi cittadini, ha accettato senza battere ciglio e senza farsi troppe domande la linea governativa. Ancora oggi basta chiedere ad un tedesco della strada cosa pensi della Russia per avere una risposta molto più eloquente rispetto alle mie righe ridondanti. Ultimamente invece della Russia e del suo malvagio dittatore (né tanto meno della Siria) non si parla anzi non si scrive quasi più nulla, mentre il public enemy number 1 è senza dubbio Erdogan. Stiamo parlando dello stesso massimo rappresentante di quel paese a cui l’Unione Europea versa ogni anno 3 miliardi di Euro per evitare che inondi le frontiere bulgare e greche di milioni di profughi. Di per sé l’idea di criticare, anzi di offendere, un Presidente che al tempo stesso ti ricatta ogni giorno non sembra un’idea geniale ma anche questa volta il conformismo mentale, vera e propria piaga di questo paese come la storia ci insegna, sta prendendo il sopravvento. Aizzati da una stampa che non perde tempo nel denunciare arresti e fermi amministrativi, episodi normali che accadono in qualunque aeroporto del mondo, di poveri cittadini tedeschi, i vacanzieri teutonici hanno deciso di disertare in massa la Turchia come meta delle proprie vacanze prediligendo la già stremata Maiorca, i cui cittadini hanno tra le varie cose protestato contro l’invasione dei turisti. Uno o due anni fa la Turchia era un paese più democratico e libero rispetto ad oggi? Qualche anno fa i dissidenti ed i giornalisti non andavano in carcere? Direi proprio di no ma il Führerprinzip ha ora ordinato che la Turchia è un nostro nemico mentre con i sauditi si può fare affari, altrimenti come facciamo a guidare le nostre Mercedes o BMW? E giù tutti ad obbedire alle direttive. Ho parlato brevemente di Turchia e Russia ma avrei potuto riproporre il medesimo ragionamento per altri stati canaglia a seconda delle convenienze, come la Polonia e l’Ungheria e perfino il Regno Unito della Brexit. Se vogliamo usare una metafora per definire l’opinione pubblica tedesca, potremmo paragonare quest’ultima ad un orologio mentre le lancette che si muovono inesorabili potrebbero essere i media locali. I 12 numeri che rappresentano le ore potrebbero invece riferirsi ad ogni singolo paese “cattivo” che di volta in volta viene fatto oggetto delle critiche feroci da parte della stampa; per esempio quando la lancetta arriva al numero 2 è giunta l’ora di criticare la Russia di Putin, mentre poi quando si arriva al 3 allora è il momento giusto per ricordare come Trump stia distruggendo l’America e l’Occidente e così via via con i numeri successivi, che potrebbero rappresentare la Polonia dei clericali che rifiutano vergognosamente di accogliere i profughi, l’Ungheria del perfido Orban, la Turchia del fascista Erdogan e anche noi italiani sempre mafiosi ed incompetenti. La mia sensazione è che si tratti di un meccanismo ciclico che ha lo scopo, come anche accennato all’inizio, di caricare a molla l’opinione pubblica contro il nemico di turno per scaricare e deviare le tensioni interne. In fondo non penso di esagerare quando dico che la Germania può essere definita come una fortezza assediata che si sta difendendo contro nemici esterni, immaginari spesso o a volte reali che loro stessi hanno contribuito a creare con le loro politiche. Basti riflettere per esempio ancora una volta sulla politica unilaterale di accoglienza del governo Merkel, che non ha pensato neanche per un attimo a consultarsi con gli altri paesi. Con il tipico decisionismo tedesco permeato da successivo dilettantismo, si è pensato di risolvere un problema complesso senza prevedere invece che questo unilateralismo avrebbe posto le basi per ulteriori “problemi” politici come la Brexit, l’avvento di un Trump e la chiusura a riccio dei paesi europei dell’Est nel cosiddetto Club di Visegrad.

Vi sono alcuni miei amici e conoscenti che ritengono la Germania un paese apoliticizzato e fanno ricondurre a questa apatia e disinteresse nei confronti della politica una delle cause della decadenza di questo paese. Io invece ritengo che la politicizzazione c’è ma è permeata da una costante ed acritica accettazione dell’autorità. Già il troppo spesso dimenticato scrittore e giornalista Curzio Malaparte nel libro Kaputt raccontava di un alto ufficiale della Wehrmacht, temuto e rispettato dai soldati per la sua autorità, che durante un improvviso attacco dei russi sul fronte orientale aveva tentato di dare ordini alla truppa senza che però nessuno lo calcolasse; sembrava che fosse invisibile agli occhi dei suoi soldati che un’ora prima ne erano terrorizzati e che ora invece lo ignoravano imperterriti. Motivo dell’incredibile rifiuto ad eseguire i suoi ordini? Durante l’attacco a sorpresa non si capisce bene come ma il comandante pluridecorato si era ritrovato mezzo nudo e quindi senza la sua divisa addosso. Si sa che la divisa e la forma in Germania sono tutto e pertanto in quei decisivi attimi senza l’uniforme il generale non rappresentava più l’autorità bensì una persona privata e quindi insignificante all’interno della catena di comando. Nella Germania di oggi il principio di obbedienza è ancora più vivo che mai e non verrebbe mai in mente ad un bravo cittadino di mettere pubblicamente in discussione l’autorità e le sue direttive. Conseguenza di ciò è che nelle occasioni ufficiali, come possono essere anche le giornate di lavoro, le critiche vengono tenute per sé e non vengono esposte per timore di conseguenze. Può un sistema di questo tipo durare? Ai posteri l’ardua sentenza, come si dice in circostanze del genere, anche se non dimentichiamo che il principio di recepimento delle direttive provenienti dall’alto non è un qualcosa di nuovo nella storia recente di questo paese. La stessa presa di coscienza dei crimini nazisti all’indomani della fine della guerra fu, a ben vedere, un processo politico calato dall’alto e non invece un dramma vissuto nelle coscienze delle persone (con le dovute e ammirevoli eccezioni, per carità) in maniera autonoma. Nelle zone occidentali occupate dagli alleati, quest’ultimi avevano inaugurato il cosiddetto processo di denazificazione che consisteva, anche attraverso la visione obbligatoria nei cinema di filmati di propaganda americana sui crimini nazisti, nell’eliminare le tracce del recente passato e di far prendere coscienza alla popolazione dei crimini del regime. Ebbene col senno di poi, a parte qualche sparuta minoranza, nessuno oggi in Germania osa dichiarsi nostalgico del passato ed anzi il termine “nazi” assume ancora oggi una connotazione dispregiativa che può stroncare la carriera e la vita privata di qualunque persona. Tuttavia quello che mi rende scettico, e qui mi ricollego alla solidarietà scatenata a comando durante la crisi dei profughi di due anni fa, è che non mi sembra che vi sia una vera e soprattutto spontanea presa di posizione da parte della popolazione in merito a temi politici delicati. Ho la netta sensazione che il fatto di recepire in maniera acritica le direttive calate dall’alto da parte del potere di turno sia un modo per rinunciare alle proprie responsabilità e di fare i conti con la propria coscienza. Non sarà un caso che lo stesso tema dei profughi è letteralmente scomparso dal dibattito politico delle elezioni, senza che la cosa suscitasse reazioni di un certo livello. Nella vita di tutti i giorni sento al lavoro, sulla metro od anche solo leggendo i giornali questo costante ripetere collettivo di quanto “siamo anti – nazisti, anti – razzisti, tolleranti, etc…” Ma non è questo in fondo un modo di auto-convincersi che non siamo quello che in verità i nostri sensi più nascosti percepiscono? Se una persona non ha veramente pregiudizi nei confronti di individui di altre razze o religioni, che bisogno ha di ripetere ogni cinque minuti che non è razzista? Una persona equilibrata non ne avrebbe infatti bisogno. Per questo e per altri motivi ritengo che la vera piaga che minaccia la Germania è il conformismo mentale ed il culto del Führerprinzip che permea ancora l’opinione pubblica, che messa di fronte a questi fatti smentisce rabbiosa oppure, come è successo appunto con i miei amici, preferisce esprimersi nel privato e nell‘anonimato dei bar al lontano da sguardi indiscreti.

Inoltre per concludere questa mia prima disamina sulla Germania alla vigilia delle elezioni, è altresì divertente notare come un paese che sempre più spesso celebra sé stesso come uno degli ultimi bastioni del pluralismo e della democrazia nel mondo, sia in verità sempre stato governato da due partiti. Nella storia moderna tedesca, infatti, si sono sempre alternati al potere i democristiani della CDU e i socialisti della SPD, con l’aggiunta di lunghi periodi compreso il presente nei quali hanno governato assieme all’interno della cosiddetta Grosse Koalition. Sì certo vi sono stati anche casi di governi che si sono sorretti grazie alla coalizione con partiti minori come i verdi e i liberali ma la vera costante della politica tedesca è questo monolite monopolizzato dai due partiti maggiori, un po’ come succede in America con i repubblicani ed i democratici. Nemmeno la tanto deprecata Prima Repubblica italiana ad egemonia democristiana aveva conosciuto una rigidità così impenetrabile. Inoltre un’altra caratteristica che dovrebbe perlomeno gettare un’ombra sulla tanto decantata democrazia tedesca è la presenza, anche in questo caso ciclica, di leader che dominano la scena politica per almeno dieci anni ininterrotti se non di più. In Germania vengono spesso criticate le autocrazie orientali egemonizzate da leader come Putin ed Erdogan, che da anni dominano la scena dei loro paesi, ma ci si dimentica di accennare alla Merkel che dal 2005 governa senza interruzioni e senza valide alternative la prima economia d’Europa. Inoltre se dovesse vincere le elezioni il prossimo mese e rimanere in sella fino al 2021, il suo governo sarebbe uno dei più longevi della storia tedesca: 16 anni, ossia gli stessi di Putin al potere in Russia dal ’99. Anche in questo caso la presenza di leader che dominano la scena politica tedesca non è una caratteristica nuova bensì un processo ciclico (sempre là si ritorna) che a ben vedere impregna da sempre la mentalità di questo popolo. Prima della Merkel il governo era stato appannaggio del socialista Schroeder che per 8 anni aveva tenuto le redini della Germania e dato un contributo fondamentale a smantellare lo stato sociale con le riforme Hartz. Prima di lui come dimenticare la presidenza di 16 anni del cancelliere democristiano Kohl caratterizzata dalla riunificazione del paese e prima di lui Brandt, gli 8 anni di Schmidt, prima di loro i 14 anni di Adenauer e prima ancora di lui i 13 anni di…vabbé la conoscete la storia. Per farla breve, anche il mito del pluralismo in Germania e dell’alternanza al potere di forze veramente contrapposte dovrebbe rimanere come tale in considerazione della comparsa appunto di figure forti e accuratamente pre-selezionate dalle elité economiche ed industriali, al pari di quanto avviene nelle tanto deprecate autocrazie orientali, le quali governano senza una vera opposizione da parte della popolazione.

Per ora il primo tassello è concluso e mi fermo qui. Il tempo di criticare la Germania partendo da esperienze empiriche, se vogliamo definirle così, è appena iniziato. Come promesso all’inizio, vi svelo infine il significato del termine congiunto Kanakken – Bubez. Il primo è una parola tedesca che dagli anni ’70 designa in maniera dispregiativa i lavoratori turchi – i cosiddetti Gastarbeiter – che per primi erano giunti nel paese per lavorare nelle fabbriche. L’origine etimologica del termine vero e proprio Kanakken mi è purtroppo ignota e dovreste chiederlo ad un abile semiologo, quale io non sono. Per quanto riguarda invece il termine Bubez, esso altro non è che un simpatico modo tutto triestino di definire lo schiavetto di turno che si spacca la schiena al lavoro per conto di un padrone che invece si arricchisce senza pietà. Un giorno una persona a Trieste mi rivelò che il termine di per sé ha origini germaniche.

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