Cosa rischia veramente la Germania (e noi) 3/3

GladioIn questa terza ed ultima parte dell’articolo a puntate “Cosa rischia veramente la Germania (e noi)”, iniziato già a fine settembre, vorrei giocare un po’ con la fantasia ed immaginare quali potrebbero essere le conseguenze politiche di un attentato terroristico di stampo islamista in Germania e di come i diversi attori gepolitici interni ed internazionali potrebbero reagire alla situazione di caos generalizzato e di panico collettivo che si verrebbe a creare in Europa. Vorrei descrivere tutti i possibili scenari, stilando una lista di attori politici con all’interno la descrizione delle loro possibili reazioni e delle conseguenze pratiche degli attentati sulle loro future carriere politiche:

  • La Signora Merkel

Non occorre essere dei fini esperti di politica tedesca per immaginare come lo scoppio della bomba significherebbe seduta stante il de prufundis per la quarta elezione della Signora Merkel alla Cancelleria e la fine definitiva della sua carriera politica, per molti politologi già compromessa dalle sempre più diffuse critiche alla sua gestione della crisi dei profughi siriani. Faccio notare come la stella dell’Angela nazionale sia iniziata a calare ogniqualvolta si siano registrati atti di violenza da parte dei profughi siriani e più in generale crimini compiuti da migranti di religione islamica. Per i più smemorati vorrei inoltre far ricordare che prima delle ben note marocchinate verificatisi la notte di San Silvestro soprattutto a Colonia ma anche in altre città tedesche, consistenti cioè in diffuse molestie sessuali da parte di profughi siriani e cittadini tedeschi d’origine araba nei confronti di donne tedesche, l’opinione pubblica era fino a quel momento a stragrande maggioranza favorevole alla politica di porte aperte della Merkel verso i rifugiati siriani. Nonostante i liberissimi media tedeschi (ohi ragazzi, mica siamo nella Russia di Putin!) per diversi giorni dopo Capodanno non abbiano voluto riportare alcuna notizia dei fatti di Colonia, l’estrema gravità e la diffusione dei crimini sessuali perpetuati dagli stranieri non potevano rimanere nascosti a lungo. Con evidente imbarazzo la Merkel ha tentato di stilare una distinzione tra la maggioranza dei profughi pacifici e ben volenterosi di integrarsi e la minoranza violenta ma purtroppo per lei la frittata mediatica si era già compiuta: da quel momento in poi il consenso verso la politica dell’accoglienza e verso la stessa figura politica della Merkel è sceso in maniera lenta ma inesorabile.

Gli ulteriori attacchi compiuti quest’estate da elementi singoli, con nessun legame con l’Isis ma fatti ricondurre in maniera alquanto discutibile all’interno dell’immaginario collettivo al mondo islamico, non hanno fatto altro che erodere ancora di più i già flebili consensi per la politica della Merkel. Conseguenze tangibili di codesta crisi di consensi sono state le due scoppole elettorali subite dalla CDU a Berlino e nel Land del Meclemburgo-Pomerania, dove i cosiddetti populisti dell’AFD hanno superato il partito CDU della Cancelliera, cosa inaudita ed impensabile fino a qualche mese fa. E aggiungo io che la crescita del dissenso verso la Merkel e le sue politiche è cresciuto costantemente e senza ostacoli, nonostante la continua criminalizzazione, accompagnata dallo stantio e melenso slogan del politicamente corretto, nei confronti di qualunque voce critica della politica migratoria aperta sotto le categorie dello spirito del “neofascismo, razzismo, xenofobia e nazismo di ritorno” portata avanti senza sosta da tutti i maggiori media. Nell’opinione comunque di chi vi scrive, una bomba islamica a Berlino, Monaco od Amburgo determinerebbe seduta stante la fine della carriera politica della Signora Merkel dal momento che si concentrerebbe contro di lei una tale rabbia popolare impossibile da contenere con metodi democratici, oltreché una rivolta interna dell’ala più conservatrice della CDU pronta eventualmente a silurare la Cancelliera nel caso estremo in cui ella non volesse dimettersi (un po’ com’era successo in UK con la Thatcher nel ’91 per intenderci). Ci tengo comunque a precisare che sarebbe ingeneroso dare la “colpa” dell’intera situazione alla Merkel primo perché nell’estate 2015 pressoché l’intero Parlamento tedesco si era schierato a favore della politica d’accoglienza dei profughi provenienti dalla Siria, e con esso la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, e poi perché in secondo luogo a compiere gli attentati potrebbero essere anche dei giovani sbandati e con disturbi psichici più o meno gravi, i quali tuttavia sarebbero nati e cresciuti in Germania e non avrebbero perciò nulla a che vedere con la recente ondata migratoria proveniente dalla Siria. Tuttavia in situazioni di grave crisi nella tenuta del sistema è prassi comune individuare un unico capro espiatorio a cui dare la colpa di tutto, in questo caso la Merkel appunto, senza voler indagare su responsabilità diffuse e ragioni ben più complesse per il timore di passare sul banco degli imputati.

  • La CDU e il suo partito gemello bavarese della CSU

Riprendendo di balzo ciò che ho appena scritto sopra, l’attentato terroristico islamista nel cuore della Germania scatenerebbe una rivolta interna dell’ala più conservatrice della CDU che vedrebbe la strage di centinaia di cittadini inermi come la classica goccia che fa traboccare un vaso ricolmo da mesi di costanti critiche nei confronti del capo partito Merkel per la sua gestione della questione profughi e della sicurezza interna. Angela si dimetterebbe o verrebbe congedata con disonore dal suo stesso partito (a lei la scelta) anche per impedire che i bad boys dell’AFD possano prendere definitivamente il largo nei sondaggi ed arrivare al secondo posto in termini di preferenza dopo la CDU, cosa che fino a qualche mese fa sarebbe stata considerata motivo sufficiente per internare in manicomio chi l’avesse enunciata. Mi sono incredibilmente dimenticato di dirvi la cosa più importante: ad autunno del prossimo anno la Germania va a votare ed è logico che la posta in palio sia altissima. Vietato sbagliare dunque.

Con un estremismo di destra che avanza inesorabile, l’ala più conservatrice, liquidata finalmente la Merkel, potrà adottare una campagna elettorale scevra dal politicamente corretto figlio degli ultimi tempi: via libera pertanto ad uno stato di emergenza permanente, analogo a quello adottato da Hollande dopo la strage di Charlie Hebdo e tuttora in vigore, e soprattutto chiusura ermetica dei confini contro i migranti ed espulsione di massa (mossa meramente mediatica) per i richiedenti asilo politico che “commettono crimini, non rispettano i nostri valori, bla bla…”. Verrebbe quindi adottato lo slogan del capo del partito conservatore bavarese della CSU, Horst Seehofer, il quale aveva dichiarato un po’ di tempo fa che chi viene in Germania dovrebbe perlomeno rispettare le comuni radici cristiane, che non sono in vendita, scatenando anche in questo caso l’ira dei soliti organi di stampa progressisti che lo avevano accusato di essere un “islamofobo e razzista malcelato”. In tempi di “emergenza”, e soprattutto di paura autoindotta, i media tedeschi capiranno ben presto da che parte tira il vento ed abbandoneranno l’umanitarismo e l’amore universale per i profughi per approdare ai più comodi lidi della real politik. Anche perché, ma questo è un particolare sui cui non verrà fatta grande pubblicità, 1 milione e più di profughi siriani sono qua e ci resteranno (per i motivi legati al calo demografico in itinere già analizzati in articoli precedenti nda) senza contare i ricongiungimenti familiari che continueranno magari in qualche oscuro aeroporto di periferia immerso nella nebbia. Insomma per farla breve: l’attentato islamico segnerebbe in un colpo solo la fine politica della Signora Merkel e l’inizio di un nuovo corso più conservatore in fatto di immigrazione e più liberticida in tema di controllo dei cittadini e sicurezza pubblica per la CDU, la cui nuova dirigenza facendo la faccia cattiva spererà così di frenare l’emorragia verso l’AFD e di governare con il partito gemello della CSU della Baviera. Per quanto riguarda le scelte in politica estera, il clima di isteria collettiva derivante da possibili futuri attentati permetterà al nuovo governo di contribuire al raggiungimento di un accordo sul regime dei visti liberi tra la UE ed Erdogan, che permetterà in questo modo l’ingresso incontrollato di milioni di turchi o presunti tali in Europa. Spiegherò questo aspetto fondamentale nei prossimi due punti.

  • Erdogan e la Turchia

L’attentato rappresenterebbe una vera e propria manna dal cielo per Erdogan e, prima di essere internato in un ospedale psichiatrico, vorrei che mi fosse concesso il tempo di spiegare il perché. Un clima di terrore ed isteria collettiva a seguito degli attentati presso l’opinione pubblica europea, sempre più impaurita oltreché impoverita dalle perduranti difficoltà economiche, potrebbe essere sfruttato da Erdogan il quale, come già avevo spiegato in precedenza in altri articoli, potrebbe dichiararsi l’unico interlocutore politico in grado di frenare il flusso dei profughi verso l’Europa e la loro possibile infiltrazione da parte di gruppi terroristici islamici. Il suo ragionamento di fronte ai capi di governo europei, letteralmente terrorizzati all’idea di essere i prossimi a subire le bombe e a doversi perciò dimettere in seguito alla rabbia popolare, potrebbe essere quello di chi in cambio di alcune gentili concessioni potrebbe controllare e limitare il flusso dei profughi verso la Grecia e la Bulgaria. La domanda giustamente arriva spontanea ed è: Ma in cambio di quale concessioni?

La risposta sarebbe anch’essa spontanea e non farebbe altro che consistere in finanziamenti UE nell’ordine di miliardi di Euro per “coprire i costi di gestione e manutenzione delle strutture presenti in Turchia” e soprattutto, e qua Erdogan si gioca il tutto per tutto, un accordo sul regime di visti liberi per i turchi che volessero entrare in Europa. In verità non sto per nulla scoprendo l’acqua calda: da mesi ormai va in onda su tutti gli schermi l’eterno tira e molla tra la Commissione Europea (=leggi Germania) e la Turchia di Erdogan che ultimamente si è concretizzato in un accordo tra le parti che prevede da parte nostra (e relativi soldi anch’essi nostri) lo stanziamento di 6 miliardi di Euro alla Turchia per la copertura dei costi legati alla gestione delle strutture d’accoglienza per i profughi lì presenti, e da parte turca l’impegno di controllare e blindare i confini, oltre che quello di riprendersi i clandestini che nel frattempo erano entrati in Grecia illegalmente. Tuttavia, dopo aver già approvato lo stanziamento dei primi 3 miliardi alla Turchia, il nodo più spinoso resta la mancanza di un accordo sull‘ingresso libero, quindi senza la necessità di dover richiedere un visto d’entrata, per tutti quei i cittadini turchi che volessero entrare in Europa. Più volte il sincero democratico Erdogan (ma come cantava giustamente il grande Rino Gaetano, la democrazia…e chi ce l’ha?) ha minacciato testualmente di far entrare vagonate di pullman pieni di migranti in Grecia e Bulgaria qualora non si fosse giunti ad un accordo sui visti liberi per tutti, accordo che appunto tuttora manca.

Ad aggiungere ulteriore benzina sul fuoco è stata la recente mozione del Parlamento Europeo, la quale tuttavia non ha alcun valore giuridico oltre a non essere vincolante per la Commissione Europea, che richiede alla Commissione stessa di sospendere i negoziati per l’entrata della Turchia nella UE. Com’era prevedibile, la reazione di Erdogan non si è fatta attendere ed è consistita ancora una volta nel minacciare di aprire le frontiere comuni con la Grecia e la Bulgaria, concedendo così la possibilità a centinaia di migliaia di profughi di entrare in Europa. Molto probabilmente si tratta di una mera boutade atta ad ottenere maggior potere contrattuale in fase di negoziato ma in un particolare momento storico come quello che stiamo vivendo, nel quale i partiti xenofobi di destra sono dati in crescita un po’ ovunque, anche delle minacce a vuoto sono prese molto sul serio a Berlino, Parigi e Roma. Finora i negoziati sono andati comunque avanti e i maggiori paesi europei non hanno ceduto al ricatto lasciando così il negoziato in uno stallo perenne; tuttavia un attacco terroristico nel cuore del paese più ricco d’Europa potrebbe cambiare inaspettatamente le carte in tavola: un’Europa vile e spaventata correrebbe dalle sottane di zio Ecip pur di frenare “l’invasione” e dare almeno un osso all’opinione pubblica affamata di sicurezza. Se poi a compiere nel concreto la carneficina siano dei profughi siriani, come stando agli inquirenti tedeschi sarebbe potuto accadere diverse volte negli ultimi mesi, allora il piatto è servito bello che pronto tanto che il neo vizir potrebbe affermare in Eurovisione dopo la famosissima sigla le seguenti parole:

Fratelli europei, noi turchi siamo con voi nella sofferenza e ben comprendiamo il vostro stato d’animo. Io da rappresentante del popolo turco, so cosa significhi subire il terrorismo islamico….Solamente trovando delle sinergie comuni, potremo superare le sfide globali che ci attendono.”

Un secondo dopo che si saranno chiuse le quinte, Erdogan prenderà da parte Hollande, Renzi e la Merkel, o chi per loro, e sussurrerà loro che l’unico modo per frenare i terroristi che si nascondono tra il fiume di profughi che si dirigono verso i Balcani sarà quello di firmare un accordo con lui sul regime dei visti per i turchi dal momento che solo lui potrà garantire che non entrino ulteriori terroristi in Europa. A quel punto i volti abbagliati di una nuova speranza dei nostri illustri statisti anticiperanno di qualche secondo la ricerca delle penne stilografiche migliori per firmare i Patti Anatolensi. Se pensate che abbia bevuto una birra di troppo, allora vi rammento un altro particolare che non risale a secoli fa bensì all’anno scorso: nell’autunno del 2015, come tutti voi ben ricorderete, si erano tenute le elezioni presidenziali in Turchia. Al primo turno il nostro eroe senza macchia Erdogan, nonostante il suo partito avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti, non era riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta e si era perciò reso necessario andare a nuove elezioni da lì a qualche settimana. Da notare che il mancato successo plebiscitario di Erdogan fu dovuto anche all’inaspettata affermazione del partito filo-curdo dell’HPZ da sempre oppositore delle mire assolutistiche del neo vizir baffuto, che con grande sorpresa ottenne il 12% delle preferenze riuscendo così per la prima volta nella sua storia ad entrare in parlamento.

Ebbene durante la violentissima campagna elettorale che ne seguì, vi furono due gravi attentati kamikaze ad altrettanti comizi di simpatizzanti del movimento curdo nel quale morirono centinaia di giovani militanti e che vennero rivendicati immediatamente dall’Isis. Il clima di terrore che ne seguì permise ad Erdogan di proporsi ad una parte maggioritaria dell’opinione pubblica turca come l’uomo forte in grado di mantenere l’ordine, di combattere il terrorismo e di tenere unito il paese. Molte voci critiche si erano subito levate dopo l’attentato nel mettere in discussione l’effettiva paternità dell’Isis nelle stragi e addirittura per addurre complicità dei servizi segreti interni nella fornitura dell’esplosivo e della logistica; inoltre la prima strage avvenne in una località a maggioranza curda vicina al confine siriano e molti dissidenti non potevano capire come la ragazza kamikaze che compì la strage (sic) avesse potuto varcare il confine senza controlli. Fatto sta che, come spesso accade, queste solite voci complottistiche non potevano portare alcuna prova concreta a loro favore (la famosa “pistola fumante”) ed Erdogan ebbe gioco facile a reprimere la minoranza curda e i dissidenti, con la scusa dello stato d’emergenza. Conseguenza del clima di paura ed incertezza successivo alle stragi fu che Erdogan riuscì questa volta ad imporsi con una maggioranza assoluta di voti schiacciante e a diventare così Presidente della Repubblica, con le conseguenze che sono tuttora sotto gli occhi di tutti.

Perciò Erdogan ha più volte sfruttato a proprio favore le stragi terroristiche ed un eventuale clima di paura in Europa potrebbe essere un’occasione unica per lui per costringere un’Europa sempre più debole, divisa e terrorizzata a firmare il tanto agognato accordo di libero ingresso e circolazione per i turchi in Europa, paragonandoli de facto e de iure ai cittadini UE. Se non ora, quando? potrebbe essere il suo motto e, dal suo punto di vista, come dargli torto. Per chi ancora nutrisse dubbi sui reali rapporti tra il governo turco e i diversi movimenti radicali islamisti e gruppi terroristici presenti in Medio Oriente, vi consiglio di leggere il seguente articolo tratto dallo Spiegel:

http://www.spiegel.de/politik/deutschland/bundesregierung-wirft-tuerkei-terror-unterstuetzung-vor-a-1107915.html

In questo articolo viene riportato come quest’estate il governo federale tedesco abbia per la prima volta riconosciuto in maniera esplicita dei collegamenti diretti tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e organizzazioni terroristiche come Hamas e i Fratelli Musulmani. Secondo la valutazione del governo di Berlino, la collaborazione tra diverse organizzazioni islamiste e terroristiche in Medio Oriente sono da anni parte di una consapevole politica del governo di Ankara e sono state da Erdogan stesso appoggiate in maniera attiva.

Questa incredibile affermazione ufficiale del governo tedesco di fronte ad un’interrogazione parlamentare della sinistra non fa altro che scoprire l’acqua calda per chi da anni si informa su blog e siti di controinformazione alternativi nei quali i legami tra il governo di Erdogan e i gruppi terroristici operanti in Siria, tra cui ovviamente l’Isis, è un qualcosa di assodato e verso cui non ha senso stupirsi. Certo fa una certa impressione che perfino il rappresentante in quel momento del governo tedesco durante una pubblica seduta parlamentare, affermi chiaro e tondo che la Turchia (si legge nella dichiarazione):

…soprattutto come risultato della politica di islamizzazione interna ed esterna portata avanti dal 2011 dal governo di Erdogan, ha sviluppato una piattaforma d’azione centrale per i gruppi islamisti nelle regione circostante del Medioriente.”

Questa dichiarazione, che repetitiva forse iuvant è pubblica e non il frutto di qualche mente ottenebrata dal germe del complottismo, mette in chiaro risalto come politiche di appoggio al terrorismo islamico siano state seguite da Erdogan al chiaro scopo di rafforzare l’islamizzazione interna e di esportare quella esterna nei paesi confinanti. Personalmente mi chiedo se una simile politica di esportazione del radicalismo islamico e del sottobosco terroristico possa essere esportata anche in Germania, anche in considerazione della presenza di migliaia di “circoli culturali” turchi riconosciuti dallo stato federale e che gestiscono moschee, luoghi d’aggregazione giovanile, finanche scuole. Ad ogni modo la domanda che più stuzzica la mia fantasia è immaginare come abbiano reagito i vertici militari e politici statunitensi di fronte a tale improvvida dichiarazione. Non dimentichiamoci che la Turchia è un partner NATO fondamentale per gli USA e che di sicuro certa polvere è meglio tenerla sotto il tappeto e non tentare di spazzarla ai quattro venti, come hanno invece fatto i tedeschi. Speriamo che il messaggio sia giunto a chi di dovere a Berlino…

A chi è interessato a leggere un articolo in lingua italiana sull’appoggio del governo turco a gruppi terroristici islamici, segnalo il seguente articolo tratto dal sito Analisi Difesa:

http://www.analisidifesa.it/2016/08/berlino-la-turchia-base-di-estremisti-e-terroristi-islamici/

Nei precedenti articoli avevo poi riportato più volte una dichiarazione pubblica di Erdogan rilasciata ad Ankara nella quale egli affermava in maniera esplicita come il terrorismo potrebbe in futuro ritorcersi come un boomerang contro la Germania. Per chi comprende il tedesco, è possibile leggere l’articolo in questione qui di sotto (fonte die Zeit e non il Papersera):

http://www.zeit.de/politik/ausland/2016-11/recep-tayyip-erdogan-deutschland-terrorismus

Se poi, tornando al discorso iniziale, consideriamo che quella che fino al giorno prima delle bombe veniva considerata la “donna più potente ed influente del mondo”, e che si era comunque dimostrata recalcitrante ed indecisa nel firmare l’accordo sul visto libero per i turchi, è stata improvvisamente sbalzata via sull’onda della rabbia popolare montante, allora la partita sui visti turchi potrebbe realmente riaprirsi. Se inoltre a mettere le bombe fossero dei profughi, ovviamente con problemi psichici e impossibilitati nel rivelare i nomi dei mandanti perché si sono nel frattempo fatti saltare in aria, allora il gioco è quasi fatto. Il problema per noi europei è che un ingresso incontrollato di cittadini turchi nella UE farebbe lievitare le possibilità che vi siano tra di loro terroristi infiltrati, sancendo così l’assurdità e l’inutilità dell’accordo UE-Turchia stesso. Basti pensare a quanti terroristi arabi o anche europei (i cosiddetti foreign fighters) siano entrati in Siria con regolare passaporto turco negli ultimi anni per combattere contro il governo (legittimo fino a prova contraria) di Assad. Ma qua si rischia di correre troppo, ergo mi fermo qui.

  • L’Unione Europea

Prima di analizzare gli effetti di un attentato terroristico islamico in Germania sulle politiche degli altri paesi europei e più in generale sulla sempre più traballante struttura della UE, vorrei fare un breve punto della situazione odierna del Continente Europeo. Come tutti voi saprete, tra qualche ora si vota per il fantomatico referendum sulla riforma costituzionale del governo europeista di Renzi mentre, per chi lo ignorasse, questa domenica si vota anche in Austria per scegliere il futuro presidente della Repubblica d’oltralpe. In tal caso la sfida è tra il verde ed europeista (qualcuno dice anche massone) Van Bellen ed il populista ed euroscettico (i critici mormorano che sia un razzista) Hofer. Entrambe le consultazioni assumono un ruolo importante e, per alcuni analisti, perfino fondamentale per quanto concerne la tenuta dell’intero sistema politico dell’Unione Europea: se infatti a vincere in Italia fossero i NO, Renzi con tutta probabilità dovrebbe dimettersi e lasciare spazio all’ennesimo governo tecnico che traghetterebbe il nuovo paese a nuove elezioni con la possibilità non remota che a vincere siano i 5 Stelle, da sempre almeno a parole avversi a ‘questa Europa’, mentre anche la Lega Nord, che da parte sua ha sempre chiesto l’uscita dall’Euro anche se in passato aveva votato nel Parlamento Italiano tutte le leggi di ratifica dei Trattati Europei, acquisterebbe di sicuro maggior peso elettorale rispetto ad oggi.

Se poi dovesse vincere anche il cosiddetto populista Hofer in Austria, sarebbe l’ennesimo trionfo di un partito di destra contrario alle politiche migratorie sostenute dalla Merkel ed appoggiate dall’Europa. Questi scenari ampiamente negativi per l’establishment non sarebbero nulla in confronto a quanto potrebbe avvenire il prossimo anno con le elezioni in Francia ed Olanda; anche in questi due paesi i candidati anti – europeisti ed anti – immigrazione oltre che anti – Euro (almeno stando ai loro proclami elettorali) sono in questo momento in testa ai sondaggi ed una loro vittoria, in special modo quella della Le Pen alle presidenziali in Francia, potrebbe far cessare il breve esperimento della moneta unica Euro e forse anche della stessa Unione Europea. Senza contare che il prossimo autunno si vota in Germania e la Merkel, sebbene si sia candidata per la quarta volta e risulta gradita ancora da più del 50% dei tedeschi, è avversata alla sua destra dalla crescita del movimento cosiddetto populista dell’AFD. A questa incertezza ed instabilità politica interna che coinvolge i paesi fondatori della Comunità Economica dell’Acciaio e del Carbone che fu (CECA) e che dopo diversi mutamenti divenne l’Unione Europea, bisogna inoltre tentare di guardare metaforicamente dall’alto la cartina politica dell’Europa per avere un quadro più chiaro, e non meno drammatico, delle minacce geopolitiche che potrebbero minarne la sua stessa esistenza.

Esse possono essere raggruppate essenzialmente in quattro gruppi: la prima è data, per intenderci, dalla cosiddetta sfera anglofona od anglosassone, che dir si voglia, nella quale l’inaspettata vittoria di Trump negli USA potrebbe sancire il definitivo via libera alla Brexit dal momento che il neo eletto presidente ha sempre dichiarato in maniera esplicita ed in prima persona di voler appoggiare i britannici ‘secessionisti’, tanto che negli ultimi giorni ha addirittura dichiarato di veder bene l’ex capo degli anti – europeisti dell’UKIP Farage, il quale assieme a Boris Johnson è stato uno dei maggiori artefici della Brexit, come ambasciatore negli States. Di sicuro una Gran Bretagna ormai indipendente dalle direttive di Bruxelles e che guarda, anche e soprattutto economicamente alla sponda atlantica e forse anche alle sue ex colonie del Commonwealth, non farà altro che esacerbare le tensioni interne nella UE oltre che danneggiare e singole economie dei paesi membri, se pensiamo per citarne uno a caso come la Germania sia uno dei maggiori paesi esportatori (circa 90 mld) verso il Regno Unito. Qua vado veloce perché lo spazio é ristretto ma altri due fronti di tensione geopolitica per la UE si trovano ad est, ossia con la Turchia per i motivi legati ai negoziati già enucleati prima e soprattutto con la Russia. Quest’ultimo Stato con la vittoria di Trump, che almeno a parole ha sempre dichiarato la volontà di collaborare con Putin in chiave anti – Isis abbandonando così la precedente politica aggressiva di Obama, potrebbe vedere finalmente tolte le sanzioni economiche europee adottate all’indomani dell’abbattimento di un aereo di linea indonesiano avvenuto nella regione ucraina del Donbass, la cui responsabilità non è mai stata chiarita definitivamente ma che con tutta probabilità è riconducibile ai secessionisti filo russi lì operanti ed appoggiati da Mosca. Un’Unione Europea sempre più debole e divisa non farebbe altro che il gioco di Mosca che, anche grazie alla carta del ricatto energetico del gas, potrebbe rientrare nelle sue storiche zone di influenze nell’Europa orientale senza colpo subire né ferire. Infine l’ultimo fronte geopolitico caldo è quello che vede un Mediterraneo meridionale sempre più in preda a flussi migratori causati dai cambiamenti climatici e dalla desertificazione in atto in Africa che potrebbero raggiungere nei prossimi anni cifre nell’arco di milioni di unità, senza contare le sempre più croniche guerre civili in Libia, Tunisia e chissà forse anche Egitto.

Queste sono a grandi linee le sfide geopolitiche che l’Unione Europea dovrà affrontare a breve per sopravvivere. Il lettore ormai sa che frasi come ‘collasso imminente dell’Euro’ ed ‘Exit di vari paesi dall’Unione Europea’ sono ormai entrate nel gergo comune di ogni cittadino. Ma cosa c’entra tutto questo con la reazione ad un attentato terroristico? Può c’entrare nella misura in cui vi sia una risposta condivisa da parte degli esponenti governativi dei maggiori paesi membri i quali potrebbero approfittare della strage terroristica in primo luogo per saldare le fila di un’opinione pubblica europea sempre più terrorizzata ed insicura e poi per tentare di portare a compimento vecchi progetti come l’istituzione di un Esercito Comune Europeo, che non sono finora stati realizzati. Ovviamente non sto dicendo che un eventuale attacco terroristico potrebbe venire favorito, o addirittura organizzato, da chissà quali settori deviati dei servizi segreti. Quello che mi preme analizzare è quale sarebbe la reazione politica della maggiori Cancellerie europee; dal mio punto di vista si sentirebbero slogan del tipo “solo con un’Unione politica i governi europei possono affrontare l’emergenza (l’ennesima nda) del terrorismo”, “dobbiamo trovare l’orgoglio di essere tutti cittadini europei” oppure “nessuno stato europeo può farcela da solo. Per questo motivo ogni paese dovrà cedere ad una banca dati europei alcune informazioni sensibili concernenti cittadini sospetti” o ancora “E’ urgente la formazione di un esercito comune europeo in grado di operare ed intervenire entro poche ore in qualunque paese europeo”, fino ad arrivare all’apocalittico “Dobbiamo salvare l’Unione Europea altrimenti i terroristi islamici, oltre ad ucciderci in massa, distruggeranno la nostra civiltà occidentale e le nostre libertà…e via discorrendo”.

Se pensiate che io stia esagerando, vi consiglio di leggere un editoriale di Giuseppe Chiellino sul Sole 24 Ore il quale all’indomani della strage al Bataclan del 13 novembre 2015 aveva affermato testualmente che:

Dopo gli attentati di venerdì 13 novembre a Parigi torna di estrema attualità un dossier che l’Europa aveva riaperto proprio all’indomani degli attentati di gennaio, sempre nelle capitale francese, contro Charlie Hebdo e un supermercato. E’ la costituzione di un esercito europeo, un obiettivo di cui si è parlato per la prima volta nel 1950 ma poi rimasto fermo durante la guerra fredda. La forte instabilità geopolitica nel Mediterraneo e in Medio Oriente, dalla Libia alla Siria, Paesi sostanzialmente falliti e nelle mani di gruppi terroristici come l’Isis, in grado anche di colpire nel cuore delle capitali europee, impone all’Europa di dotarsi di una capacità di difesa comune, con un passo deciso verso l’integrazione delle forze armate in grado di attivarsi con rapidità in tutti i paesi dell’Unione, per costituire gradualmente, dopo la moneta unica, anche l’esercito unico europeo.

Ho voluto segnalare in grassetto i termini che mi sembravano più indicativi per rimarcare la connessione tra l’emergenza legata agli attentati terroristici e la necessità espressa dall’autore dell’articolo di procedere con l’istituzione di un esercito comune europeo. Per chi è interessato, può leggere l’articolo intero qui sotto:

http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2015-11-14/perche-serve-esercito-unico-europeo-014255.shtml?uuid=ACp1dtZB

Durante un’interessante intervista rilasciata sull’Unità, un certo politico PD di nome David Sassoli, il quale dal meritocratico ruolo di vice direttore del TG 1 sotto Gianni Riotta è passato in maniera inaspettata a ricoprire il ruolo di vice presidente del Parlamento Europeo, ci spiega con poche e chiare parole come l’istituzione di un esercito comune europeo potrebbe avere il vantaggio di ridurre e razionalizzare i costi per le spese militari, che ora sono divise tra i diversi 28 stati e che un domani potrebbero essere raggruppate, oltre che un forte deterrente (non ha specificato verso chi) e uno strumento politico fondamentale (l’ex giornalista non ha specificato per raggiungere quali obiettivi). Per i nostalgici del giornale di Gramsci che fu, ecco l’intervista completa:

http://www.unita.tv/interviste/ecco-cosa-sta-facendo-leuropa-per-la-francia-parla-david-sassoli/

Ci ha pensato poi il Primo Ministro francese Valls a rincarare la dose, dichiarando che per combattere la minaccia terroristica è necessario anche costruire un esercito europeo, con forze in grado di essere mobilitate immediatamente e con una totale autonomia strategica. Il premier socialista ha aggiunto che, per raggiungere questo ambizioso obiettivo, è stato altresì costituito un fondo europeo dedicato alla difesa e alla sicurezza al quale ogni paese dovrà contribuire con una propria quota pari al 2% del Pil. Nel suo discorso, che è stato riportato anche da alcuni organi di stampa italiani come Repubblica, Valls conclude dicendo ciò che io povero comune aspirante blogger avevo scritto sopra, ossia che il sistema di informazioni su cittadini ‘ovviamente’ sospetti deve essere implementato tramite il “Sistema di informazione Schengen” per permettere il controllo degli spostamenti degli individui radicalizzati. Questa dichiarazione dimostra come la volontà di creare un esercito comune europeo in grado di essere mobilitato immediatamente e con una totale autonomia strategia (sue testuali parole nda) e di un sistema di scambi di dati privati e di informazioni ad esse connesse non è il frutto di qualche mente ottenebrata da deliri complottistici, bensì una chiara volontà politica espressa in dichiarazioni pubbliche dei soggetti politici in questione.

Il desiderio non velato è quello di rispondere all’emergenza dei barbuti e cattivissimi islamici, con le conseguenti scene di isteria e panico da parte della popolazione, con l’istituzione di un esercito formato presumibilmente dai corpi speciali e dalle élite militari dei singoli paesi che possa intervenire in qualunque luogo in poco tempo, chissà anche per sedare rivolte ed altri disordini sociali, e la creazione di un’enorme banca dati in grado di immagazzinare una mole indefinita di dati personali, compresi bizzarre abitudini sessuali per eventuali ricatti ed altri particolari imbarazzanti, di milioni di cittadini. Ecco la dichiarazione del premier francese Valls tradotta e riportata da Repubblica:

http://www.repubblica.it/esteri/2016/11/12/news/terrorismo_isis_esercito_europeo-151840345/

Aggiungo io che, sempre secondo le testuali e generiche parole di Valls, tale esercito dovrebbe avere una TOTALE (maiuscolo mio d’obbligo) autonomia strategica. Cosa intende dire il premier francese con questo particolare? Avrebbe forse voluto lasciar intendere che l’esercito comune europeo non deve rispondere né ai governi né ai parlamenti nazionali del suo operato? E a chi allora? Alla Commissione Europea? E un giornalista curioso si sarebbe potuto chiedere se ed in quali modi questo fantomatico esercito unico potrebbe rispondere di eventuali crimini di guerra o comunque di crimini commessi in singole operazioni “anti – terroristiche”. Temo che non dovremo attendere che i nostri lontani posteri ci diano una risposta a breve.

Tornando alla mia domanda iniziale, ossia a come potrebbe reagire l’Unione Europea e gli altri stati membri di fronte ad un attacco terroristico compiuto in Germania ma anche in altri paesi, direi che con buona probabilità potremo aspettarci un’accelerazione dell’istituzione dell’esercito comune europeo, progetto tenuto da troppi armi chiuso nel cassetto, e ad un maggior coordinamento tra i servizi segreti dei singoli paesi nello scambio dei dati e delle informazioni private di milioni di loro cittadini (cioè tutti noi per farla breve). Da un punto di vista del sentire quotidiano dell’europeo della strada invece, non potremo far altro che aspettarci un bombardamento dei media pressoché ad ogni ora del giorno e della notte sulla necessità di “rinforzare l’Unione Europea per fronteggiare le minacce esterne ed anche interne (le quinte colonne hanno storicamente un ruolo imprescindibile nel diffondere il terrore e di conseguenza rafforzare il consenso a scelte considerate un attimo prima impopolari nda) del terrorismo islamico” e di come “concetti come sovranità nazionale ed altre forme di anacronistici egoismi dei singoli stati siano ormai degli strumenti insufficienti e superati per affrontare e combattere la minaccia terroristica divenuta nel frattempo globale.” Questi messaggi governativi potrebbero inoltre essere usati come un’estrema cartuccia da sparare per tenere unito un Progetto Europeo il quale, a causa soprattutto dell’insostenibilità di una moneta unica in mancanza di una vera unione fiscale e delle gravi crisi economiche nei paesi periferici, rischia seriamente di collassare; a tal proposito è chiaro che in una situazione di emergenza e terrore di massa la gente richiederà maggiore sicurezza da parte di un organismo forte e centralizzato, dimenticando così le precedenti beghe e carenze interne. Io non sono né un indovino né un cosiddetto complottista ma l’eventualità di far scoppiare in contemporanea in varie città europee delle vere e proprie bombe umane, scenario reso ancora più realistico anche grazie al collegamenti a distanza e in tempo reale tra gli attentatori tramite Whatsapp e Facebook, potrebbe rendere l’inquietante scenario più vicino di quanto si possa pensare. Per parafrasare a modo mio Michele Corleone del Padrino II, direi che se la storia ci ha insegnato qualcosa è che si possono adottare qualunque tipi di leggi in situazioni d’emergenza.

  • Israele

Con questo soggetto ci addentriamo nel campo minato dell’antisemitismo e ve lo dice uno che vive da tre anni a Berlino. Bando ai soliti luoghi comuni, perché ho scelto di analizzare le possibili reazioni dello Stato di Israele di fronte all’eventualità di attacchi terroristici in Germania? L’ho voluto fare perché la contemporanea vittoria di Trump e l’ascesa di movimenti populistici in Europa potrebbe portare a risultati di carattere politico inaspettati fino a poco tempo fa. Cosa intendo dire nello specifico? In un articolo che sto scrivendo e che mi appresterò a pubblicare a breve su questo blog, analizzerò diverse affermazioni pubbliche dei capi dei maggiori partiti anti – europeisti ed islamofobi europei dai quali si evince chiaramente un appoggio quasi incondizionato alle politiche dell’entità sionista nei confronti dei nativi palestinesi che ancora vivono nelle riserve della Cisgiordania e a quelle che gli stessi esponenti di tali partiti che si apprestano ad andare al potere in Europa definiscono come le “legittime aspirazioni alla sicurezza di Israele”. Senza per ora andare nel dettaglio anche perché non desidero anticipare troppo in vista del prossimo articolo, i vari Salvini, Hofer, Le Pen, Wilders e Farage sono tutti accomunati da un amore spassionato nei confronti di Israele, anche e forse soprattutto per quanto concerne la gestione della questione araba e musulmana nei Territori Occupati della Palestina Storica. Una serie di attacchi terroristici in Europa, oltre a rafforzare tutti questi movimenti di destra profondamente anti – islamici, sancirebbe anche una connivenza implicita da parte di una larga fetta dell’opinione pubblica europea, la quale potrebbe sentirsi d’improvviso solidale con quanto i poveri fratelli israeliani vanno patendo da anni se non da decenni. I politici israeliani al governo in questo momento, anch’essi di estrema destra e razzisti ma questo i liberissimi media europei si dimenticano di dirlo, avrebbero gioco facile ad esprimere solidarietà agli europei colpiti dagli attacchi e a richiederne altrettanta per quanto loro andrebbero subendo dagli altrettanti terroristi palestinesi da diverso tempo a questa parte.

In questo modo l’opinione pubblica europea, già terrorizzata e sempre di più furiosa con le minoranze islamiche presenti nei vari paesi e viste in maniera superficiale e fuorviante come quinta colonna del terrorismo islamico internazionale, potrebbe chiudere entrambi gli occhi di fronte alle future politiche di aggressione che Israele sta già progettando per ripulire la Cisgiordania da ciò che resta delle comunità arabe e creare così il Grande Israele fino al fiume Giordano, il mitico Eretz Israel di biblica memoria. In fondo non sarebbe altro che l’ultimo capitolo di una storia di pulizia etnica portata avanti dal movimento sionista ai danni della popolazione araba da secoli lì residente e che ha avuto inizio non da ieri, bensì da almeno fine Ottocento. Dopo aver cacciato centinaia di migliaia di palestinesi dalle loro case durante le diverse guerre arabo – israeliane del 1948, 1967 e 1975 oltre che durante le due Intifade (sollevazioni palestinesi contro l’occupazione israeliana) del 1987 e del 2000, ciò che rimane della vecchia Palestina araba non è altro che una seria di enclavi palestinesi malamente collegate tra di loro e circondate sempre di più da colonie illegali di israeliani. Per concludere degnamente il lavoro teorizzato già dal fondatore del Sionismo Theodore Herzl in vari congressi tenutisi in Svizzera a fine Ottocento, è necessario tuttavia che l’opinione pubblica europea, che in passato si era dimostrata spesso scandalizzata per le politiche d’occupazione israeliana, non solo si dimostri apatica ma addirittura connivente con queste politiche. E quale modo migliore di ottenere la loro/nostra solidarietà gettandoci nello stesso “terrore islamico” di finire a pezzi per un’esplosione kamikaze mentre si aspetta un bus o si balla in una disco che gli israeliani subirebbero da anni? Come accennato, approfondirò questo tema – tabù per noi europei (non parliamo dei tedeschi) ricattati da 70 anni di sensi di colpa per l’Olocausto avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale in un prossimo articolo; quel che basti sapere è che l’obiettivo di israelizzare le società europee potrebbe essere un ottimo viatico per far tacere le sempre più numerose voci critiche da parte degli europei nei confronti dell’occupazione sionista. In fondo la società israeliana, così militarizzata anche solo se si fa una passeggiata in centro e al tempo stesso così violenta e diseguale per quanto concerne la distribuzione della ricchezza tra gli stessi cittadini ebrei, è un sogno che qualunque politico europeo, sempre più contestato per le misure di austerity e l’insicurezza legata alle migrazioni, vorrebbe che si realizzasse. Questo sogno potrebbe diventare realtà se nell’arco di un anno o poco più prenderanno il potere tutti quei movimenti cosiddetti populistici di estrema destra e dichiaratamente anti – islamici e filo – israeliani presenti in Europa. Tuttavia come già detto, non voglio svelarvi di più e vi chiedo di attendere ancora qualche settimana per l’articolo in questione.

A questo punto un lettore attento potrebbe chiedersi: ma cosa c’entra in questo discorso tutto incentrato sull’alleanza tattica tra falchi israeliani anti – palestinesi e populisti europei anti – islamici la recente vittoria di Trump? L’affermazione elettorale del tycoon potrebbe agevolare il progetto sionista di cacciare gli arabi palestinesi presenti in Palestina (ovviamente con la scusa della campagna militare contro il terrorismo) dal momento che, sebbene molti sedicenti intellettuali abbiano stappato in maniera a mio avviso frettolosa la bottiglia di champagne per la vittoria di Donald, il neo presidente incentrerà la sua futura politica mediorientale affidando un ruolo di ancora maggiore responsabilità alla Turchia, che ricordo essere tuttora un nostro imprescindibile alleato NATO checché se ne dica, e ad Israele appunto. L’obiettivo dichiarato, il quale verrà reso ancora più esplicito nei prossimi mesi, è quello di adottare una politica ferocemente anti – iraniana e di contemporaneo sempre maggior distacco dalla monarchia saudita. Nonostante le sconcertanti grida di giubilo di diversi presunti analisti progressisti, durante la sua campagna elettorale Donald Trump ha dichiarato la sua volontà di riconoscere la Capitale Unica ed Indivisibile di Israele a Gerusalemme, cosa che nessun precedente presidente USA ha avuto mai l’ardore di fare, e di stracciare se possibile l’accordo nucleare firmato da Obama con l’Iran, storico arci nemico di Israele, o perlomeno di rinegoziarlo mantenendo nel frattempo nei suoi confronti le sanzioni economiche. In ogni caso sempre nel prossimo articolo esaminerò nello specifico tutte queste dinamiche.

Per ora basti sapere che le bombe, e non parlo per metafore, islamiche che in un futuro speriamo remoto potrebbero scoppiare in Germania o in altri paesi in Europa, potrebbero segnare un avvicinamento tra vasti settori dell’opinione pubblica europea, sempre più insofferenti nei confronti delle minoranze musulmane e che come vedremo meglio in un prossimo articolo potrebbero essere rappresentate dai cosiddetti populisti di governo, e quella parte purtroppo maggioritaria di società israeliana che da sempre appoggia l’occupazione illegale della Cisgiordania, la distruzione delle case dei palestinesi e dei loro ulivi secolari, i bombardamenti sui civili a Gaza, l’esproprio delle loro terre e via discorrendo. Purtroppo anche in questo caso non sto parlando per metafore. A maggior ragione, per i motivi storici che tutti noi conosciamo, il popolo tedesco a maggioranza si dimostrerebbe solidale nei confronti delle prossime ed ulteriori aggressioni israeliane contro i palestinesi, giustificate con la solita scusa della guerra infinita contro il terrorismo islamico, anche perché ancora oggi in Germania è considerato un tabù criticare chiunque commetta un crimine mentre veste una divisa militare con la stella di Davide addosso.

CONCLUSIONI

Facendo un breve riepilogo di tutti i precedenti punti, potrei concludere dicendo che in caso di attentato islamista in Germania, di pari o maggiore intensità di quelli verificatisi negli ultimi dodici mesi a Parigi e Bruxelles, una prima conseguenza politica sarebbero le dimissioni seduta stante di Angela Merkel la quale verrebbe addotta, anche in maniera superficiale ed ingenerosa se vogliamo, da una vasta parte dell’opinione pubblica tedesca come la maggiore responsabile dell’attentato islamico a causa della sua politica di apertura nei confronti dei migranti. Se poi a commettere gli attacchi fossero uno o più profughi siriani, come si è rischiato che avvenisse nei mesi precedenti almeno stando alle fonti ufficiali degli inquirenti e della polizia, le dimissioni della Merkel sarebbero ancora più pressanti ed inevitabili. Dopo che la Merkel si fosse dimessa, ad essere scelto come nuovo candidato alla Cancelleria potrebbe essere Horst Seehofer, ossia il capo del partito gemello bavarese della CSU. Sull’onda della rabbia ma anche della paura popolare, egli incentrerebbe la sua campagna elettorale su un maggior controllo per i migranti in generale, a prescindere che siano rifugiati o meno, un inasprimento della legge regolante la richiesta dell’asilo politico oltre che una maggiore militarizzazione e controllo della società. In questo modo potrebbe soddisfare la parte più conservatrice ed islamofoba dell’elettorato CDU, sperando di frenare così l’emorragia verso i populisti dell’AFD. Per quanto riguarda invece le conseguenze politiche al di fuori della Germania/Europa, a risultare in maniera inaspettata avvantaggiato dal clima di paura e rabbia che si respirerebbe in Europa potrebbe essere il Presidente turco Erdogan. Infatti egli potrebbe all’improvviso proporre ai partner politici europei di sbloccare lo stallo che dura da più un anno in merito al regime dei visti liberi per quei cittadini turchi che desiderino entrare in Europa, proponendo un controllo totale delle frontiere tra la Turchia e la UE per evitare ufficialmente l’ingresso di terroristi islamici infiltratisi tra i profughi in cambio appunto di una liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi in Europa. Un simile accordo, considerato fino a poco tempo prima inaccettabile per la maggior parte dell’opinione pubblica europea, potrebbe ora invece venire siglato per il terrore che si verifichino nuovi attentati in un futuro prossimo. Tuttavia sarebbe l’intera Unione Europea a rivoluzionare il proprio assetto di fronte alla minaccia terroristica: un’unione sempre più a rischio di disfacimento a causa della perdurante crisi economica e delle difficoltà strutturali dei paesi periferici potrebbe in maniera inaspettata far serrare le fila di vasti settori della popolazione sempre più bisognosi di sicurezza in cambio di una struttura sovranazionale veramente efficiente, ed inoltre il sangue fresco dei morti potrebbe contribuire a far premere l’acceleratore sul vecchio progetto, mai portato a termine, dell’esercito comune europeo e su un maggiore controllo e scambio di dati personali di milioni di cittadini, sempre beninteso nel nome della sicurezza. Infine la sempre maggior diffusa islamofobia delle popolazioni europee, unita all’incertezza sull’effettivo raggiungimento della creazione di un esercito unico europeo appena citato, potrebbe portare al governo nei vari paesi europei tutti quei movimenti populisti di estrema destra anti – islamici ma filo – israeliani in politica estera, i quali potrebbero appoggiare moralmente e giustificare sempre nella stantia ottica della lotta al terrorismo islamico le future e nuove aggressioni israeliani in quel poco che rimane della Palestina Storica.

Così è se vi pare. Mi rendo ben conto che il mio articolo monstre altro non è che un ulteriore contributo per quella categoria dello spirito che oramai anche al grande pubblico è conosciuta con la sfortunata nomea di complottismo. Tuttavia la mia voleva essere una mera analisi personale su quelle che potrebbero essere le ricadute politiche di un eventuale attacco terroristico a Berlino o comunque in una grande città tedesca, al pari di quanto è accaduto a Bruxelles e Parigi. Ho tentato perciò di giungere a conclusioni mie personali basandomi su fonti ufficiali di media cosiddetti mainstream e quindi in teoria “rispettabili” e cercando dei collegamenti logici qualora quest’ultime mancassero del tutto o fossero insufficienti. Non è un caso se mi sono rifiutato di analizzare le possibile ricadute politiche di un attentato per quanto riguarda le due grandi potenze Usa e Russia che ormai da tempo si fronteggiano in tutti i maggiori teatri di crisi internazionale ed il cui costante stato di tensione reciproca, secondo non pochi autorevoli analisti, potrebbe perfino condurre ad una guerra convenzionale o qualcosa di peggio, con tutta probabilità l’ultima per la specie umana. Non l’ho fatto per un semplice motivo: non avevo raccolto abbastanza fonti su cui basare delle conclusioni e anche perché la recente vittoria di Trump è troppo fresca per dare dei giudizi con una certa sicumera, anche se nella parte relativa a Israele ho incluso il ruolo del neo presidente nella mia analisi. In parole povere mi getto a ginocchioni sui ceci sperando che voi lettori abbiate pietà per le mie fantasie prodotte sì certo dalla curiosità ma anche da una certa noia per il comune vivere post – borghese, ossia quel particolare e sempre più diffuso way of life caratterizzato da ben pochi soldi ma tanta incertezza. Miserere mei e se leggete per caso di una grossa caldaia scoppiata alla stazione ferroviaria di Monaco, ora sapete dove scrivermi.

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