Il nuovo Cossiga speaks English

Insomma ora i guai si stanno avvicinando ed il tempo per invertire la rotta si fa sempre più stretto. Come tutti voi probabilmente saprete, il nuovo leader conservatore nonché fresco Primo Ministro britannico si chiama Boris Johnson. Lo spazio non ci consente di concentrarci sulla sua biografia politica ed anche umana. Ci basti sapere che il biondo Boris, esattamente come il suo vecchio amico di gioventù nonché ex Primo Ministro David Cameron, ha studiato con successo al prestigioso liceo Eton. Questa celeberrima scuola viene considerata ancora oggi come una vera istituzione in Inghilterra, tanto che dal lontano Ottocento la maggior parte dei Prime Ministers britannici ha in precedenza studiato qui. Tuttavia, al contrario del ricco figlio di papà Cameron, il giovane Johnson non proveniva certo da una famiglia benestante, tanto che aveva potuto frequentare la prestigiosa scuola solo grazie ad una borsa di studio, da lui ottenuta grazie ai suoi brillanti risultati scolastici. Quello che ci interessa nei termini dei rapporti futuri tra l’UK e la Germania, che in questo momento significa anche Unione Europea, è che negli anni ’90 il fresco laureato Boris era stato mandato a Bruxelles a fare il corrispondente per il giornale, da sempre euroscettico anche se moderato, Telegraph. In quelli anni da inviato speciale egli si era affermato al grande pubblico per i suoi articoli al vetriolo, spesso conditi da un brillante humour che anche i suoi più acerrimi avversari non hanno mai mancato di riconoscergli, sulle competenze del Parlamento Europeo. A suo modo di vedere, non sempre ingiustificato a dire il vero, le istituzioni europee perdevano la maggior parte del loro tempo a definire gli angoli di curvatura delle banane ed a discutere di altre sciocchezze, tentando però al tempo stesso di controllare in maniera pervasiva la vita di milioni di cittadini. Nel 2016, a solo un mese di distanza dal vittorioso referendum sulla Brexit, l’oramai affermato politico Boris Johnson dalle pagine del “suo” ex Telegraph avrebbe definito l’Unione Europea come la continuazione ideale delle politiche di Napoleone e di Hitler, anche loro a suo parere convinti europeisti desiderosi di unificare il Vecchio Continente sotto l’egida di un’unica potenza egemone, esattamente come dal punto di vista meramente economico (almeno finora) sta tentando di fare la Germania dei diversi governi Merkel. Per lui l’obiettivo finale della UE sarebbe stato quello di creare un potente Superstato, alla pari di quello tentato da Hitler appunto. Per quella controversa dichiarazione pubblica, che come prevedibile suscitò reazioni scandalizzate sia dentro che fuori il Regno Unito, Johnson non si è mai scusato né tantomeno ha ritrattato le sue opinioni.

Tra il 2015 ed il 2016, anno fatidico del referendum sulla Brexit, il biondo e corpulento Johnson, sebbene non abbia nel frattempo esercitato cariche politiche successive alla sua precedente esperienza da sindaco conservatore di Londra, ha speso anima e corpo per permettere il successo dei leavers. Il partito conservatore è tuttora diviso quasi a metà: da una parte l’ala maggioritaria, anch’essa come da tradizione euroscettica ma tuttavia favorevole a rimanere in EU anche se con previ negoziati per ottenere maggiori poteri da Bruxelles, e dall’altra una minoritaria, ma molto più rumorosa e soprattutto meglio organizzata che preme per uscire il prima possibile da quella che viene considerata in primo luogo una prigione burocratica per le aziende, e poi magari anche per i popoli. Grazie alla sua indubbia capacità oratoria, oltre alla sua presenza scenica che non lascia indifferenti, il futuro Primo Ministro, nonché nemico storico del suo antico “compagno di camerata” a Eton David Cameron, Boris Johnson ha giocato un ruolo mediatico fondamentale nella vittoria della Brexit al referendum. Assieme a lui, un altro dioscuro della vittoria è stato sicuramente Nigel Farage, da sempre convinto critico delle politiche economiche ed immigrazioniste della Germania leader d’Europa. Piccola curiosità per i complottisti che desiderano approfondire: la vittoria dei leavers viene ufficialmente proclamata il 24 giugno 2016, onomastico di quel San Giovanni Battista venerato da tutti i massoni del mondo, nonché data che rappresenta anche il 299esimo anniversario della fondazione della prima loggia della Massoneria moderna, definita anche speculativa, avvenuta proprio il 24 giugno del 1717, ovviamente a Londra. Dopo la vittoria, Cameron si dimette il giorno stesso lasciando il posto all’ex Ministro degli Interni, la conservatrice Theresa May. Quest’ultima, nonostante negli anni precedenti avesse manifestato la volontà di far uscire il Paese dalla Convenzione Europea dei Diritti sull’Uomo e di limitare la libera circolazione di persone tra l’UK ed il resto d’Europa, al referendum aveva votato a favore del Remain e difatti la sua politica nei successivi 2 anni avrebbe sollevato diversi dubbi e perplessità a causa della sua timidezza e dei suoi continui “errori” nei negoziati con la UE.

In ogni caso Boris Johnson rimane in sella nella prestigiosa carica di Ministro degli Esteri fino all’anno scorso, quando assieme ad altri Ministri conservatori si dimette come protesta contro l’accordo raggiunto tra il governo May e l’Unione Europea, da lui ritenuto un chiaro tradimento della volontà popolare. Dopodichè si eclissa per un pò, aspettando che il cadavere dell’orso May, uccisa da 3 votazioni del Parlamento britannico contrarie al “suo” agreement con la UE, le passi davanti. Durante i 2 anni come plenipotenziario di Sua Maestà Britannica, il suo modus operandi si caratterizza per una russofobia convinta, d’altronde in linea con la politica inglese negli ultimi 200 anni, che arriva perfino all’accusa diretta a Putin di essere stato il mandante dell’avvelenamento, fallito poiché ancora vivi, dell’ex spia Skrypal e di sua figlia a Salisbury nel cuore dell’Inghilterra. Guarda caso qualche mese prima del controverso avvelenamento, verso il quale le sempre attente opinioni pubbliche occidentali stanno ancora attendendo dal governo britannico le decisive prove comprovanti il diretto coinvolgimento della Russia, lo stesso Johnson si reca a Mosca per incontrarsi con il suo omologo russo Lavrov. Durante la conferenza stampa, avvenuta nel 2017, il Ministro degli Esteri britannico intima al rappresentante del governo russo, benché in quel momento sia suo ospite ufficiale, di smetterla con le presunte intromissioni nelle elezioni britanniche, per le quali anche in questo caso stiamo ancora attendendo la pistola fumante delle prove da parte dei diversi governi britannici, pena gravi conseguenze politiche.

Non so se ho reso chiara l’idea: un politico rappresentante il Regno Unito minaccia un altro Paese, in questo caso la Russia rappresentata da Lavrov, a casa sua. Sarebbe stato come se un gangster fosse andato a casa del boss nemico o, peggio ancora, avesse mandato degli emissari al negozio del commerciante che non avesse voluto pagare il pizzo, minacciando di ricorrere alla maniere forti nel caso in cui i loro atteggiamenti nei confronti del clan da lui rappresentato non fossero cambiati. Io stesso scrissi quelle cose in un articolo ad hoc, probabilmente unico a farlo. Fatto sta che qualche mese dopo quella conferenza, condita da minacce nemmeno troppo velate, si verifica il famoso caso Skrypal, che ha avuto l’indubbio merito di tenere unito un Occidente sempre più in crisi, con alcuni governi europei che con la scusa del mai comprovato coinvolgimento di Putin in persona sono arrivati ad espellere diversi diplomatici russi dai rispettivi Paesi, con la lodevole eccezione dell’Austria dell’ex Premier conservatore Kurz, che guarda caso qualche mese fa ha dovuto dimettersi assieme al suo alleato di estrema destra Strache per uno scandalo di finanziamenti illeciti di quest’ultimo ad un oligarca russo. D’altra parte il personaggio Johnson è fatto così: non ha paura di esprimere le proprie convinzioni anche in casa d’altri, a costo di sfiorare le gaffe. Evidentemente il concetto di dimostrare la propria forza, vera o presunta che sia, gli era stato inculcato come doveroso principio classista verso i nemici da distruggere già ad Eton, tempio (almeno così si dice) delle èlite britanniche. Basti pensare che qualche giorno fa egli ha osato per qualche secondo mettere il piede sul tavolino, che lo divideva dal Presidente francese Macron. Tutto questo di fronte alle telecamere; peccato che, come nel caso delle minacce mafiose dirette a Lavrov, anche qui Johnson fosse ospite a casa d’altri, per di più all’Eliseo.

Ad ogni modo, per tornare al tema dei rapporti tra la Brexit e la Germania, possiamo per ora concludere dicendo che, al contrario dei precedenti governanti inglesi tutti in verità remainers convinti e solo moderatamente euroscettici, ora al governo della seconda economia europea è presente una figura politica che da almeno 4 anni non ha mai avuto dubbi sul futuro del proprio Paese lontano dall’Europa, dichiarando apertamente sia con la penna che con la bocca i suoi obiettivi. Questo è uno dei problemi principali che l’ennesimo governo stantio della sempre più stanca Merkel dovrà affrontare. Se prima aveva avuto gioco facile a gestire indirettamente i negoziati tra il suo fedele protetto Juncker e Cameron e la May, in realtà politici inglesi contrari appunto alla Brexit tanto che al referendum del 2016 avevano votato a favore della permanenza, ora con Johnson i giochi cambiano. Per dirne una, qualche giorno fa a Berlino c’è stata una conferenza stampa tra la Merkel e Johnson, nella quale i due capi di governi si sono scambiati le solite frasi di circostanza. Peccato che, come visto prima in altrettante visite a Paesi stranieri, il Ministro Johnson non sia uno di quelli che ci tengono al galateo istituzionale. All’inizio della conferenza, particolare ignorato da tutti i media governativi tedeschi sempre più stretti intorno alla Mutti Merkel, egli si è lasciato sfuggire, tra le risate dei giornalisti presenti, una breve frase in tedesco che dall’estate del 2015 tutti in Germania conoscono: Wir schaffen das. Ce la facciamo, significa in italiano. Per essere precisi, egli ha fatto riferimento all’eventuale ottenimento, da lui ironicamente ritenuto possibile, di un nuovo accordo sulla Brexit tra l’UK e la UE. Questo motto venne pronunciato durante un’altra conferenza stampa, questa volta nel rovente agosto del 2015, da Angela Merkel in persona in risposta alle prime (e sparute) critiche nei confronti della sua politica di accoglienza di 1 milione e passa di profughi umanitari, o migranti economici che dir si voglia. Dalle prime oggettive difficoltà poi riscontrate, che durano tuttora e che vedono una parte di accolti dedita a stupri ed uccisioni quasi quotidiani, dopo 4 anni quella frase viene spesso interpretata da diversi cittadini tedeschi alla stregua di uno sfottò nei riguardi di un’efficienza che in realtà non si è mai verificata. Sbattere senza pudore in faccia alla Merkel (a casa sua, ricordiamolo), che in quel momento era in piedi al suo fianco, quello stesso suo slogan che aveva segnato l’inizio del suo declino politico, ha significato inviarle l’ennesimo messaggio provocatorio. Significa anche che il politico Boris Johnson, al contrario di alcuni fantomatici leader nostrani, studia, si informa sul Paese che va a visitare, anche come retaggio della sua precedente carriera giornalistica, e soprattutto sa quando e come colpire.

Nella prossima puntata analizzeremo nei dettagli sia le misure legislative già adottate da questo, così come dal precedente, governo britannico che preannunciano l’hard Brexit, sia gli attuali dati macroeconomici tedeschi che danno per certa quella stessa recessione economica, che su questo blog era stata prevista da almeno l’inizio dell’anno scorso.

3 Risposte a “Il nuovo Cossiga speaks English”

  1. ehehe..il vecchio boris punta sull’impossibilità di una euro-germany circondata da stati ruffiani e stati schiavetti…

    vedremo

  2. Oppure agisce proprio sull’assunto da lei descritto. Il vero futuro degli Stati Uniti d’Europa dipende dalla Francia. Se (ri)prenderà ordini dalla Gran Bretagna, com’è sempre avvenuto dal 1812 fino al 1940, si staccherà e smonterà il progetto. Non è detto però che le cose per l’Europa continentale cambieranno in meglio, anzi.

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