Consigli per i turisti

IMG_20180801_194215Per una volta dimentichiamoci dei temi seri come l’immigrazione e la guerra commerciale con gli USA, che attanagliano la Germania e l’Europa tutta, per discorrere di cose leggere. L’estate caldissima è arrivata anche a Berlino e, sarà la pigrizia dovuta al caldo o sarà la voglia di proporre qualcosa da leggere sotto l’ombrellone, che mi appresto a proporre un bel giro ciclistico a chi per la prima volta si dovesse recare nella capitale tedesca. Sì, avete capito bene. In questo articolo verrà  proposto un tour a due ruote un po’ particolare, nel senso che ci concentreremo su luoghi storici e conosciuti da tutti ma che al tempo stesso svelano un lato non sempre freundlich di Berlino. Si parte dal monumento simbolo della città, quella Porta di Brandeburgo che attira turisti da ogni angolo del mondo. Per chi non lo sapesse, la Porta venne fatta edificare dal Kaiser di Prussia Federico Guglielmo II nel 1788 come simbolo di pace. I buoni propositi si scontrarono ben presto con la realtà; sotto i suoi portici passarono infatti gli eserciti napoleonici che assoggettarono la Prussia e si portarono a Parigi la famosa quadriga. Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone i tedeschi se l’andarono a riprendere fino in Francia riportandola a casa ma aggiungendole una piccola ma significativa croce teutonica che da quel momento in poi rappresentò l’ascesa del nazionalismo militarista tedesco fino alle due guerre mondiali. A sfilare sotto i medesimi portici non furono più eserciti stranieri bensì quelli locali che tra chiodi in testa e croci uncinate segnarono il passo all’Europa soggiogata.

Ma cosa ne possono sapere i turisti giapponesi e di altre nazionalità che tra mille selfie immortalano la loro presenza nella capitale. I tempi sono cambiati anche visivamente; a significare la perdita di autonomia tedesca è la presenza dell’ingombrante ambasciata americana che a lato della Porta sembra quasi voglia sorvegliare le mosse dei vari governi tedeschi. Già mai qualcuno avrebbe potuto immaginare che, secondo le rivelazioni di Snowden, da quella stessa massiccia ambasciata qualche zelante agente segreto camuffato da impiegato avrebbe intercettato le conversazioni della Cancelliera Merkel. Per non parlare delle ambasciate francese, inglese e russa che nell’arco di nemmeno duecento metri circondano il centro storico a ridosso dell’Unter den Linden; le quattro potenze vincitrici per motivi diversi sono ora in rotta di collisione con il Quarto Reich (economico si intende), che a colpi di export ed egemonia economica sta recuperando il terreno perduto. A chiudere il cerchio del nuovo corso tedesco fa capolino a fianco dell’ambasciata americana una delle tante filiali della Commerzbank, quasi a voler simboleggiare la sincronia del potere finanziario con quello politico. Nel frattempo sul Reichstag una volta bruciato e distrutto dai mortai sventolano il tricolore germanico assieme al vessillo a dodici stelle dell’Europa.

Ma torniamo al tour ciclistico che, come detto, potrebbe benissimo iniziare dalla Porta. Proseguendo sempre diritto si percorre la strada 17 giugno, in onore della rivolta anti-sovietica accorsa a Berlino Est nell’estate del 1953 e soppressa manu militari, che taglia in due il parco cittadino del Tiergarten. Sulla destra si può notare un altrettanto ingombrante simbolo dell’occupazione straniera della Germania dopo la sua sconfitta nell’ultima guerra. Stavolta gli yankees non c’entrano per nulla, siccome la statua tipica di un certo socialismo reale architettonico così come i caratteri cirillici non lasciano spazio a dubbi. Parliamo del monumento sovietico ai caduti morti durante la battaglia di Berlino nel 1945; il monumento si trova in quella che fu la parte occidentale della metropoli divisa dal Muro e fu probabilmente l’unico punto in cui i soldati provenienti dall’Est erano autorizzati ad entrare nel settore Ovest per rendere omaggio ai loro compagni. Chissà se il turista in bici è consapevole che nei prossimi anni il monumento potrebbe perfino sparire; nel 2014 il quotidiano più letto nella colta e civilizzata Germania, ossia l’organo scandalistico Bild, aveva infatti proposto una petizione per far trasferire i carri armati russi che ornano il memoriale in un punto più periferico della città come forma di rappresaglia per l’annessione della Crimea da parte della Russia di Putin. Passato il monumento, che nel clima di russofobia imperante potrebbe appunto presto sparire, andando sempre diritti il ciclista si imbatterà nelle Colonna della Vittoria – la famosa Siegessäule. Agli inizi l’imponente monumento venne progettato solo per commemorare la vittoria della potente Prussia contro i poveri vicini danesi che persero parte dell’Holstein nella guerra del 1864. Visto che l’appetito vien mangiando, i prussiani sconfissero anche i fratelli austriaci nel 1866 e cinque anni dopo i francesi di Napoleone III nella famosa battaglia di Sedan, che vide la proclamazione del Secondo Reich a Versailles (non è un errore di battitura). Da qui l’idea di commemorare anche i successivi trionfi. Dopo la sconfitta del ’45 gli angloamericani che amministrarono anche la zona del Tiergarten non vollero smantellare l’oggettivamente imponente, anche se forse un pò sgraziato ergo typisch deutsch, monumento così come decisero di non toccare le innumerevoli statue di generali e di Bismarck che costellano tuttora il parco. Un certo nazionalismo tedesco presente durante l’intera durata del Secondo Reich guglielmino, tuttora vero tabu mediatico e di costume tanto che non escono articoli giornalieri come sul successivo periodo nazista, è andava ancora salvaguardato per respingere il pericolo rosso e ricordare i fasti del passato.

Tuttavia il parco urbano del Tiergarten, oltre agli ameni prati ed i laghetti dove trovare riposo dal traffico cittadino, nasconde un altro lato oscuro. Nel gennaio del 1919 Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, fondatori del Partito Comunista tedesco, vennero uccisi e gettati in uno dei tanti canali lì presenti. A fucilarli furono i corpi franchi agli ordini del governo socialdemocratico (anche qui non si tratta di un errore di battitura) di Friedrich Ebert, Primo Ministro, e di Gustav Noske, Ministro della Difesa. L’aspetto interessante è che a segnare la loro condanna a morte furono due politici socialdemocratici di quello stesso partito, la SPD, che un secolo fa appoggiò sia la Prima Guerra Mondiale voluta fortemente dai generali reazionari (e dai grandi industriali come i nostri Agnelli) sia la successiva repressione dei ceti rivoluzionari ad essa contrari e che negli anni precedenti avevano scontato la loro opposizione col carcere, come gli stessi Luxemburg e Liebknecht. I sensi di colpa della sinistra socialdemocratica di governo sono così forti che la fondazione vicina al partito è stata dedicata a quello stesso Friedrich Ebert che decretò la condanna a morte dei compagni che sbagliarono e che tradirono il proprio paese; la presa di coscienza è così profonda che la sede nazionale della Fondazione (Stiftung) Ebert è situata a Berlino a pochi minuti a piedi da quel medesimo Tiergarten dove vennero gettati i loro corpi. Ora dopo un secolo la SPD si dimostra ancora una volta volenterosa collaborazionista dei poteri forti al governo, avendo dato più volte un convinto appoggio alla Merkel e alle riforme del mercato del lavoro, che hanno aumentato povertà e precarietà anche qui nella ricca Germania. Ma questa forse è un’altra storia.

Per ora basti sapere al turista in bici, che desideri seguire questo tour storico, che una Berlino considerata da sempre alternativa non fu altro in realtà che un luogo teatro di delitti politici di chi la pensava diversamente oltre che una vetrina del potere che una Germania orgogliosa ha sempre voluto mostrare al resto del mondo. Per comprendere come i veri alternativi berlinesi siano da sempre stati una minoranza, pronta ad essere liquidata dal governo di turno, bisogna marciare ancora qualche centinaia di metri e dal Tiergarten spingersi fino al quartiere gravitante intorno al famoso Zoo. Quest’ultimo luogo di ritrovo delle famiglie berlinesi e di turisti fu in realtà conosciuto al pubblico internazionale negli anni ’70 per il romanzo di Christiane F., poi trasposto anche in un film, che narrava le imprese di minorenni che per vincere la disperazione di vivere a Berlino Ovest (non ho scritto Berlino Est, ergo non si tratta del terzo errore di battitura in questo articolo), avevano pensato bene di passare le loro giornate ad iniettarsi eroina nelle vene. Oltre ad un tasso di 34 suicidi all’anno ogni centomila abitanti, Berlino Ovest poteva annoverare un altro record mondiale: quello della ragazza più giovane morta di overdose, la quattordicenne Babette Döge. Non male davvero per l’unica isola occidentale a libero mercato immersa nel mare comunista…

Come nel caso della Porta di Brandeburgo, i tempi sono cambiati anche per la zona intorno allo zoo. Gli alti e bianchi hotel avorio e palazzi d’affari in vetro hanno circondato quel che resta della chiesa evangelica Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche, quasi completamente distrutta da un bombardamento alleato nel 1943 e rimasta volutamente mutila a ricordo delle distruzioni causate dalla guerra. Nel dicembre 2016 l’area venne toccata dal colpo di coda del terrorismo islamico, che già altri paesi aveva devastato. Ma la via dello shopping berlinese, di giorno sempre piena di turisti e bulimici della carta di credito così come desolatamente vuota di notte, ha retto il colpo ed ha proseguito nella sua corsa consumistica. Il viale del Ku’Damm, situato immediatamente di fianco ai ruderi della chiesa, espone per chilometri le ricchezze delle vetrine agli aspiranti compratori o… sognatori. All’inizio della strada sulla sinistra se si va in direzione Grünewald sono presenti dei pannelli che ricordano un altro episodio importante nella storia moderna di Berlino e che pare voler confermare la nomea di città alternativa ed universo culturale parallelo rispetto al piattume che, sempre secondo la narrativa ufficiale, dominerebbe nel resto della Germania. Il nostro aspirante cicloturista potrà finalmente concedersi una pausa ed approfittarne per leggere i pannelli informativi affissi all’inizio del viale. Vi si legge che nel 1968 anche Berlino Ovest fu interessata dalla contestazione giovanile e studentesca; il Ku’Damm fu infatti teatro di manifestazioni quasi giornaliere di migliaia di studenti ed attivisti della sinistra extraparlamentare che protestarono contro la guerra, anzi aggressione, americana in Vietnam e per chiedere lo smantellamento di valori considerati vetusti come Dio, Patria e Famiglia. Ricordiamo che nel resto della Germania occidentale (non parliamo per ovvi motivi di quella orientale) sotto controllo alleato non si erano verificati gli stessi moti di protesta che avevano interessato paesi capitalistici come la Francia, gli USA ed anche noi italiani. Berlino Ovest poteva essere dunque considerata come un esempio ben riuscito e da imitare di trasgressione in un paese di solito dominato dal culto dell’autorità e del capo (il cosiddetto Führerprinzip) e da un certo conformismo di fondo. Tuttavia il problema è che, stando agli stessi cartelli posti dal governo municipale berlinese, la maggior parte della popolazione di Berlino Ovest dell’epoca si era schierata contro i protestanti extraparlamentari e contro la rivolta studentesca. Vennero perfino organizzate delle contromanifestazioni patrocinate da tutti i sindacati e chiamate a coorte da tutti i partiti politici per ribadire il filoamericanismo della città contesa. Se da una parte la scelta non era sorprendente, vista la totale dipendenza economica di Berlino Ovest dall’aiuto occidentale, dall’altra le foto dei contromanifestanti e dei bravi borghesi berlinesi che sfilano con le bandiere americane in mano dovrebbero forse contribuire a stendere un velo pietoso sulla propaganda relativa alla presunta alternatività berlinese che durerebbe fino ad oggi.

In quel particolare periodo storico in cui interi governi, come quello di De Gaulle in Francia, rischiavano di cadere sotto i colpi della contestazione, ancora una volta Berlino si era dimostrata un’oasi di stabilità e conformismo governativo. Certo sugli stessi pannelli che il nostro amato, ma forse a questo punto esausto, turista starà leggendo, v’è scritto che il capo del movimento studentesco Rudi Dutshcke venne ferito gravemente da un imbianchino (sic) che gli sparò alcuni colpi di proiettili alla testa. Il leader della protesta, che in mezzo all’indifferenza delle masse già ipnotizzate dal consumismo aveva tentato di scardinare il conservatorismo della società tedesca, venne gravemente ferito non già in qualche sperduto villaggio popolato da nazisti circondato dalla Foresta Nera in Baviera bensì proprio nell’alternativa Berlino Ovest, proprio a Ku’Damm. Dutschke sopravvisse per miracolo all’attentato ma i danni cerebrali furono così gravi che gli impedirono di dedicarsi alla politica attiva fino alla sua morte in esilio politico avvenuta in Danimarca nel 1979. Nessuno se lo aspetterà ma l’attentato quasi mortale, fatto comunque per uccidere, venne preparato (diciamo così) da una campagna stampa diffamatoria portata avanti dal colosso mediatico Axel Springer che ieri come oggi controlla i maggiori quotidiani tedeschi come la Bild e die Welt. La maggior parte dei berlinesi, persuasi dagli articoli quotidiani contro ogni forma di protesta ai valori tradizionali tedeschi, girarono le spalle ai contestatori al contrario di quanto succedeva in Francia ed Italia, per esempio. Questo smantellamento del mito della diversità di Berlino non viene esposto dal sottoscritto, bensì dai pannelli citati. Per concludere il discorso, ci basti forse sapere che la stessa Axel Springer organizza da diversi anni un concorso per premiare i personaggi imprenditoriali che secondo essa meritano il plauso e l’apprezzamento da parte della città di Berlino per il loro impegno imprenditoriale. Nella Berlino del terzo millennio, sempre più alternativa ed anticonformista come quella del 1968 e del 1919, ad essere premiati sono stati anche il fondatore di Facebook e quello di Amazon, che invece in altri paesi provinciali come il nostro vengono criticati sia per la condizione dei lavoratori nei loro magazzini (tradotto nel vocabolario tedesco con il termine Lager) sia per il noto scandalo legato all’utilizzo dei dati privati per scopi commerciali senza il consenso degli utenti. Ma siamo a Berlino ed è giusto così.

Facciamo concludere questo noto, forse addirittura banale, giro ciclistico con un altro delitto politico. Ricordiamo a chi ci segue dal Brennero in già che non stiamo parlando dell’Italia, dove è noto come diversi esponenti politici, giornalisti, magistrati o semplici voci fuori dal coro siano stati uccisi da e per conto del potere. Stiamo infatti discutendo di un paese, la cui capitale viene considerata nell’immaginario collettivo come un luogo da sempre foriero di innovazioni e proteste contro l’ordine costituito. L’ammazzamento ed il ferimento fatale di personaggi realmente alternativi avvenuti nel secolo scorso farebbero però presupporre il contrario. Siamo consapevoli come i tempi siano cambiati e che ora a Berlino si avvertano dei cambiamenti legati alle parate carnevalesche della Cristopher Street Day, dove uomini nudi con il pendolo di fuori (testuali parole di un mio amico) manifestano libertà ed esercizi di diritti che in paesi a caso come la Russia di Putin sono invece repressi. Stiamo parlando di una metropoli moderna dove chi cammina con una kippah in testa è sicuro di non subire aggressioni, mentre le mafie non reinvestono affatto il fiume di denaro derivante dall’acquisto smodato di droghe da parte dei bio-consumatori. Viviamo in una città rossa dove le contromanifestazioni anti-Afd sono di fatto filogovernative visto e considerato che il partito di destra è l’unico che sta facendo vera opposizione, che piaccia o meno ci è indifferente, all’ennesima esperienza della Signora Merkel. Tuttavia vorremmo chiedere al ciclista di fare un ultimo sforzo proseguendo fino alla fine del Ku’Damm per arrivare al quartiere benestante di Grünewald. Invece di andare sempre diritto col rischio di arrivare all’amena zona dei laghetti, dovrebbe girare a destra all’altezza di un benzinaio e percorrere la strada di Königsallee. Il quartiere di Grünewald è forse il più bello di tutta Berlino: il verde dei boschi lambisce appena le sontuose ville che un secolo fa erano per lo più sede dei diplomatici, dei funzionari imperiali e dei politici. Ora la zona e i prezzi delle abitazioni sono proibitivi e non è raro veder sfrecciare Ferrari e Porsche; pochi penserebbero che anche qui nel secolo scorso si consumò uno dei tanti delitti a sfondo politico a Berlino. Vittima fu quella volta il Ministro degli Esteri Walter Rathenau, il quale durante i primi anni della Repubblica di Weimar si macchiò di due crimini imperdonabili.

Il primo fu quello di ratificare il Trattato di Pace di Versailles del 1919, che comportò condizioni durissime per la Germania appena uscita sconfitta dalla guerra e che fu uno dei fattori fondamentali che portarono i nazisti al potere. Il secondo imperdonabile errore fu quello di aver tentato, seppur con diversi distingui e riserve, un avvicinamento con l’Unione Sovietica, che all’epoca veniva considerata dalle cancellerie occidentali alla stregua di un paria geopolitico un po’ come dal 2014 la Russia di Putin. Ad ucciderlo furono due ex ufficiali dell’esercito tedesco, riciclatisi in quegli stessi corpi franchi che qualche anno prima uccisero sempre a Berlino Luxemburg e Liebknecht. Nella Berlino alternativa che fu o che non fu mai stata, il viaggio (questo sì) alternativo a due ruote potrebbe concludersi di fronte al blocco di pietra che a Königsallee ricorda il suo assassinio mentre stava tornando in macchina alla sua villa. Un grande amico di Rathenau fu Stefan Zweig, considerato a cavallo degli anni ’20 e ’30 come il più grande scrittore in lingua tedesca dell’epoca e il più tradotto nel mondo. Lui era un austriaco nato a Vienna, anch’egli ebreo come Rathenau ed anch’egli critico e da sempre preoccupato dal ciclico nazionalismo e militarismo tedesco. Anche lui ebbe a che fare con Berlino nel senso che lì studiò e si laureò negli anni che precedettero lo scoppio della Grande Guerra. Pagò il suo essere ebreo e l’Anschluss del suo paese nel ’38 con l’esilio in Gran Bretagna prima e Brasile poi, dove morì suicida assieme alla sua seconda moglie. Ma questa è veramente un’altra storia. La sua splendida autobiografia Il mondo di ieri, suo omaggio prima di lasciare questa valle di lacrime, la consiglio a titolo personale come formativa lettura estiva. Per ora basti sapere all’improbabile ciclista che avrà voluto percorrere fino in fondo questo percorso che di fronte alla lapide ricordo di Rathenau non è presente nemmeno un singolo fiore nè una mesta corona d’alloro messa lì da parte di qualche autorità. La lapide si confonde troppo bene con il marciapiede e l’ambiente urbano circostante, tanto che io stesso la notai per puro caso mentre facevo una pausa durante un giro in bici di qualche mese fa. Se mi fossi fermato qualche metro prima o dopo, con tutta probabilità questo articolo non sarebbe mai stato concepito. Sarebbe come se ora a Via Fani non vi fossero segni della presenza dello Stato italiano a ricordare uno dei tanti delitti politici, con probabile clamore da parte dei media. Ma questa è appunto Berlino ed è giusto così.

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