5° lampo – Visita a Sarajevo

Auto SarajevoPer una volta non parleremo della Germania. Ci soffermeremo infatti su un luogo della memoria storica dell’Europa che ne ha segnato la storia nel Novecento e che rischia di innescare altre vicende all’alba di questo nostro secolo attuale. 104 anni fa con l’uccisione dell’erede al trono asburgico iniziò la prima di due guerre civili europee, secondo la definizione data da alcuni storici, che causarono il declino geopolitico del Vecchio Continente che dura fino ad oggi. Si potrebbe dire che l’omicidio politico dell’Arciduca Francesco Ferdinando ad opera di uno studente nazionalista serbo, Gavrilo Princip, fu la scintilla che fece esplodere una santa barbara accumulatasi nell’arco di tutto l’Ottocento. Alla fine del secolo scorso un’altra guerra interessò quella regione e la medesima città, che decenni prima vide il verificarsi dell’escalation tra le potenze europee, venne ignorata da quest’ultime che poco o nulla fecero per salvarla dall’assedio cui milizie, ancora una volta serbe, la costrinsero. Sarajevo è stata pertanto l’epicentro di quei Balcani che, secondo l’efficace affermazione di Churchill, producono più storia di quanta ne possano consumare e dunque la esportano. Tuttavia oggigiorno noi europei, od europeisti che dir si voglia, che crediamo di conoscere il mondo con i cellulari e le applicazioni, senza applicarci noi stessi sul serio, non abbiamo un grande interesse per quell’area ormai bollata come zona depressa.

Ed è un vero peccato anche perchè l’export balcanico di storia, al pari di quello tedesco nel campo economico, non sembra conoscere crisi. Nel maggio di quest’anno il Presidente turco ha fatto visita a Sarajevo e di fronte ad una folla entusiasta di decine di migliaia di persone ha denunciato l’ipocrisia di un Occidente, che a suo parere non si è dimostrato democratico nell’avergli vietato di condurre comizi elettorali nelle capitali europee. Era il periodo antecedente al referendum sulla riforma costituzionale della Turchia in senso presidenzialista, vinto per un soffio da Erdogan non senza dubbi di brogli. L’ingresso, o il ritorno, della Turchia in Bosnia riapre vecchie ferite che noi europei non abbiamo saputo o voluto curare. Sarebbe stata una notizia da tenere sott’occhio ed invece pochi analisti ne hanno dato la giusta importanza. Eppure Sarajevo e la Bosnia tutta, vero cuore dell’Europa, rappresentano un’anticipazione di quello che accade immancabile in tutto il Continente qualche tempo dopo: la fine degli imperi secolari ed ora un’islamizzazione strisciante che rischia di gettarci in una non meno distruttiva guerra civile. La stessa Bosnia è stata la prima regione europea ad aver assistito al reclutamento di jihadisti provenienti da ogni angolo del mondo, è stato il primo luogo fisico nel quale la comunità musulmana ha tentato di dominare sulle minoranze cristiane, che hanno reagito con altrettanta violenza. Narrano voci che perfino Bin Laden ed il suo fedele aiutante Al Zawahiri si fossero recati in visita a campi di addestramento per futuri martiri nel vicino Kosovo e nella stessa Bosnia. Se vogliamo dircela tutta, Sarajevo è stata la prima città dove si è assistito alla distruzione tutta moderna della millenaria cultura europea, con l’incendio dell’immensa biblioteca da parte di una granata lanciata dai serbi assedianti e il conseguente incenerimento di decine di migliaia di antichissimi manoscritti. Al giorno d’oggi non servono altri incendi, visto che i popoli hanno abbandonato i libri per i cellulari, ma il messaggio simbolico insito nel rogo era già chiarissimo.

La storia ritorna come un boomerang a Sarajevo ed il comizio di Erdogan, in un momento in cui l’Islam e la Turchia si dimostrano più offensivi che mai, dovrebbe far riflettere gli intellettuali. Senza contare che qualche settimana fa si sono tenute le elezioni generali in Bosnia, ancora divisa tra le tre comunità dopo gli Accordi di Dayton del 1995, che hanno visto l’affermarsi dei locali partiti nazionalisti. Non è passata inosservata nemmeno al Fatto la vittoria del candidato considerato filo – russo presso l’autonoma repubblica serba, il quale ha diverse volte dichiarato di voler far staccare l’entità serba dal failed state bosniaco tramite regolare referendum. Dal punto di vista legalitario non avrebbe nemmeno tutti i torti dalla sua, visto che noi italiani e l’Occidente tutto avevamo riconosciuto l’illegale, secondo l’ordinamento interno della Serbia, secessione del Kosovo albanese anche a seguito di una guerriglia terroristica condotta dagli indipendentisti. Sarebbe stato come se gli altoatesini si fossero visti riconosciuti l’indipendenza da molti paesi occidentali dopo un decennio di attentati ed azioni sanguinose a danno della minoranza italiana, per intenderci.

In verità la doppia morale occidentale, ma per essere più precisi tedesca, risale al 1991 quando il Vaticano e la Germania di Kohl fresca della riunificazione decisero di riconoscere unilateralmente le proclamazioni di indipendenza della Slovenia e Croazia, illegali questa volta secondo la Costituzione di uno stato ancora sovrano come la Jugoslavia. Questa decisione entrò in contrasto con quella degli Stati Uniti e di altri paesi europei, che invece volevano attendere che la situazione politica si chiarisse, e contribuì allo scatenamento della più sanguinosa guerra europea dal 1945. V’è da aggiungere che sia il Vaticano che la Germania ebbero rapporti molto intensi con la Croazia durante il secondo conflitto, ossia nel momento in cui appoggiarono il regime fascista degli ustascia in funzione anti – serba ergo anti – ortodossa e per la Germania in special modo al fine di garantirsi un alleato fedele in grado di favorire la penetrabilità delle sue merci nello spazio balcanico. Inoltre il riconoscimento illegale ed unilaterale fu un punto a sfavore per quanti ancora adesso ritengono che l’Unione Europea ci avrebbe garantito 70 anni di pace, anche tenendo conto di come il Trattato di Maastricht sarebbe entrato in vigore qualche mese dopo lo scoppio del conflitto bosniaco, che si concluse solo grazie al decisivo intervento americano e non a quello europeo.

Pertanto le aspirazioni del Presidente (a rotazione) serbo di Bosnia Zelijko Komsic, fin da subito definito dai nostri media la quinta colonna di Putin, troverebbero delle pezze d’appoggio se non altro per il precedente del Kosovo. La visita lampo di Erdogan a Sarajevo sarebbe anche un modo per coalizzare i musulmani, maggioranza nel paese e che negli ultimi anni hanno conosciuto anch’essi forme di radicalismo religioso. Se a questo aggiungiamo il recente fallimento del referendum sul nuovo nome della Macedonia, da sempre in bilico tra NATO e Russia e popolata da accese minoranze albanesi che sognano di creare la Grande Albania, ed un Kosovo quello sì stato fallito ma che ospita una fondamentale base militare americana, allora possiamo vedere come ancora una volta la storia d’Europea inizi dalle dinamiche balcaniche. Il nuovo interventismo turco potrebbe presto scontrarsi con quello russo, che per motivi storici appoggia da sempre le istanze dei “fratelli” serbi. Quest’ultimo paese si trova preso tra due fuochi, visto che da una parte il governo corrotto ma europeista, ergo nostro amico, sta cercando in tutti i modi di far entrare il paese nella UE, mentre dall’altra le minoritarie frange filo – russe vorrebbero annettersi la parte serba di Bosnia ed al tempo stesso difendere quel poco che rimane della minoranza serba ancora presente in Kosovo e che viene ancora discriminata da un governo altrettanto corrotto ma filo – occidentale. Proprio in questa regione da diversi mesi i governi kosovaro e serbo stanno discutendo di un eventuale scambio di territori abitati dalle rispettive minoranze, che potrebbe essere l’unica via per fare business in tranquillità e spacciare il tutto come processo di riappacificazione politica. Tuttavia i falchi atlantici come Bolton, ora consigliere politico di Trump, assieme ai media occidentali fieramente anti – russi stanno facendo di tutto per sabotare i negoziati, richiamandosi al solito rischio di una nuova guerra per terrorizzare più noi europei che gli stessi abitanti di quei luoghi. Il rischio insomma è che la polveriera balcanica si dimostri di nuovo un campo di battaglia manovrato dalle grandi potenze, o quel che ne resta. Probabilmente anche per tali motivi il comizio turco a Sarajevo, condito da decine di migliaia di bandiere rosse con le mezzelune e stelle bianche, potrebbe rivelarsi il prologo di un romanzo già scritto.

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