2019, un annus horribilis per la Germania?

Immagine originale tratta da https://www.brandeins.de/magazine/brand-eins-wirtschaftsmagazin/2015/selbstbestimmung/ist-deutschland-schuld-an-der-krise-in-europa

Oltre alla crisi finanziaria descritta nell’articolo precedente, che a prescindere dal quasi totale disinteresse mediatico rischia di vedere la banca più importante di Germania fallire, un altro teatro di crisi è rappresentato dalle elezioni locali che si terranno quest’anno presso tre regioni orientali. Si andrà a votare nel Sachsen, Brandeburg e Thüringen. Secondo diversi sondaggi, in tutte e 3 i länder ex DDR i populisti dell’Afd, nonostante la demonizzazione mediatica e le manifestazioni filo-governative dei centri sociali a Berlino, potrebbero fare il pieno di voti. La regione del Sachsen è anche la stessa della città di Chemnitz, dove a settembre cittadini tedeschi stanchi dell’ennesimo atto di violenza da parte di un richiedente asilo siriano, fatto generosamente entrare dalla Mutti nel 2015, scesero in piazza a migliaia per protestare. Nello specifico un cittadino tedesco di origine cubana venne accoltellato a morte da un siriano durante un diverbio notturno, accorso il sabato sera. Tutti i media tedeschi li accusarono seduta stante di essere neo nazisti, sebbene non tutti fossero estremisti con la testa rasata bensì anche persone normali, impoverite dopo trent’anni di riunificazione e stanchi di essere presi in giro. Su questo blog il problema, del tutto sottovalutato o peggio ancora mistificato, dei tedeschi orientali impoveriti ed umiliati è stato sviscerato in numerosi contributi, anche recenti. Proprio nel 2019 ricorre il trentesimo anniversario della riunificazione tedesca. Qualora il partito dell’Alternativa per la Germania, nonostante tutti i media e partiti parlamentari contro, riuscisse a sfondare con percentuali a due cifre ad Est, il mito del “paese più stabile d’Europa” potrebbe ulteriormente scricchiolare.

E’ il famoso fronte interno, che vede la parte orientale del paese ribellarsi alla loro “concittadina” Signora Kasner, sposata in Merkel, e al tradimento del più antico partito socialdemocratico del mondo, che dai tempi delle riforme Hartz di Schröder ha abbracciato in toto l’ideologia del libero mercato. Per fortuna ci ha pensato l’immortale George Soros a trasferire il suo quartier generale da Budapest a Berlino, per seguire dal suo bunker (situato all’interno dello stesso palazzo che ospita il quotidiano die Welt) gli esiti della battaglia finale. Per maggiori approfondimenti potete leggere il seguente articolo, scritto in settembre. Come se non bastasse il probabile  fallimento della Deutsche Bank e l’avanzata dei malvagi populisti da Est, ci pensa anche la Brexit a picconare alla Kossiga il mito dell’invincibilità dell’economia tedesca. Diverse settimane fa sempre da questo spazio virtuale è stato descritto il rischio per la Germania, letteralmente terrorizzata, di una hard Brexit, senza cioè un accordo condiviso tra il governo britannico della Signora May e l’Unione Europea. Basti solo ricordare che l’export annuale di beni tedeschi verso la Gran Bretagna ammonta a qualcosa come 85 miliardi di Euro. Qualora il Regno Unito, in maniera ponderata e niente affatto caotica come i media in Europa vorrebbero farci credere, uscisse senza un agreement, le aziende tedesche alle prese con improvvisi nuovi dazi e tariffe doganali saranno per forza di cose costrette ad operare licenziamenti nell’ottica di centinaia di migliaia di persone. In Germania, intendiamoci.

Niente male per un paese che assieme alla Francia del Presidente rigorosamente progressista Macron, sempre più contestato in patria ma accolto chissà perché trionfalmente nel parlamento tedesco lo scorso novembre, dovrebbe trascinare l’intera Unione Europea fuori dalle sabbie mobili della crisi. Peccato che nell’ultimo trimestre la Germania abbia sfiorato la recessione, con il proprio Pil che è calato dell’0,2%. Poi certo ci sono le elezioni europee, nelle quali la Le Pen potrebbe arrivare al primo posto in Francia permettendo in futuro a questo paese di poter staccare la definitiva spina al progetto europeo, oltre che la fine del mandato Draghi alla BCE. Al suo posto potrebbe insediarsi un tedesco, magari lo stesso presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che in tempi non sospetti si era schierato contro il programma di acquisto di migliaia di miliardi di Euro in titoli di stato dei paesi del Sud Europa da parte della Banca Centrale Europea. Questo acquisto di massa di debito dei paesi meridionali, che altrimenti avrebbero dovuto pagare tassi di interesse insostenibili, è conosciuto col termine tecnico di Quantitative Easing.

Questa misura drastica, tanto criticata dai media tedeschi, ha finora salvato la zona Euro; se però il programma dovesse interrompersi e al tempo stesso si dovessero rialzare i tassi di interesse, fermi a quasi quota 0 da dieci anni, sia in Europa che negli USA, potrebbe scoppiare una bolla finanziaria ben più terribile di quella del 2008 – 2009. A quel punto nessuna maxi fusione in grande stile potrebbe salvare la Deutsche e nemmeno la Commerzbank, i cui spettacolari fallimenti faranno sembrare un antipasto quello dell’americana Lehman Brothers. L’unica via che qualsiasi governo tedesco sarà costretto ad escogitare per salvare i risparmi di milioni di suoi cittadini sarà quello di salvare i due (e forse anche più) istituti bancari con soldi pubblici presi dalle tasse, o perfino attraverso una nazionalizzazione forzata. Tutto questo in barba alle numerose direttive e regolamentazioni europee sul bail-in, che noi europeisti italiani con l’eterna sindrome da Caporetto ed 8 settembre ci vantiamo di aver rispettato in nome dell’Europa (e di Berlino) che ce lo ha chiesto. Un’altra nomina importante a carattere europeo è quella del Presidente della Commissione Europea, decisivo organo tecnocratico non eletto direttamente dai cittadini europei (un po’ come il vecchio e caro Politburo in Unione Sovietica).

Anche qui rischia di essere nominata (dal Parlamento Europeo) una personalità tedesca di primo piano, come il democristiano CDU Manfred Weber, il quale già in luglio aveva dichiarato al Parlamento Europeo che i diversi paesi europei devono abbandonare quelli che a suo parere sarebbero gli egoismi nazionali. Pertanto i due poteri principali, quello economico e politico, all’interno della UE andranno con tutta probabilità a due esponenti tedeschi, uno dei quali politico di lunga data del partito della Merkel, che avranno il compito di tutelare gli interessi del proprio paese in Europa. In primo luogo dovrà continuare ad essere salvato l’Euro, la cui svalutazione ha permesso alla Germania di diventare il primo paese al mondo in fatto di export, mentre per altre economie come la nostra e quella francese si è trattato di una moneta rivalutata. I due paesi in questione, al netto della retorica, sono entrambi in crisi perché, non potendo svalutare una moneta che non è più la loro e che pertanto non possono controllare, hanno dovuto svalutare la propria forza lavoro. I risultati tangibili sia per l’Italia che per la Francia sono stati un aumento della disoccupazione, un boom di quella giovanile ed un’emigrazione di forza lavoro composta da molti neolaureati, guarda caso, verso la Germania. Per esempio le recenti rivolte dei gilet gialli in Francia altro non sono che una reazione violenta ad un decennio di propri presidenti totalmente asserviti alle politiche di Bruxelles e Berlino, che hanno impoverito milioni di francesi (in maggioranza bianchi ma fate finta di non averlo letto, altrimenti ci chiudono per istigazione all’odio razziale) una volta benestanti. La probabile nomina di due tedeschi, o al massimo di un francese vassallo come per dire Moscovici, nelle due istituzioni europee che veramente contano, protrarrà questo stato di cose.

Tornando al tema dell’articolo di qualche giorno fa sulla crisi delle banche in Germania, ci imbattiamo di nuovo nello spettro del tabù. Come tutti voi saprete, il tabù è un dogma che non dev’essere messo in discussione, o meglio ancora un tema proibito di cui tutti hanno timore perfino di menzionare, figuriamoci scriverne od anche solo di parlarne. Nella libera Germania, ma è un discorso che in questo momento riguarda tutta l’Europa continentale, vi sono tabù che i media si rifiutano di toccare. Uno di questi è appunto la crisi irreversibile che attanaglia la Deutsche Bank e che rischia di far scoppiare definitivamente un’altra bolla speculativa e con essa di mandare a gambe all’aria l’economia europea tutta, che già da diversi anni è la grande malata mondiale a causa delle politiche di austerità che hanno impoverito milioni di persone, costretto altrettante ad emigrare e favorito un solo paese, il cui nome a questo punto dovrebbe essere chiaro. Tuttavia esiste in Germania un’altra azienda simbolo di questo paese leader in Europa, le cui iniziali sono esattamente le stesse della grande banca in fallimento: DB. Essa altro non è che la Deutsche Bahn, ex azienda di stato che amministra le ferrovie e che a causa delle solite privatizzazioni a tutto spiano sta conoscendo anch’essa una crisi spaventosa. I suoi debiti ammontano a 20 miliardi di Euro, la quale è la stessa cifra che ogni anno il governo tedesco mediante tasse impiega nell’integrazione dei profughi per poterli inserire nel mercato del lavoro con salari bassi. La crisi delle ferrovie tedesche è forse ancora più simbolica di quelle delle banche, poiché la cronica mancanza di investimenti pubblici nelle infrastrutture a tutto vantaggio di un preponderante export verso l’estero, ha condotto i treni regionali ed anche quelli veloci in Germania ad uno stato miserevole. Treni veloci che prendono fuoco all’improvviso, ritardi e cancellazioni quotidiani, mezzi vetusti e senza nemmeno l’aria condizionata o spesso perfino il riscaldamento, vetture piene all’inverosimile di passeggeri, treni che perfino nelle regioni ricche come il Baden – Württemberg vanno avanti ancora a gasolio, senza contare la nuova stazione ferroviaria di Stoccarda – la fantomatica Stuttgart 21 – che come il nuovo aeroporto di Berlino attende da decenni il suo completamento.

A tal proposito se qualche autorità giudiziaria non chiuderà prima il blog, ci sarà sicuramente la volontà di descrivere la folgorante carriera di un noto politico tedesco facente parte del partito della Signora Merkel, la CDU, il quale è stato per 8 anni presidente della regione con capitale Stoccarda e che fin dagli albori si era dimostrato favorevole al progetto mai finito. Peccato che negli anni ’90 questo illustre politico abbia pranzato in alcune pizzerie appartenenti a membri dell’ndrangheta operante in Germania, poi condannati. Per carità non è reato pranzare in pizzerie controllate dalla mafia e siamo sicuri che il politico, nel frattempo promosso alla Commissione Europea nel delicato ruolo di Commissario al Bilancio, fosse del tutto all’oscuro di ciò. Infatti subì perfino un processo ma venne giustamente assolto. Nel frattempo i lavori alla Stuttgart 21 continuano senza una fine apparente e c’è stata anche una giornalista tedesca, una mezza pazza così fuori di testa che ha deciso di traferirsi in Italia dopo aver perso alcune cause per diffamazione contro “imprenditori italiani di successo” presso tribunali tedeschi, che già durante alcune conferenze pubbliche nel 2012 riprese anche da Youtube aveva parlato di infiltrazioni mafiose proprio nel progetto della Stuttgart 21.

La nuova stazione ferroviaria di Stoccarda è stata fortemente voluta da tutta la classe politica governativa del ricco Baden – Württemberg, compreso quel governatore, che mangiava la pizza da “Mimmo” e che ora siede a Bruxelles. Siamo sicuri che anche lui, come la Merkel e prima ancora di lei il suo fedele Ministro Schäuble, stanno lavorando giorno e notte per farci tornare ai livelli economici pre-crisi 2008. I trasporti ferroviari tedeschi gestiti dalla Deutsche Bahn, a rischio fallimento come la sua cugina DB, saranno un leit motiv per i prossimi mesi. Lo stato precario delle infrastrutture in Germania è l’altro lato della medaglia del neomercantilismo tedesco, che ha sì fatto esplodere l’export verso l’estero ma al tempo stesso ha congelato i salari reali interni, in special modo quelli dei cittadini dell’est che continuano a guadagnare di meno rispetto ai colleghi tedeschi occidentali, oltre ad aver impedito una seria politica di investimenti nei trasporti nazionali. Risultato? Lavori eterni nella manutenzione dell’intera reta ferroviaria di metropoli come Berlino, che durano da anni, e treni pendolari che viaggiano troppo lentamente rispetto ai fantomatici treni ad alta velocità, i quali tuttavia stanno conoscendo anch’essi ritardi e disservizi.

Per riassumere: prezzi tenuti bassi anche grazie alla profilazione di discount di infima qualità come il Lidl e l’Aldi, infrastrutture che da vent’anni languono, banche con migliaia di miliardi di derivati pronte ad esplodere, salari reali bloccati, mafia che impera impunita e cittadini tedeschi arrabbiati con il loro governo che li ha traditi a tutto vantaggio di poveri migranti appena arrivati, costretti anch’essi ad una gara verso il salario più basso. Senza contare i ghetti urbani popolati da milioni di giovani musulmani pronti ad esplodere, come ciclicamente avviene in Francia, al primo segnale di una grossa crisi economica. Proprio a Capodanno si sarebbe verificata una vera caccia al tedesco da parte di profughi stranieri (ubriachi, bisogna aggiungere) nella sonnolente cittadina bavarese di Amberg, mentre a Bottrop e a Essen nel Nordrhein – Westfalien un uomo si è scagliato con la sua auto contro un gruppo di stranieri che stavano festeggiando il nuovo anno, ferendo gravemente alcuni di essi. Il multiculturalismo tedesco, osannato da molti giornalisti nostrani, sta mostrando insomma il suo lato migliore. Il fronte interno tedesco è anche questo e sarà compito di questo blog raccontarlo seriamente con le parole di chi in Germania ci vive e lavora da molti anni.

Per tutto il resto…ci sono i dazi commerciali della Perfida Albione, anch’essi pronti ad esplodere come i derivati della Deutsche Bank.

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