L’austerity colpisce anche Berlino

IMG_20181123_145055929Nell’immaginario collettivo la capitale del paese più ricco d’Europa, ossia la celebrata Berlino, viene considerata ancora oggi come il polo più anticonformista del Vecchio Continente. Oltre ad essere una calamita per giovani aspiranti imprenditori con idee geniali, la scena berlinese ci viene presentata come il luogo perfetto dove esprimere le proprie inclinazioni artistiche oltre che per vivere liberamente e senza condizionamenti la propria esistenza. Sarà forse per questo che la metropoli sulla Sprea attira ogni anno decine di migliaia di ragazze e ragazzi che qui decidono di studiare. Tuttavia all’interno di questo quadro a dir poco idilliaco si possono incontrare piccole pietre d’inciampo, che rischiano di comprometterne l’elogio sperticato. Una di queste ci sussurra come nella megalopoli in espansione per eccellenza, popolata ormai da 4 milioni di abitanti, v’è il rischio concreto che già da ora fino ai prossimi anni nessuna biblioteca rimanga aperta la domenica.

Sembra paradossale ma le cose stanno esattamente così nella capitale più alternativa d’Europa tutte le biblioteche universitarie, tranne una sola come vedremo in seguito, sono chiuse la domenica. Il dettaglio interessante è che sono stati i rettorati stessi delle università ad aver preso questa controversa decisione, se non altro anomala per la fama di cui gode la Grande Apfel germanica. Ebbene le cause concrete sono da ricercare in una recente sentenza in seconda istanza del Tribunale del Lavoro del Land di Berlino – il Landesarbeitsgericht Berlin (LAG) – che a fine ottobre ha confermato una sentenza già emessa in primo grado nell’estate di quest’anno. Motivo della controversia era stato un ricorso di una studentessa, impiegata dalla rinomata Humboldt Universität in compiti amministrativi e quindi non scientifici. Die Studentin aveva contestato la possibilità da parte della summenzionata università di far lavorare studenti in ruoli amministrativi e soprattutto di pagarli con tariffe salariali inferiori rispetto ai cosiddetti “lavoratori scientifici” (wissenschaftliche Mitarbeiter), che magari svolgevano esattamente i medesimi compiti dei primi senza tuttavia essere studenti. Dando ragione alla ricorrente, il locale Tribunale del Lavoro non ha fatto altro che applicare la legge regionale relativa all’impiego di forze studentesche all’interno delle università berlinesi, la quale vieta in maniera esplicita alle università di assumere propri studenti per quei ambiti di lavoro che non sono propriamente riconducibili all’aspetto accademico, bensì solo a quello amministrativo. Il problema è che all’interno di quest’ultimo settore sono ricompresi funzioni fondamentali che permettono ad una biblioteca universitaria di funzionare regolarmente. Tra questi vanno citati la biblioteca, il servizio di prestiti dei libri, l’intera attività di archivio e di inventario, il servizio di decanato, le segreterie, le direzioni, il servizio di assistenza ed informazione per gli studenti, la cura dei servizi mediatici e di computer, la sede centrale, gli uffici del personale e gli uffici stampa. D’ora in avanti grazie a questa sentenza gli studenti non potranno più lavorare nei campi elencati.

Inoltre il secondo punto fondamentale riportato dalla studentessa vincitrice della causa legale contro l’università Humboldt, oltre al divieto espresso ma finora mai applicato di assumere studenti per meri compiti amministrativi, verteva sul diverso trattamento economico destinato agli studenti finora (illegalmente) impiegati. Infatti il Land di Berlino prevede due diverse tariffe per i dipendenti delle università: la studentischer Tarifvetrag (StudTV), che prevede un salario tariffario di 12,30 Euro l’ora ottenuto dagli studenti dopo una lunga battaglia durata anni presso le università e riservato solo a loro, e la normale Tarifvetrag (TV-L) di 16,61 Euro orari destinata invece a tutti quegli altri lavoratori non studenteschi impiegati con la stessa mansione presso un’università pubblica a Berlino. La studentessa aveva richiesto che la sua mansione venisse paragonata a quella di un normale lavoratore tariffario, considerato anche che la Hochschulgesetz berlinese vieta di impiegare studenti in ambiti non accademici, come visto sopra. Il problema è che la Humboldt Universität, riconosciuta la sconfitta in sede legale, ha pensato bene di tagliare la testa al toro licenziando o, per essere più precisi, decidendo di non rinnovare tutti i contratti di lavoro con gli studenti che fino a quel momento lavoravano all’interno degli spazi universitari nei settori, per esempio, dei servizi prestiti o dell’archivistica.

Risultato tangibile è che nei prossimi mesi mancheranno all’appello qualcosa come 600 studenti che fino ad ora avevano garantito il regolare svolgersi delle attività di tutte le biblioteche targate Humboldt. Ragion per cui il rettorato della prestigiosa università dove aveva insegnato anche Einstein, invece che regolarizzare le posizioni di centinaia di precari ha deciso invece di limitare gli orari di apertura di tutte le sue biblioteche. La motivazione ufficiale del portavoce dell’università è che si aspetta di vedere se l’organo legislativo di Berlino, il Senato controllato dalle sinistre (SPD + Linke) e dai verdi, modificherà la legge regionale sull’impiego presso le università, in modo tale da legalizzare un regolare rapporto di lavoro con studenti, finora almeno dal punto vista formale precluso. Per alcune biblioteche, che già prima della sentenza del Tribunale del Lavoro erano sempre rimaste chiuse i giorni festivi, la decisione draconiana del Magnifico Rettore ha comunque comportato una riduzione dell’orario settimanale; per esempio la biblioteca HU della Facoltà di Fisica, Matematica ed Informatica situata nel quartiere orientale di Adlershof, invece che rimanere aperta fino alle 20.00, ora chiude ogni giorno alle 18.00 in punto. Invece conseguenze drammatiche per chi si appresta a studiare per gli esami semestrali si fanno già sentire nel rinomato Grimm Zentrum, adagiato di fronte alla ferrovia che di lì a poco conduce alla S – Bahn di Friedrichstrasse, che da diverse settimane ha chiuso le serrande tutte le domeniche. Anche la biblioteca della Facoltà  di Giurisprudenza, che si trova su quella medesima piazza dove nel 1933 i nazisti bruciarono i libri degli scrittori non ariani od avversi al regime, ha chiuso i battenti da metà novembre.

Non male davvero per la capitale di quel paese che dispone del più alto surplus commerciale al mondo, che sfiora i 300 miliardi di Euro l’anno, quasi uno al giorno. Considerando poi che altre biblioteche berlinesi, come quelle comunali, o statali come la moderna (oltre che a pagamento) Preußisches Bibliothek collocata di fronte alla Philarmonie sono sempre rimaste chiuse la domenica, non sembra davvero agevole per uno studente, che già vive delle difficoltà notevoli a pagare un affitto economico per una stanza decente nella capitale più alternativa d’Europa, trovare il tempo e soprattutto il luogo adatto per concentrarsi per i sudati esami. Consideri poi l’ignaro lettore italiano residente al di sotto del Brennero, che in Germania se uno studente non riesce a passare per 3 volte anche solo un esame all’interno del suo piano di studi, viene automaticamente ex-matricolato e pertanto non può più iscriversi alla stessa facoltà da lui scelta all’inizio. Per gli studenti stranieri extracomunitari ciò comporta la scadenza immediata del permesso di soggiorno legato allo studio e la conseguente espulsione dalla Germania. Pertanto una pressione impellente abbinata alla mancanza di una biblioteca aperta la domenica in una metropoli di 4 milioni di abitanti in perenne crescita farebbero invidiare a ben poche persone di iniziare un corso di studi a Berlino.

Ad ogni modo come si è giunti a questa soluzione? E qual’è la situazione nelle altre università  berlinesi? Per scoprirlo mi sono recato nelle rispettive sedi Asta della Frei Universität, nel quartiere residenziale di Zehlendorf, e in quella dell’ormai conosciuta Humboldt, non molto lontana dall’Isola dei Musei. Gli Asta sono dei gruppi studenteschi politicamente vicini alla Linke, l’estrema sinistra tedesca. Ho deciso di parlare con i loro rappresentanti poichè da diverso tempo sembrerebbero impegnati in preziose operazioni di consultazione ed aiuto agli studenti in difficoltà od anche solo in cerca di informazioni utili per il loro piano di studio. Inizio dall’Università Frei, così denominata perché voluta dagli alleati occidentali come “polo libero” in contrapposizione alla Humboldt che invece era caduta nel settore sovietico. L’edificio è una grigia casetta a due piani, che sembra una tipica villetta di qualche piccolo impiegato che ha deciso di rilassarsi il fine settimana al riparo dallo stress metropolitano. Il disordine di manifesti e bottiglie di plastica al suo interno è notevole ma i due ragazzi che mi accolgono sono alquanto cortesi e curiosi verso questo bizzarro italiano. Con uno di loro, di nome Robert, entro subito in sintonia e gli porgo una domanda che da tempo avevo in testa e che probabilmente qualche lettore si sarà  già  posto.

Gli domando come sia stato possibile per un’università importante come la Humboldt impiegare per anni studenti in campi amministrativi, nonostante avessero saputo fin da subito che la legge sull’impiego vietava esplicitamente di assumerli al di fuori del campo accademico. La sua risposta mi spiazza parecchio, dal momento che consiste nel farmi notare come il rettorato fosse ben consapevole dell’illegalità dell’intera situazione, ma aveva comunque continuato ad operare in questo modo per un mero calcolo contabile, o se vogliamo aziendale. Infatti qualora avessero perso la causa legale, com’è poi avvenuto, le spese sostenute per gli avvocati e sedute sarebbero state comunque inferiori rispetto ad una regolarizzazione completa di tutti i 600 studenti illegalmente impiegati. Inoltre, qualora il giudice avesse dato loro inevitabilmente ragione, l’università stessa subito dopo avrebbe licenziato gli studenti invece che regolarizzare la loro posizione. Cosa che puntualmente è avvenuta. Gli chiedo poi se anche la biblioteca centrale della Frei sia chiusa la domenica per lo stesso problema legale ma la risposta è negativa. Tuttavia com’è prevedibile, considerato che la legge sull’occupazione studentesca è valida per tutto il Land di Berlino, la situazione è precaria ed anche qui sussiste il rischio concreto, qualora la politica non intervenga cambiando la legge, che la biblioteca venga per forza di cose chiusa nei giorni festivi. Per ora gli studenti ed un rettorato più propenso al dialogo rispetto alla HU hanno deciso assieme di lasciare aperta la biblioteca ogni giorno in attesa di trovare una soluzione condivisa. In ogni caso centinaia di posti di lavoro studenteschi rischiano di sparire nei prossimi mesi alla Frei. Robert aggiunge che anche alla Technische Universität le biblioteche sono da sempre chiuse nei giorni festivi, mentre per i motivi descritti sopra circa 500 studenti rischiano di perdere il posto anche lì. Riassumendo: nella capitale della Germania più di 1.100 studenti appartenenti alle tre maggiori università hanno già  o rischiano di perdere il loro posto di lavoro se la politica locale non deciderà di cambiare la legge, permettendo loro di lavorare nel campo amministrativo e soprattutto con un normale contratto tariffario.

Tuttavia il problema alla radice è la propensione delle università berlinesi e non solo di risparmiare, di sparen anche se ci troviamo in un paese dalla florida situazione finanziaria. Il corpulento e simpatico ragazzo di nome Helge, che mi accoglie nella locale sede Asta della Humboldt, mi fa notare come il rettorato già in altre situazioni abbia adottato una strategia di scontro totale con i rappresentanti degli studenti. Per esempio durante una recente proposta di tenere una conferenza in una sala universitaria, il rettorato ha obbligato l’organo di rappresentanza degli studenti a pagare un normale e non agevolato affitto. Questa decisione è stata considerata sia come una forma di ostilità verso un certo gruppo studentesco di sinistra, che in passato non aveva mancato di esprimere la propria contrarietà di fronte alla possibilità di offrire visibilità a candidati dell’Afd, sia anche come un modo estremo di fare cassa. La ricerca del risparmio è visibile anche nella possibilità concreta, qualora la situazione rimanga statica, di affidare il compito a ditte sorelle con finalità di lucro, come la Humboldt Innovation GmbH, di assumere il personale mancante a costi inferiori. Una seconda domanda spontanea è come mai l’università abbia deciso di chiudere la propria biblioteca centrale la domenica, nonostante nessun studente vi abbia lavorato in quel determinato giorno della settimana. Helge mi risponde che, se da una parte è vero che la domenica nessun studente sia mai stato lì impiegato, dall’altra il rettorato, avendo licenziato 600 studenti, ha ora necessità  di utilizzare al massimo la scarsa forza lavoro rimasta. Per questo motivo ha dovuto comprimere gli orari e ridurre i servizi, poichè nonostante l’utilizzo intenso di pochi lavoratori non studenteschi rimasti, rimanevano ancora dei buchi non coperti. Detto altrimenti: chi finora ha lavorato la domenica, dev’essere ora impiegato durante la settimana lavorativa per compiti d’archivio ed altro; ciò ha comportato la necessaria chiusura festiva per mancanza di personale. E’ un assurdo cortocircuito mentale ma, tenendo conto dell’impossibilità di regolarizzare gli studenti, l’università sembra non aver avuto altra scelta.

La tendenza a risparmiare attraverso l’elegante anglicismo denominato outsourcing viene descritto anche dal portavoce della Linke al Senato berlinese, un certo Tobias Schulze che durante un’intervista al giornale online di sinistra Taz, ha espresso il pericolo che l’università ricorra in futuro alla pratica delle agenzie interinali che assumano lavoratori temporanei, riducendo così i costi. Lo stesso Schulze ammette come soprattutto la Humboldt sia stata quella realtà accademica che più di ogni altra a Berlino abbia risparmiato negli ultimi anni. Per tale motivo ha deciso di impiegare studenti anche in ambiti amministrativi e tecnici, ben sapendo di rischiare una sconfitta nelle aule del Tribunale del Lavoro. Entrando in dettagli tecnici, il portavoce della sinistra berlinese ha aggiunto come il costo annuale di una regolarizzazione dei contratti di lavoro solo per la Humboldt arriverebbe a 2 milioni di Euro aggiuntivi da versare ogni anno, che non è di certo una cifra modesta. Considerando però come il Land di Berlino disponga di contratti con le università, tali da garantire loro ogni anno un 3,5% in più di fondi in caso di necessità, si può notare come il bilancio totale ad esse versato possa arrivare fino alla rilevante cifra di 220 milioni di Euro l’anno per tutte le Hochschulen  berlinesi. Pertanto sempre secondo Schulze, non dovrebbe essere affatto proibitivo per le realtà accademiche trovare i necessari finanziamenti da reinvestire nell’impiego di nuova forza lavoro, studentesca e non.

Insomma discorsi sulla volontà di risparmiare, contenendo i costi e comprimendo i servizi essenziali, che paiono “normali” nel Sud Europa obbligato da anni a seguire le politiche di austerity di Bruxelles, sono presenti in maniera del tutto inaspettata per il pubblico italiano anche nella locomotiva d’Europa. Le università tedesche, al pari di quelle italiane, da anni stanno riducendo le spese e, se necessario, licenziano o tengono precarizzati i propri studenti in nome della ricerca del pareggio o, meglio ancora, dell’attivo di bilancio. Inoltre un discorso deve e verrà in questo spazio fatto alla mancanza di investimenti degli ultimi anni per le infrastrutture pubbliche, che difatti in Germania hanno bisogno impellente di una ristrutturazione e che spesso cadono letteralmente a pezzi. Perfino i pendolari tedeschi, anche a seguito della privatizzazione della Deutsche Bahn (ferrovie tedesche), affrontano le stesse difficoltà di arrivare e tornare dal posto di lavoro di noi italiani. Tornando invece al problema delle biblioteche universitarie chiuse per il sacro dovere di risparmio, ci basti concludere come perlomeno in questo campo noi poveri scrocconi italiani, per citare quell’editoriale dello Spiegel di maggio, le teniamo aperte la domenica. Almeno nella mia città natale Trieste è così da sempre.

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